In Cina lo praticano 300 milioni di persone, durante la Lunga Marcia era lo sport preferito di soldati e ufficiali, ed è sopravvissuto persino alla Rivoluzione Culturale. Attenzione: non è il Tai Chi Chuan.
Quando alla fine dell’800 il canadese James Naismith inventò il basket, promuovendo la sua personale interpretazione di “Muscular Christianity”, difficilmente avrebbe potuto immaginare che nel 1935, dall’altro capo del globo, un Paese asiatico e miscredente lo avrebbe eletto “passatempo nazionale“. Né che la Campagna Antidestra dell’epoca maoista lo avrebbe risparmiato, abbassando, invece, la scure sull’amato kung fu, perché -a parere del Grande Timoniere – retaggio dell’epoca imperiale.
Oggi la pallacanestro continua ad essere lo sport prediletto dai cinesi: secondo alcune stime della Chinese Basketball Association, gode di una popolarità maggiore nel Paese di Mezzo che negli Stati Uniti. Volendo quantificare il fenomeno si tenga presente che un sondaggio, condotto dal Workforce Institute di Kronos e riportato da AgiChina 24 lo scorso maggio, ha rivelato che il 60% degli impiegati cinesi si dice disposto a rischiare di perdere il proprio posto di lavoro pur di seguire un incontro sportivo, sopratutto se disputato su parquet. Attualmente la Cina rappresenta il primo mercato internazionale dell’NBA, con incassi in aumento del 30-40% all’anno.
Ad aver calamitato l’attenzione della nazione più popolosa del mondo sulla sfera arancione, non è un mistero, è stata la meticolosa campagna di marketing, condita da una buona dose di patriottismo nazionalistico e sponsor a stelle e strisce, costruita intorno alla figura del cestista cinese Yao Ming, centro in pensione degli Houston Rockets.
Così, se all’inizio era solo il passatempo prediletto dell’Esercito popolare di liberazione, negli anni ’90 il basket cinese ha varcato i confini dell’Impero di Mezzo passando attraverso il filtro della globalizzazione “made in Usa”. Lo sportswear targato Reebok e Nike -di cui per altro è stato testimonial anche Yao – ha ormai nella Cina il proprio mercato di riferimento.
Amata fin dagli albori, con l’arrivo dell’NBA la pallacanestro è diventata una vera e propria mania, tanto che oggi star come Kevin Garnett e Lebron James sono nomi noti anche al pubblico cinese. Da quando nel 1987 la lega americana diede alla CCTV i diritti di trasmissione a titolo gratuito, la popolarita’ di questo sport in Cina e’ cresciuta fino a raggiungere un numero stimato di 450 milioni di tifosi. Ma e’ dall’ingresso di Yao Ming nell’NBA, prima scelta del draft 2002, che il fenomeno ha raggiunto portata epidemica.
Il debutto del “gigante cinese” (un colosso da 229cm X 140,6 kg) contro l’allofamer Shaquille O’Neal e i Los Angeles Lakers inchiodò alla poltrona più di 200 milioni di telespettatori d’oltre Muraglia. Amor patrio ma anche tanta devozione per la sfera arancione, assicurano alcuni ragazzi appassionati di basket e assidui di Chaoyang Park, polmone verde in cui sono situati alcuni dei campi outdoor da pallacanestro più frequentati di Pechino.
Privati di Yao Ming -uscito definitivamente di scena lo scorso anno a causa dei ripetuti infortuni – i fan della mainland hanno trovato il loro nuovo idolo in Jeremy Lin, il 23enne asioamericano nato in California, ma con genitori di origine taiwanese e nonni cinesi. Le prestazioni incredibili dello scorso febbraio lo hanno reso il nuovo beniamino del Dragone, nonostante le posizioni ufficiali del governo cinese rimangano ambigue nei confronti di un sangue misto, per giunta cristiano evangelico.
Conscio dell’importanza che questo sport riveste nel soft power cinese, Pechino ha concentrato i propri sforzi nell’aumentare il prestigio della nazionale, benche’ siano ancora molti i fattori che ne limitano la competitività al di fuori dell’Asia. Priva di veri campioni –Yao escluso – e guidata da allenatori di scarsa fama, alle Olimpiadi la rappresentativa cinese non è ancora riuscita ad oltrepassare la soglia dell’ottavo posto, raggiunto nel 1996, 2004 e 2008.
Inaspettati successi, invece, sono, stati ottenuti in campo femminile. Fin dalla sua fondazione, il team rosa si è ritagliato un posto di primo piano nella pallacanestro asiatica e internazionale, conquistando un bronzo al Campionato mondiale di San Paolo del Brasile nel 1983 e alle Olimpiadi di Los Angeles dell’84; una passerella, quest’ultima, che ha portato la squadra cinese sotto i riflettori della platea globale. Ma è nel 1992, con un argento ai Giochi di Barcellona che la nazionale femminile ha consolidato la sua posizione tra i big a livello mondiale, affiancando ai 10 campionati asiatici vinti un medagliere olimpico di tutto rispetto.
A trainare la rappresentativa rosa in questa serie di successi, Zheng Haixia, debuttante ai mondiali dell’83 e titolare della nazionale sino al ’97. Mossi i primi passi nel team del Wuhan Army club all’età di 12 anni, alle Olimpiadi del 1984 è stata premiata quale cestista cinese più giovane e piu’ alta. Nell’89 ha battuto un secondo record, mettendo a referto 67 punti durante un’amichevole con l’Unione Sovietica, mentre la sua partecipazione a quattro Olimpiadi è stata coronata da una media di FG dell’80%. Fine? Neanche per idea. Con 26,4 punti, 13,1 rimbalzi a partita e l’83,5% di tiri dal campo, Zheng diviene MVP (Most Valuable Player) del World Championship nel 1994, anno in cui la squadra cinese si e’ classificata seconda.
Nel 1997 lasciò la Cina per andare a giocare con i Los Angeles Sparks, franchigia plurititolata della WNBA (prima cinese ad entrare nella Women’s National Basketball Association).
Alla fine della stagione, nel 1998 torna in patria per allenare il team dell’Esercito popolare di liberazione, lasciando la WNBA con una media di 8,9 punti e 4,4 rimbalzi a partita.Tutt’oggi è coach in Cina.
Annoverata tra i 45 migliori atleti cinesi della storia, candidamente confessa: “divenire la prima giocatrice asiatica a vincere il MVP award è stato un momento speciale per una ragazza proveniente da una famiglia di poveri contadini.” Quelle sette ore al giorno di allenamenti (piu’ gli extra del weekend) sono servite ad appagare la propria ambizione: “ho sempre sognato di diventare una giocatrice di successo, ammirata dai propri fan”. Michael Jordan? Un mito del quale apprezza la dedizione alla ricerca della perfezione, perché, sentenzia: “Non bisogna mai smettere di perseguire i propri sogni. Non c’è un traguardo nella propria carriera o un limite al successo che si può ottenere. E’ un po’ come studiare: se vuoi veramente divenire una persona di successo, non devi mai smettere di fare di tutto per sapere sempre di più".
(Scritto per Uno sguardo al femminile)
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