(Scritto per Uno sguardo al femminile)
"Ci sono tre modi per trasgredire la pietà filiale. Il primo è non avere eredi". La massima dell'antico filosofo Mencio continua a tormentare la comunità gay cinese, sebbene oggi la linea ufficiale del governo nei confronti dell'omosessualità si riassuma nell'ambiguo mantra dei tre no: "Non approvare, non disapprovare e non incoraggiare". Un atteggiamento fumoso che si traduce in una scarsa tutela dei diritti degli omosessuali.
Alla fine degli anni '70, l'inizio della politica di riforma e apertura ha sancito un graduale ammorbidimento delle autorità verso chi avesse gusti sessuali "diversi". Nel 1997 l'omosessualità è stata decriminalizzata, mentre nel 2001 (ad Hong Kong nel 1980) è stata finalmente rimossa dalla lista delle malattie mentali.
La relativa libertà concessa dall'assenza di una morale religiosa viene arginata dalla presenza millenaria di un'etica confuciana salda e pervasiva, mentre la politica del controllo delle nascite aumenta il carico di responsabilità su quell'unico figlio che dovrà perpetuare il lignaggio familiare. Non abbastanza, però, da aver impedito agli omosessuali cinesi di lottare per far valere i propri diritti, raggiungendo negli ultimi anni importanti successi.
Oggi nel Regno di Mezzo il numero dei gay (in cinese tongzhi: "compagno") rimane incerto. Se una ricerca parla di un valore che oscilla tra i 360mila e i 480mila, altre statistiche di Pechino e alcuni studi accademici aggiungono tre zeri portando il computo a circa 15milioni; numeri che si suppone siano comunque ritoccati al ribasso. D'altra parte, secondo quanto affermato dall'attivista Ah Qiang, soltanto il 5% degli omosessuali trova il coraggio di fare coming out in famiglia e sul posto di lavoro, nonostante si stimi che circa il 70% della popolazione sia ormai piuttosto tollerante verso questo tipo di comportamenti. Il 50% si sarebbe detto addirittura favorevole al matrimonio gay, come riporta un sondaggio apparso di recente su Sina.com.
E proprio le nozze omosessuali sono da tempo al centro di un acceso dibattito, dalle nostre parti come in Cina. In tutto il mondo sono 14 i paesi ad averle approvate, ma nella regione Asia-Pacifico soltanto la Nuova Zelanda è riuscita "a dire sì". Sebbene l'opinione pubblica sia ormai piuttosto tollerante, nella Repubblica popolare cinese la legge sul matrimonio riconosce esclusivamente il vincolo tra un uomo e una donna, sbarrando la strada a qualsiasi altra forma di unione civile. Diversi sono stati gli appelli per emendare la normativa in materia. Un precedente storico: il riformista-confuciano Kang Youwei, vissuto a cavallo tra il XIX e il XX sec., e la sua proposta utopistica di un contratto matrimoniale temporaneo della durata di un anno, valido per coppie etero e non, di cui parla nell'opera il "Libro della Grande Unità".
Perché l'utopia diventi realtà, dal 2003 la nota sessuologa all'Accademia di Scienze Sociali, Li Yinhe, propone (invano) alla Conferenza politica consultiva un progetto di legge sul matrimonio gay. Ogni tentativo è caduto nel vuoto, tanto per un riconoscimento a livello nazionale quanto a livello provinciale: l'unione omosessuale non ha fatto breccia nemmeno nell'Assemblea legislativa del Guangdong, alla quale Li si era appellata nel 2010 per un'approvazione dell'emendamento almeno in quella che viene considerata la regione più dinamica e riformista del Paese. Non un no secco, comunque. Chiamato a commentare la proposta dell'attivista, un portavoce governativo ha affermato che "i tempi non sono maturi" per il matrimonio gay “ in Cina, lasciando intendere che Pechino potrebbe dare il proprio placet in un futuro non immediato.
D'altronde, a fine aprile, la trasferta cinese del primo ministro islandese Johanna Sigurdardottir, unico capo di governo al mondo dichiaratamente gay, aveva rinfocolato le polemiche sulla questione a causa della consapevole "dimenticanza" dei media governativi, rimasti silenti sulla presenza al suo fianco della consorte. La coppia lesbica è stata ricevuta con tutti gli onori dal presidente Xi Jinping in seguito alla firma di un ghiotto accordo commerciale. Non pare esserci stato tempo, però, per accogliere l'invito della comunità LGBT cinese, declinato ufficialmente dalla Sigurdardottir a causa di un'agenda troppo fitta. Un'astensione -secondo molti- mirata piuttosto a preservare l'idillio tra i due Paesi, evitando di contrariare l'ospite con questioni spinose.
La società si mobilita
Nel mese di marzo, la Ong di Canton Parents, Families and Friends of Lesbians and Gays (PFLAG) si è fatta portavoce delle richieste di cento genitori di figli omosessuali in occasione della riunione annuale dei legislatori cinesi. Stop alle discriminazioni contro le coppie dello stesso sesso è quanto è stato chiesto per iscritto: diritto di proprietà, adozione ed eredità di beni sono tra i principali nodi da sciogliere.
Lo scorso 17 maggio, la ricorrenza della giornata internazionale contro l'omofobia è stata celebrata in Cina con un ulteriore spinta verso il riconoscimento dei diritti civili degli omosessuali. Dieci avvocati cinesi hanno consegnato una lettera aperta alla Commissione affari legali dell'Assemblea nazionale del popolo (Anp), il parlamento del Dragone, affinché coppie etero e omosessuali possano ottenere uguale trattamento davanti alla legge. Lo stesso giorno, in diverse città del Paese hanno sfilato cortei del "gay pride" non senza intoppi. A Changsha, nello Hunan, un'attivista di diciotto anni è stato arrestato con l'accusa di aver organizzato una manifestazione "illegale", termine con il quale viene bollata qualsiasi iniziativa realizzata senza l'approvazione preventiva della polizia.
In generale è possibile evidenziare due atteggiamenti distinti nei confronti delle unioni gay in Cina, a seconda che si parli di media e dibattito pubblico o di mondo politico. Se la questione omosessualità è ormai ampiamente affrontata anche dai mezzi d'informazione ufficiali, il matrimonio gay viene invece trattato ancora con il contagocce. Così dopo l'ampia eco della cerimonia pubblica tra i signori Lu Zhong e Liu Wangqiang, tenutasi nel Fujian lo scorso autunno e comparsa anche sull'agenzia statale Xinhua, la stampa governativa ha invece optato per il silenzio nel caso delle recenti lettere all'Anp. Non è stata altrettanto solerte quando a gennaio due ragazze di Pechino si sono presentate presso l'Ufficio degli Affari Civili per registrare il matrimonio con tanto di giornalisti al seguito. L'atto aveva solo uno scopo provocatorio, ma la notizia è inevitabilmente filtrata anche sui media nazionali.
Vita da tongqi
Le chiamano tongqi e sono le donne cinesi sposate con uomini omosessuali. Non esistono stime esatte, ma stando a quanto dichiarato da Zhang Beichuan, researcher e sessuologo presso l'università di Qingdao, le tongqi sarebbero circa 10milioni, numeri che salgono a 16milioni se si considerano anche le mogli dei bisex.
Come spiegato da Zhang, circa l'80% degli uomini gay decide di convolare a nozze perché si sente in dovere di tramandare il nome di famiglia. L'alternativa più diffusa consiste nel contrarre un matrimonio pro-forma con un'amica lesbica, in modo da accontentare i sogni matrimoniali dei propri genitori. Chi non riuscisse a trovare un finto partner può comunque affidarsi al sito web chinagayles.com, che provvede ad accoppiare gay e lesbiche alla ricerca di un compagno di facciata.
La questione delle tongqi è uscita allo scoperto lo scorso giungo, quando una ragazza di 31 anni del Sichuan si è suicidata dopo aver scoperto le reali inclinazioni sessuali del proprio marito. 630mila yuan (circa 100mila dollari) è quanto hanno chiesto all'uomo i genitori di lei per aver ingannato la figlia; richiesta, comunque, rigettata dal tribunale locale che ha definito il matrimonio tra i due "giuridicamente legittimo".
Lo scorso gennaio la Prima Corte Intermedia del Popolo di Pechino ha avanzato l'ipotesi di una legislazione che permetta di chiedere l'annullamento del matrimonio a chi scopre di dividere il tetto coniugale con un omosessuale. Un provvedimento che eviterebbe così le lungaggini burocratiche del divorzio. La questione è d'altra parte assai complessa. Se il matrimonio venisse ritenuto nullo non sarebbe più necessario provvedere alla tutela dei diritti e degli interessi della sposa, mette in guardia la rivista economico-finanziaria Caixin. Rimane, poi, da definire se il coniuge eterosessuale abbia diritto o meno ad una quota maggiore dei beni della coppia. Altro punto controverso: l'omosessualità può essere ritenuta una motivazione sufficiente per chiedere il divorzio, dato che -come rileva la Corte- "la cessazione del vincolo affettivo" dovrebbe essere ancora il principale criterio di giudizio?
Per qualcuno il mancato riconoscimento del matrimonio gay rischia di travalicare la questione dei diritti umani universali, arrivando a insidiare persino la stabilità e l'"armonia sociale", termine, quest'ultimo, molto caro alla leadership di Pechino. "Tutti sanno che quando un etero e un omosessuale si sposano questa unione porta gravi problemi sociali, costringendo delle persone a vivere nell'infelicità" è quanto avvertono i genitori-petizionisti nella loro lettera al parlamento "la nostra legge sta dunque cercando di incoraggiare tutto questo?"
Taiwan e Hong Kong
Diversa la situazione a Taiwan, che per Pechino non è altro che una "provincia ribelle". Nell'ottobre del 2012, sull'isola democratica è andato in scena il più imponente "gay pride" d'Asia (oltre 50mila partecipanti), al quale ha preso parte anche il sindaco di Taipei. Sempre lo scorso anno si è tenuta la prima udienza sulle unioni omosessuali, portando qualcuno ad ipotizzare che la Repubblica di Cina potrebbe diventare il primo Paese della regione a legalizzare il matrimonio gay. E se Taiwan è parte integrante della Repubblica popolare -come affermano nella mainland- allora in teoria le coppie omosessuali potrebbero convolare a nozze anche in una "Cina estesa" sulla scia del buon esempio dei cugini oltre lo stretto, suggeriscono i più ottimisti.
Timide aperture anche ad Hong Kong, dove lo scorso mese la Corte d'appello ha dato il semaforo verde alla prima unione tra persone transessuali. Una sentenza storica che entrerà in vigore nell'arco di 12 mesi, il tempo necessario ad apportare le necessarie modifiche alla legge sul matrimonio. Il provvedimento, d'altra parte, non legalizza le nozze omosessuali, viste ancora come un tabù nell'ex-colonia britannica recentemente teatro di accese proteste in chiave anti-gay da parte della comunità cristiana evangelica.
(Leggi anche Essere gay è glorioso)
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