mercoledì 17 giugno 2015
I cinesi si curano all'estero
Il turismo medico è un fenomeno sempre più diffuso on Cina. Complice un servizio sanitario non impeccabile, i nuovi ricchi pagano a peso d'oro viaggi "tutto compreso" per le cure più disparate. C'è chi va a farsi la chirurgia estetica in Svizzera, ma anche chi deve affrontare problemi ben più gravi. In tre puntate, il reportage dell'autorevole rivista economica Caixin.
Un tempo emigravano. Poi hanno cominciato ad andare all'estero per studiare e viaggiare. Adesso sempre più cinesi vanno oltremare per curarsi.
Cinque anni fa, Mou, 57 anni e un tumore al colon-retto, si sentì diagnosticare una morte certa entro due anni. Ma, invece che arrendersi, decise di andare a curarsi negli Stati Uniti e oggi, a sei anni di distanza, è ancora vivo.
All'inizio di quest'anno, la figlia di Mou ha scoperto di avere un tumore al seno e senza pensarci due volte è partita anche lei per l'America, non soltanto per avvalersi di trattamenti migliori, ma anche nella speranza di salvare il seno. Ad averla convinta sopratutto la presenza di team sanitari particolarmente attenti al paziente e servizi medici privati di alto livello.
Quello della globalizzazione medica è un fenomeno sempre più evidente. La nuova tendenza dei ricchi cinesi è andare in Giappone per esami di precisione, negli Stati Uniti per curare i tumori, in Gran Bretagna per sottoporsi a un trapianto di fegato, in Corea del Sud per la chirurgia estetica e in Svizzera per le iniezioni di placenta. Grazie ai loro prezzi convenienti Thailandia, India, Singapore, Malaysia e Filippine sono diventate le cinque mete più gettonate per il 'turismo medico'.
Secondo un rapporto pubblicato dallo Stanford Research Institute, il numero totale di questo tipo di viaggiatori è passato dai 20 milioni di unità del 2006 ai 40 milioni del 2012. Lo scorso anno l'industria del 'turismo di salubrità' ha raggiunto i 438,6 miliardi di dollari, pari a circa il 14% dell'industria turistica globale.
Gu Xiaofang, direttore della China International Medical Tourism Association, ha provato a dare una definizione del settore: il turismo medico è un'industria in crescita finalizzata ai servizi clinici, al trattamento e alla prevenzione delle malattie, al recupero e alla convalescenza, che si avvale del turismo come mezzo.
La globalizzazione medica include principalmente spostamenti in entrata e uscita attraverso le frontiere internazionali. "Oltre il 90% dei viaggiatori cinesi sceglie perlopiù di uscire dal Paese; in Cina l'industria del turismo medico è ancora in una fase embrionale e il flusso in entrata è scarso", ha spiegato Gu a Caixin.
Non è ancora possibile riuscire a quantificare esattamente il numero dei turisti cinesi che espatriano per motivi medici, ma all'estero le istituzioni cliniche hanno già lanciato una dopo l'altra servizi in lingua cinese e 'un canale verde'. Il direttore generale e l'amministratore delegato dello United States Public Health Service (PHS), il professor Gilbert H. Mudge dell'Harvard Medical School e il direttore per le relazioni internazionali della Mayo Clinic Melissa Goodwin hanno dichiarato a Caixin che negli ultimi anni i pazienti cinesi sono diventati sempre più numerosi e che il mercato cinese ha vastissime potenzialità, rappresentando un'area chiave per lo sviluppo del settore a livello mondiale.
I trattamenti all'estero hanno accelerato la nascita di una nuova industria.
Il 16 giugno, il venture capitalist Sequoia Capital ha investito 50 milioni di yuan nella Beijing Shengnuo Hospital Management Ltd. Secondo quanto appreso da Caixin, si tratta del primo caso in cui un importante fondo d'investimento internazionale ha finanziato una società cinese che si occupa di servizi di assistenza medica all'estero.
Un po' per volta a Pechino, Shanghai, Shenzhen, Canton e in altri grandi centri urbani sono cominciati a emergere i primi centri medici internazionali e le prime città ospedaliere. Ad aprile, è stato fondato l'Hainan Boao Music City International Medical Tourism First District, l'unico progetto approvato dal Consiglio di Stato, volto a incentivare lo sviluppo di parchi industriali dedicati al terziario. Questo non soltanto prevede l'allentamento delle restrizioni affinché i medici stranieri possano praticare al suo interno, ma apre anche i confini ai capitali stranieri per la costruzione di strutture dedicate ai trattamenti clinici. Tra i vari obiettivi vi è quello di renderlo un nuovo resort per la salute e il benessere.
Cai Qiang, fondatore e presidente di Shengnuo, ha dichiarato a Caixin che curarsi all'estero non soltanto aumenta le possibilità di scelta per i malati, ma allo stesso tempo contribuisce indirettamente al miglioramento del sistema sanitario nazionale, a tutto vantaggio dei pazienti.
I pionieri del turismo medico
A fare da apripista sono state le star e la nomenklatura cinese. Nel 2012, l'atleta Liu Xiang, ritiratosi dalle Olimpiadi di Londra a causa di un infortunio, per le cure si è poi rivolto al più grande ospedale privato d'Europa, il Wellington Hospital di Londra. Il campione cinese dell'NBA Yao Ming si è recato più volte presso il Memorial Hermann Medical Center, in Texas, per sottoporsi a diversi interventi chirurgici, tanto che alla fine l'ospedale è diventato il preferito dei Rockets. Conosciuta come 'la Corte Suprema della diagnosi medica', la Mayo Clinic è diventata luogo di ritrovo di ricchi e politici in arrivo da tutto il mondo. Gli ex presidenti degli Stati Uniti Gerald Ford e Ronald Reagan, Bush padre, l'ex re di Giordania Hussein, gli imprenditori cinesi Feng Lun, Pan Shiyi, tutti si sono rivolti al centro statunitense.
Nonostante il fenomeno dei trattamenti medici all'estero, in Cina, sia cominciato ad emergere appena 5-6 anni fa, tuttavia si sta propagando con rapidità. Secondo l'Hurun Wealth Report 2013, alla fine del 2012 nella Repubblica popolare c'erano 1,05 milioni di milionari e oltre 60mila miliardari, di cui più di 3/4 ha manifestato insoddisfazione per il proprio stato di salute.
"Queste persone non solo hanno un forte potere economico, ma allo stesso tempo danno anche parecchia importanza alla salute. Molte di loro scelgono di curarsi in un altro Paese", ha spiegato Mou che proviene da una famiglia di miliardari. Gran parte dei suoi conoscenti ha deciso di partire "non soltanto quelli con malattie gravi, ma anche quelli con disturbi cronici, problemi alimentari, o che necessitano terapie di riabilitazione ed esami clinici".
Stando a quanto riferito da Cai Qiang, la Shengnuo "conta un migliaio di clienti; gli imprenditori rappresentano oltre l'80% -alcuni di istituzione finanziarie, buona parte di imprese private- e l'età media si aggira sui 50-60 anni. Stando a quanto appreso da Caixin, tra quanti sono andati all'estero per turismo medico, ci sono anche funzionari, dirigenti di imprese statali e vip.
I prezzi per le cure oltremare non sono alti come si potrebbe credere
"Negli Stati Uniti i costi sono abbastanza elevati, ma nel Regno Unito, in Germania e a Singapore sono tra il 10 e il 30% più alti che in Cina”, spiega Cai Qiang,"l'America ha i prezzi più cari, in media circa 150mila dollari per la cura del cancro, ma nel budget sono comprese le tasse oltre alle spese per il trattamento. Se uno vuole soltanto la terapia i costi sono più contenuti, per esempio per il tumore ai polmoni si parla di soli 15mila dollari".
Chi opta per il turismo medico lo fa sopratutto per curare il cancro, “circa l'80%. Il 10% parte per disturbi cardiaci, un altro 10% per malattie neurologiche. Inizialmente erano sopratutto malati di tumori in fase avanzata, quelli che non erano riusciti a trovare un rimedio in Cina, ma ora sono sempre di più anche i malati lievi a voler raggiungere al più presto i centri milgiori" racconta Cai.
Secondo lui, all'estero le diagnosi sono più accurate, i trattamenti più completi e personalizzati, eppure a livello di tecnica anche le strutture nazionali non sono male. "Per cui capita anche che i cinesi vadano all'estero per le analisi, per farsi fare una diagnosi definitiva e prescrivere un trattamento. Dopo di che tornano in patria per la parte 'pratica'. Questa è l'opzione più economica".
La scelta della meta è soggettiva e varia da persona a persona. Gli Stati Uniti hanno oltre 5000 ospedali e, secondo una lista pubblicata lo scorso anno da US News & World Report, i prime cinque sono il John Hopkins Hospital, il Massachusetts General Hospital, Mayo Clinic, Cleveland Clinic e il New York University Medical Center. Ma per quanto riguarda la cura del cancro, la cardiologia e cardiochirurgia, la classifica dei centri migliori è cambiata molto.
Un paziente racconta che trovare il migliore ospedale e specialista per la cura di una determinata malattia è diventato il compito principale delle istituzioni che fanno consulenza nel settore dei servizi clinici. Le ricerche effettuate da Caixin dimostrano che i malati più gravi e allo stesso tempo più danarosi scelgono gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Germania, quelli con malattie più lievi e con minori possibilità economiche ripiegano su Corea del Sud, India e Singapore. "Per quanto riguarda i trattamenti, le strutture e la fornitura dei farmaci, l'America viene ancora considerata la meta migliore. Certo, i prezzi sono i più alti. In proporzione, la Gran Bretagna è più conveniente, la qualità è buona e le spese sono la metà. Per quanto riguarda l'Asia, il Giappone anche non è male, ma le formalità per ottenere un visto sanitario sono complesse.
Differenze tra Cina e l'estero
Una sala da pianoforte, una stanza singola con dei fiori e fuori dalla finestra un bel prato verde: sono tutti elementi che arricchiscono l'esperienza del paziente. Per i malati cinesi più difficili e ricchi si tratta di confort di lusso, ma all'estero sono considerate condizioni di base, spiega Cai.
Negli Stati Uniti le risorse mediche di qualità sono concentrate negli ospedali senza scopo di lucro e in strutture private. Melissa Goodwin di Mayo Clinic spiega a Caixin che tutte le procedure per i trattamenti medici prevedono un sistema di prenotazione, così che il numero dei pazienti viene controllato ogni giorni al fine di garantire un servizio di qualità. "Alla Mayo Clinic i rapporti tra medici e pazienti sono molto buoni, non bisogna fare file, i medici fanno visite accurate, di almeno mezz'ora. Fiducia e rispetto influenzano inconsapevolmente la scelta", dice a Caixin Gang Qiang, vice direttore del dipartimento di chirurgia epato-bilio-pancreatica del Beijing Cancer Hospital.
La differenza principale sta nei risultati delle cure. Nel 2012, l'American Cancer Society e il National Cancer Institute hanno rilasciato un rapporto in cui si evidenzia che, per via di fattori quali un incremento del tasso di sopravvivenza, nel 2022 le persone scampate al cancro saranno 18 milioni, contro gli attuali 13,7 milioni. Negli Stati Uniti il 45% di chi è sopravvissuto a un tumore ha più di 70 anni, soltanto il 5% non ha ancora compiuto i 40. Al 64% dei malati sono stati diagnosticati almeno 5 anni, al 15% più di 20.
Secondo i dati emessi quest'anno dal Centro per il Registro Tumori della Repubblica popolare, ogni anno in Cina ci sono 3,5 milioni di nuovi casi e 2,5 milioni di morti. Per questo il cancro viene annoverato tra le prime cause di decesso per malattia, sia per i residenti delle aree urbane sia per quelli delle zone rurali. Il tasso di guarigione del cancro ha raggiunto il 65% nei Paesi sviluppati, mentre in Cina si attesta ancora attorno al 25%.
Nel caso del tumore al colon-retto, "negli States, già 10 anni fa, il tasso di sopravvivenza di un malato era del 67%, in Cina è ancora del 31%", spiega Mou.
Il maggior scarto tra la Repubblica popolare e l'estero sta nelle diagnosi e nei programmi di trattamento. Stando a quanto racconta Melissa Goodwin, alla Mayo Clinic i pazienti sono circondati da un team di esperti. Per esempio, la squadra che si occupa del tumore al polmone è formata da medici interni al dipartimento, pneumologi, oncologi, medici esperti di radio-oncologia e assistenti sociali. "Ognuno ha una propria specializzazione. Poi alla fine si fa un'analisi complessiva dei vari pareri e si somministra una terapia personalizzata previa approvazione di tutti gli esperti".
La cura viene costantemente regolata in base agli esami. "In Cina il materiale che deriva dallo screening e dai vari esami, di fondo, rimane sempre lo stesso, sulla base di queste analisi diversi ospedali e diversi medici finiscono per prescrivere trattamenti grossomodo identici", spiega Mou. "Alla Mayo Clinic invece ogni anno si fanno nuovi controlli e la cura viene corretta di conseguenza. Questa è la ragione per la quale alla fine i risultati sono piuttosto buoni".
Sulla base del sistema adottato in Cina, ogni reparto finisce per essere indipendente. In passato Mou faceva avanti e indietro da un reparto all'altro cercando di dare un senso a quanto gli veniva riferito dagli esperti con un linguaggio tecnico. E poi erano file di ore, e visite di nemmeno dieci minuti. Mou avverte profonde differenze tra i metodi di trattamento dei due Paesi.
Anche le apparecchiature differiscono non di poco. Il sistema di terapia protonico chiamato "la macchina ammazza cancro" che può raggiungere il centro del tumore riducendo i danni ad altre parti del corpo, è al momento il più avanzato del mondo ma è anche l'apparecchiatura medica più sofisticata e difficile da costruire. Per ora sono in grado di utilizzarla soltanto Stati Uniti, Giappone e altri pochi Paesi sviluppati.
Il sistema di chirurgia con il robot Da Vinci ha già raggiunto gli standard della US Food and Drug Administration e viene utilizzato sopratutto nei reparti di chirurgia generale, chirurgia toracica, di urologia, ginecologia e chirurgia cardiovascolare. E' un metodo particolarmente indicato negli interventi più complessi perché poco invasivo. "Per esempio un intervento di bypass al cuore può essere fatto senza bisogno di una toracotomia", spiega Cai Qiang. Al momento in Cina soltanto il 301 Hospital di Pechino ha un'apparecchiatura in grado di farlo. "Negli Stati Uniti l'80% dei casi di tumore alla prostata viene operato con il metodo Da Vinci, gli effetti collaterali sono pochi, le ferite più piccole. La Cina non arriva all'1%".
Un'altra delle principali motivazioni per le quali i cinesi malati scelgono l'estero sta nella mancanza di farmaci anticancro convenienti. Secondo un rapporto congiunto pubblicato nel 2012 dall'American Cancer Society e dal National Cancer Society Institute, per gli uomini la sopravvivenza al cancro è stata registrata sopratutto tra i malati di tumore alla prostata, al colon retto e tra i malati di melanoma, rispettivamente per un 43%, 9% e 7%. Per le donne, invece, la guarigione è stata riscontrata soprattutto in caso di cancro al seno (41%), di tumore della cervice uterina (8%) e al colon retto (8%).
Laddove la mancanza di farmaci anticancro rende le cure in Cina più difficili, gli Stati Uniti hanno il numero più alto di sopravvissuti. "Principalmente questo è vero per i casi di leucemia, cancro al polmone, al colon retto e melanomi", ha spiegato a Caixin Lian Yaoguo, dirigente medico della Shengnuo.
A rendere complessa l'introduzione di farmaci stranieri in Cina è sopratutto la questione dei brevetti. Secondo quanto riferito da addetti ai lavori, i farmaci coperti da proprietà intellettuale non possono essere copiati da altre aziende e altri Paesi, per cui le aziende che vogliono introdurre in Cina nuovi medicinali devono fare autonomamente richiesta per un brevetto.
Dopo aver fatto domanda per operare in Cina, l'azienda farmaceutica deve presentare tutta la documentazione alla China Food and Drug Administration e al dipartimento che si occupa di regolare i prezzi. Il che vuol dire che per ottenere una partita di farmaci passano almeno due tre anni. Allo stesso tempo, spesso i medicinali che riescono ad arrivare in Cina rimangono invenduti a causa dei prezzi troppo alti. "I prezzi possono essere più cari anche di dieci volte", spiega Mou. Così negli ultimi anni è esploso un fenomeno controverso: quello degli intermediari stranieri.
"Alcune persone che vanno ufficialmente all'estero per farsi visitare in realtà ci vanno per i farmaci".
Mirando al mercato cinese
Il rapido aumento del numero dei malati cinesi ha attirato l'attenzione delle istituzioni mediche statunitensi. Le strutture migliori stanno mettendo a disposizione servizi di traduzione gratuita e siti in cinese. Quando si telefona per informazioni basta dire "ni hao" ("salve" in cinese, ndt) perché dall'altra parte si inserisca il servizio in mandarino.
Melissa Goodwin di Mayo Clinic racconta che tra il 2012 e il 2013 i pazienti cinesi sono raddoppiati. Nei primi sei mesi del 2014 il loro numero potrebbe essere addirittura triplicato. "All'inizio la Cina non rientrava tra le priorità della nostra strategia di internazionalizzazione, ma nell'arco di pochi anni è diventata il nostro secondo mercato principale".
Per Gilbert H. Mudge, presidente e CEO di Partners Health Service (PHS), nonché professore presso l'Harvard Medical School, il mercato cinese è importantissimo. PHS ha in mente di avviare la costruzione di ospedali a Pechino e Shanghai e lanciare programmi di cooperazione a Shenzhen e Urumqi.
Su queste basi, organizzazioni straniere che fanno consulenza medica sono spuntate un po' ovunque. Stando a quanto emerso da un'inchiesta condotta da Caixin, strutture di questo tipo sono reperibili a Pechino, Shanghai, Shenzhen, Guangzhou, Hangzhou e forniscono servizi di consultazione, accompagnamento e gestione della documentazione medica.
Per quanto riguarda il modello di cooperazione, la stragrande maggioranza delle organizzazioni d'oltremare assicura assistenza ai parenti dei malati, in particolare mettendo a disposizione servizi di interpretariato, alloggi per i famigliari e svolgendo le varie pratiche. "Siamo l'unica società ad aver adottato "un accordo ufficiale di cooperazione" ha dichiarato Cai Qiang. Questo vuol dire che la Shengnuo ha una comunicazione diretta con vari ospedali e reparti. Ottenuta l'autorizzazione del paziente, il personale può provvedere -attraverso canali ufficiali- al completamento delle cartelle, alla loro modifica, revisione ecc...fornendo al malato servizi diretti ancora più dettagliati.
Un rappresentante della Shenghuo ha dichiarato che la clinica ha già firmato accordi con le principali istituzioni mediche di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Corea del Sud. Tra queste compaiono Massachusetts General Hospital, Brigham and Women's Hospital, la Mayo Clinic, Wellington Hospital, il Royal Brompton Hospital. I servizi offerti comprendono visite all'estero, nonché servizi di consulenza a distanza da parte di specialisti stranieri.
Per i pazienti più gravi affrontare un viaggio per farsi visitare è troppo rischioso. "Molte aziende asseriscono di poter fare servizi one-stop, ma in realtà avvengono tutti attraverso intermediari locali e non appena lasciano il Paese nessuno si prende più alcuna responsabilità in caso qualcosa non vada bene", spiega Mou che in passato ha contattato varie organizzazioni che prestano assistenza medica all'estero.
Dato che si tratta di un'industria nascente, gli esiti non sempre positivi sono ancora motivo di scarsa fiducia, ma con l'ingresso di nuovi operatori la situazione dovrebbe migliorare.
Il 16 giugno, la Shengnuo ha ottenuto dalla Sequoia Capital China Fund 50 milioni di yuan di investimenti. Si tratta del primo caso del genere nella mainland, segno che il sistema dei servizi medici all'estero comincia ad attirare l'attenzione degli investitori. "Il settore dei servizi medici certamente avrà grande richiesta, molto superiore a quella attuale", ha spiegato a Caixin Zhou Kui, socio di Sequoia Capital China, "il nostro investimento non prevede un ritorno a breve termine, quello che cerchiamo è una crescita sul lungo periodo che possa lasciare il segno".
Il risvolto più importante sta nella promozione dell'ingresso di capitale straniero nel settore sanitario nazionale. Considerata la tendenza verso l'eliminazione progressiva delle restrizioni sugli investimenti diretti esteri, si ritiene che l'aumento del turismo medico stimolerà la competizione nel sistema medico cinese. Come spiega Marco D. Huesch, professore associato di Economia aziendale presso la Duke University School of Law, in un certo senso la globalizzazione dei servizi medici può servire a promuovere il progresso del sistema sanitario di ogni Paese.
(Tradotto per Internazionale/ China Files)
martedì 9 giugno 2015
Business tibetano
Tre anni fa, Sonam Droma ha lasciato il pubblico impiego per aprire un negozio online specializzato in prodotti tradizionali tibetani. Si chiama Tibet Sonam Dorje Trade ed è il primo nel suo genere (a gestione tibetana e con base in Tibet) ad essere stato accolto sulla piattaforma di Alibaba Tianmao. L’idea -racconta la trentenne al ‘China Daily’- nasce da un’intuizione del marito Wang Xin, cinese Han (l’etnia maggioritaria), originario della provincia del Jilin e appassionato di cultura tibetana. Incoraggiati dal rapido sviluppo delle infrastrutture logistiche nella regione autonoma (faccia buona del ‘neocolonialismo’ con caratteristiche cinesi), i due si sono detti che aprire un negozio sarebbe stato anche un modo per far conoscere la tradizione tibetana al mondo esterno. Oggi lo store propone oggettistica nepalese, tappeti, rosari e molto altro; alcuni prodotti sono benedetti su commissione da maestri buddhisti. Gli affari -estesi ormai anche all’estero- vanno talmente bene che per reggere il carico di lavoro Sonam Droma ha deciso di assumere 10 impiegati.
Quella di Sonam Droma non è la storia di un successo isolato, quanto piuttosto il sintomo di un trend in espansione. Una classe cinese agiata e sempre più numerosa è alla ricerca di nuovi canali attraverso cui affermare il proprio status sociale. Una spruzzata di esotismo non guasta. “Ora che tutte le amanti dei signori del carbone dello Shanxi possono permettersi una borsa di Vuitton, per distinguersi dagli altri, quelli davvero ricchi stanno cominciando a cambiare gusti,” spiega al ‘New York Times’ John Osburg, Professore di antropologia presso la University of Rochester, nonché autore di “Anxious Wealth: Money and Morality Among China’s New Rich“, fotografia delle abitudini dei ‘paperoni’ d’oltre Muraglia.
Lo scorso novembre, da Christie Hong Kong, il miliardario Liu Yiqian ha sborsato 45 milioni di dollari per aggiudicarsi un thangka (arazzo tibetano in seta) commissionato oltre seicento anni fa da un imperatore Ming. Una cifra mai pagata prima per un pezzo cinese ad un’asta internazionale. Senza arrivare a tanto, su Taobao, l’eBay ‘in salsa di soia’, gli amanti dell’esotico possono trovare scatole da regalo in pelle di yak a 80 dollari e creme per il viso a base di radici di rosa tibetana. Ai palati più esigenti, Mayke Ame, noto ristorante di Pechino, offre un liquore tibetano a 880 yuan (142 dollari) la bottiglia e lingua di yak brasata a 888 yuan (143 dollari), mentre Tibet 5100 ha già superato Evian e Perier al top delle acque minerali sul mercato cinese.
Nonostante le oltre 130 auto-immolazioni tibetane in chiave anti-Pechino, la fascinazione per il ‘Tetto del Mondo’, con la sua aurea di mistero e la sua sacralità, esercita un notevole appeal sui ricchi Han. Complice la visione idealizzata di cui gode il Tibet come locus amoenus di pace e purezza. Esattamente quel che sognano molti cinesi urbanizzati, stufi della vita caotica delle metropoli ipertrofiche che caratterizzano la Repubblica popolare. Nel 2013, oltre 12 milioni di turisti hanno visitato la regione autonoma (di cui 223mila stranieri) portando nelle casse del Governo provinciale 2,72 miliardi di dollari. Ma se da una parte lo sviluppo dell’industria turistica aiuta a migliorare le condizioni di vita della popolazione locale, dall'altra il discutibile comportamento mantenuto da alcuni visitatori cinesi è motivo di critiche ricorrenti. “Sembra che i tibetani a volte siano osservati dai turisti cinesi come se fossero ad un'esposizione, proprio come gli animali dello zoo, come se fossero lì per essere fotografati indipendentemente dal fatto che vogliano esserlo o no," si legge nel rapporto “Culture Clash: Tourism in Tibet“. D’altra parte, come riporta il ‘Jing Daily’, non di rado il gusto per l’esotico finisce per sconfinare nel kitsch. E’ questo il caso delle opere di Chen Yifei, artista cinese inviso alla comunità tibetana per via delle sue rappresentazioni eccessivamente ‘primitive‘ della minoranza etnica; una specie di ‘mito del buon selvaggio’ dei tempi moderni.
“Penso che tutto questo faccia parte di un interesse spirituale per la coltivazione della moralità. Alcune persone sono veramente interessate a diventare ‘migliori’. Allo stesso tempo, però, questa tendenza viene alimentata dal desiderio di affermare una distinzione sociale,” chiarisce Osburg. Un punto messo in luce dalla crescente attrazione dell’élite cinese per il Buddhismo tibetano, anticamente praticato nelle corti imperiali cinesi e oggi diffuso persino ai piani alti del Partito comunista. Si dà il caso infatti che, nonostante l’ateismo di Stato, le religioni siano state recentemente ‘riabilitate’ dalla leadership come panacea per il vuoto valoriale di cui soffre la società cinese, effetto diretto dell”arricchimento glorioso’ perseguito dal gigante asiatico nell’ultimo trentennio. Secondo un recente sondaggio di WIN/Gallup International, la Cina è “la capitale mondiale degli infedeli“, con solo il 6 per cento dei rispondenti che si definisce ‘credente’ e uno straripante 68 per cento fermamente ateo, il doppio rispetto a qualsiasi altro Paese.
Ciononostante, reclutare guide spirituali è diventata una pratica piuttosto diffusa tra i ricchi Han. E non serve arrivare fino in Tibet. Chi vuole può sempre seguire il Dharma accedendo agli esclusivi club ospitati da comuni privati lontano da occhi indiscreti nel centro di Pechino. Mecenati che, una volta scelto il proprio lama ‘di fiducia’, ripagano la ‘consulenza spirituale’ con bustarelle, banchetti sontuosi e regali sfarzosi. “Non è raro che i giovani ricchi cinesi che possiedono vari appartamenti ne regalino uno al loro guru per organizzare cerimonie e rituali, dal momento che le attività religiose non sono autorizzate in pubblico“, spiega Osburg, sottolineando l’atteggiamento ambiguo mantenuto dalle autorità davanti al diffuso fervore spirituale. Un’ambiguità che ha permesso a Xiao Wunan, ex alto funzionario del PCC, di farsi immortalare, in un video diffuso dalla BBC a gennaio, accanto al Dalai Lama, il leader religioso tibetano additato da Pechino come separatista e in esilio in India dal 1959. Le autorità cinesi e tibetane non si incontrano formalmente dal 2010. Xiao -si mormora vicino al Presidente Xi Jinping per amicizie paterne-, si trovava a Dharamsala in qualità di Vice Direttore dell’Asia Pacific Exchange and Cooperation Foundation (APECF), fondazione sostenuta dal Governo cinese e incaricata dello sviluppo di “progetti significativi“, tra cui un sito buddhista in Nepal del valore di svariati miliardi di dollari. Durante l’incontro, i due si lagnano vicendevolmente dell’approccio di Pechino alla questione tibetana (il Dalai Lama) e del problema dilagante dei finti lama (Xiao), impostori pronti a spennare il primo facoltoso protettore che passa loro sotto mano, in certi casi, ricorrendo alla corruzione pur di ottenere dai funzionari locali un certificato che ne attesti la carica di huofo zheng (‘Buddha vivente’). Invero, quello tra religione e denaro è un connubio tossico ampiamente riconosciuto. A marzo, Shaolin, il celebre tempio delle arti marziali -non insolito a iniziative di dubbio gusto- era finito nuovamente sotto accusa per un piano di espansione in Australia (da 380 milioni di dollari) che prevede un hotel a 4 stelle da 500 posti e un campo da golf a 27 buche.
Come fa notare Osburg, “[In Cina] non c’è quel tipo di rifiuto dei beni materiali tipico dei buddhisti hippie occidentali. [I seguaci cinesi] spesso non sono veramente interessati a diventare illuminati o bodhisattva. Piuttosto pensano: ‘forse potrei sfruttare il potere del Buddhismo tibetano per migliorare il mio business o per tenermi lontano dalla campagna anticorruzione.” Addirittura talvolta ad attrarre è soltanto una generica spiritualità e poco conta se si tratta di Buddhismo, Taoismo o persino Cristianesimo. Uno vale l’altro, purché serva allo scopo.
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