mercoledì 27 novembre 2013

Un incidente evitabile


(Aggiornamento del 3 dicembre: con il ritrovamento del corpo dell'ultimo disperso, le vittime accertate salgono a 62)

Alle 10.30 del 22 novembre, i residenti di Huangdao, distretto della città costiera cinese di Qingdao, erano impegnati nel loro tran tran quotidiano, quando improvvisamente si udì un boato tra la Qinghuangdao e la Zhaidangdao. L'esplosione delle linee fognarie aveva sollevato 3,5 chilometri di strada facendo sobbalzare le automobili parcheggiate, nonché uccidendo e ferendo diversi passanti. Le pareti della fabbrica chimica di Lidong erano state ridotte in macerie, graziando i serbatoi di azoto a soli 100 metri dal luogo dell'esplosione. Il 25 novembre il computo delle vittime arrivava a 55 morti, 166 feriti e nove dispersi.

"Un grave incidente imputabile a negligenza". Così ha definito l'accaduto la squadra investigativa speciale inviata sul posto dal Consiglio di Stato. Esplosioni di entità minore non sono rare in Cina, dove l'accumulo di metano nelle reti fognarie spesso sfocia in piccoli incidenti e pochi feriti. Ma stavolta è diverso. Secondo i funzionari, l'esplosione è stata causata da una perdita in una condotta petrolifera della China Petroleum & Chemical Corp. (Sinopec), poi finita nel sistema fognario della città.

"Ciò mette in evidenza che la pianificazione dell'oleodotto e il sistema fognario erano irragionevoli; la gestione della condotta lassista, e le misure di emergenza dopo la perdita inadeguate", ha commentato lunedì in conferenza stampa Yang Dongliang, il capo dell'Amministrazione statale per la sicurezza sul lavoro.

Negligenza Sinopec aveva rilevato la perdita ben sette ore prima dell'esplosione. Come si legge in un comunicato emesso dal colosso petrolifero, la mattina del 22 novembre l'oleodotto Donghuang II, entrato in funzione 27 anni prima, si è rotto riversando petrolio nelle fognature e nel mare. La compagnia avrebbe immediatamente chiuso la pipeline per cominciare le riparazioni. Nelle ore successive diverse altre città hanno ricevuto segnalazioni del problema. Cinque ore dopo, un avviso della perdita di petrolio in mare è stato recapitato al dipartimento marittimo dai funzionari portuali e dalla fabbrica incriminata. Un'ora più tardi lo stesso messaggio è arrivato ai funzionari per la tutela ambientale. In questo lungo e farraginoso passaparola, non è ben chiaro se sia stata Sinopec ad avvertire il governo dell'accaduto. Certo è che alle 10.30 del 22 novembre, i residenti di Huangdao erano ancora all'oscuro di tutto.

Lo Shandong, la provincia in cui sorge la storica città portuale da 9 milioni di abitanti, è sede di uno dei più grandi terminali d'importazione di petrolio greggio del paese. La rivista economico-finanziaria Caixin ha messo in evidenza che l'oleodotto contravveniva alle norme governative in base alle quali le condotte debbono essere costruite ad almeno 15 metri dalle aree residenziali. Non solo. La compagnia sarebbe stata anche a conoscenza dei rischi per la sicurezza, dato lo stato delle pipeline: già due anni fa era in programma che venissero rinnovate, ma il lavoro non era mai stato avviato.

Nella giornata di martedì la polizia di Qingdao ha fatto sapere di aver arrestato nove persone, di cui sette direttamente collegate al colosso statale.

Scuse e apologetica di regime Il giorno seguente l'esplosione Fu Chengyu, presidente di Sinopec, aveva pubblicamente chiesto scusa davanti alle telecamere della televisione di stato CCTV, mentre lunedì il presidente Xi Jinping si era recato nella zona del disastro, dove aveva sollecitato un'indagine "accurata" e punizioni "severe" per i colpevoli.

Questo non sembra essere bastato ai cittadini indignati per la lentezza con la quale l'incidente era stato gestito dalle autorità. E i media vi hanno messo del loro per accrescere il malcontento generale. Stringenti le direttive del dipartimento della propaganda, che il 24 novembre ha diramato un comunicato invitando i media a non mandare reporter sul luogo dell'accaduto e ad attenersi a quanto riportato dai dipartimenti che si stavano occupando dell'incidente. Veniva inoltre vietata la pubblicazione di "commenti irresponsabili", nonché la raccolta di "notizie sui precedenti incidenti che avevano minacciato la sicurezza pubblica".

Quanto alla stampa locale, il giorno dopo l'esplosione il Qingdao Zaobao glissava sull'accaduto preferendo dedicare ampio spazio al mercato immobiliare, con particolare attenzione agli alloggi a prezzi accessibili. La copertura delle notizie su Sinopec è cominciata lunedì 25, in concomitanza con l'arrivo di Xi Jinping in città. Nella giornata di martedì il Qingdao Daily riportava sì l'incidente, ma in chiave positiva esaltando l'umanità del segretario del partito e del sindaco della città che erano andati in visita presso la popolazione colpita. "Non avremmo mai avuto una vita così felice se non fosse stato per il partito e il governo. Noi, persone comuni, siamo veramente molto grati al partito e al governo" si legge sul quotidiano. E ancora: "La gente fa la fila per donare il sangue. L'amore scalda l'inverno freddo". Parole fuori luogo che un internauta ha definito "una celebrazione [di Pechino] attraverso il sangue dei morti".

Precedenti L'incidente di Qingdao ha puntato nuovamente i riflettori sulla prorompente urbanizzazione cinese, avvenuta nel ventennio passato a tappe forzate e senza studi preliminari accurati. Data la rapida espansione dei centri urbani, spesso le condotte degli impianti finiscono per confinare o addirittura varcare i limiti che demarcano le città. E molti degli abitanti non lo sanno nemmeno.

Un tempo Huangdao era un sobborgo lontano da Qingdao. Poi nel 1985 la città è stata trasformata in una zona di sviluppo economico e tecnologico; nel 1992 il governo del distretto e l'amministrazione della zona economica sono si sono fusi, e nel dicembre 2012 hanno finito per incorporare il vicino nucleo urbano di Jiaonan.

Huangdao non è estraneo ad incidenti collegati al settore petrolifero. Nell'agosto del 1989 un'esplosione costò la vita a nove persone, facendo 72 feriti. Un fulmine aveva colpito un serbatoio della Hungdao Oil Depot facendolo saltare in aria; stessa sorte, dopo alcune ore, per altri quattro, ciascuno contenente 10mila tonnellate di petrolio. Un incendio enorme impegnò dodici camion dei pompieri investendo un'area abitata di 4000 metri quadri. 600 mila tonnellate di petrolio si riversarono nel mare, per un danno totale stimato di 35 milioni di yuan. Tempo dopo una squadra investigativa del Consiglio di Stato rilevò difetti nella progettazione dei serbatoi in uso dal 1973. Oggi Huangdao ha due depositi di petrolio uno accanto all'altro. Tra il 1976 e il 1989 la loro capacità di stoccaggio è raddoppiata. Dopo l'esplosione dell'89 i vigili del fuoco avevano lamentato la cattiva manutenzione dei dispositivi di prevenzione installati sui serbatoi. E le linee guida sugli incendi e le esplosioni, emanate diciassette mesi prima da un ministero del governo centrale, giacevano abbandonate sul tavolo di una sussidiaria di Sinopec. Mai attuate.




lunedì 25 novembre 2013

Il Regno delle donne


Migliaia di chilometri separano la capitale argentina di Buenos Aires da un villaggio sperduto della Cina, tanto remoto da non apparire nemmeno sulle mappe. Luoshui, sorge sulle rive del Lugu, uno dei laghi di montagna più grandi di tutta l'Asia, a dodici ore di macchina da Lijiang, massima attrattiva turistica della provincia dello Yunnan che fa da cerniera tra Repubblica popolare, Brimania, Laos e Vietnam. Una provincia melting pot di culture che ospita 25 minoranze etniche differenti, al confine sud-occidentale del paese.

Soltanto quattro giorni prima di arrivare a Luoshui, la prorompente modernità di Pechino aveva accolto Ricardo Coler, medico argentino e appassionato viaggiatore dalla buona penna, con un turbinio di luci, il concerto prodotto dalle suonerie dei cellulari e l'inglese fluente di una giovane accompagnatrice cinese. Una volta giunto al villaggio, il ricordo della capitale fu spazzato via dal lento scorrere di una vita che nemmeno l'omologazione comunista e lo sviluppo a tappe forzate dell'ultimo trentennio sono riusciti a cambiare. Qui vive "la più pura delle società matriarcali, un esempio di come può essere la realtà senza la presunta supremazia dell’uomo e senza l’oppressione che questa supremazia può esercitare".

Durante la sua prima visita, circa un anno prima, Coler aveva lasciato il villaggio con la certezza di volervi tornare. "Mi interessava capire come è una società in cui le donne non sono sottoposte a una cultura maschilista, in cui non hanno meno opportunità degli uomini né sono da loro messe in secondo piano" ci spiega "Mi interessava capire, quando e dove a comandare sono le donne, che tipo di comunità e di famiglia si costituiscono; come funziona l’economia, quale è il rapporto con la sessualità. Volevo raccontare come funziona il matriarcato davvero, e non dal punto di vista della società patriarcale (che è l’unico che abbiamo).

Quello che ha visto e vissuto nei mesi trascorsi a Luoshui, Coler lo ha messo per iscritto. Il Regno delle donne. L'ultimo matriarcato (edito da Nottetempo, 13,18 euro) inaugura una fortunata serie di racconti di viaggio che comprende diverse tappe asiatiche.

"Quando sono stato con i Mosuo ancora non esisteva una strada comoda e rapida per raggiungerli, erano ancora una comunità isolata dal resto della Cina. Lontani dai percorsi del turismo, sono stati con me estremamente amichevoli e e ospitali" racconta a China Files.

I Mosuo, sono un'etnia composta da circa 40mila persone sparse sulle montagne che abbracciano il lago Lugu; Luoshui è soltanto uno degli innumerevoli villaggi Mosuo arroccati sull'altopiano dello Yunnan. Di loro si sa poco. Racconti frammentari, tramandati oralmente di generazione in generazione, si sono susseguiti in mancanza di una lingua scritta in grado di immortalarli per sempre. Per le autorità di Pechino, non sono altro che un sottogruppo dell'etnia tibetana dei Naxi, ma differenti lingue, religioni e culture sembrano mettere in discussione la ripartizione ufficiale.

Notizie discrepanti hanno alimentato pregiudizi, mistificazioni, incomprensioni. L'esploratore Joseph Rock, geografo, linguista e botanico, al ritorno da una spedizione nella regione, nell'edizione del National Geographic datata 1929 scriveva: "Qui le persone vivono e muoiono senza la minima conoscenza del mondo esterno. Com'è opprimente venire sepolti vivi in questo vasto sistema di canyon! O forse sono più felici [di noi] proprio per questo?"

Impietoso, invece, l'avventuriero russo Peter Goullart che, nel suo The Forgotten Kingdom (1955), descriveva la popolazione Mosuo incontrata a Lijiang criticandone i comportamenti promiscui in una testimonianza costruita più sul sentito dire che su una vera esperienza personale.

Nella società Mosuo i pezzi sono disposti sulla scacchiera in maniera differente. Uomini e donne si collocano in posizioni diverse da quelle a cui siamo abituati: le donne hanno tutti i privilegi, mentre gli uomini sono privi anche dei più elementari. E una variante del gioco, un copione diverso per il dramma-commedia-tragedia dei sessi. A Loshui "il sesso femminile non è mai debole". Ogni persona di un gruppo famigliare possiede il nome della madre del clan, e i nomi, così come la proprietà della casa e della terra, sono esclusivamente ereditati dalla stirpe femminile.

Si narra che anticamente, quando era ancora in vigore il sistema feudale, una ristretta aristocrazia patriarcale abbia imposto alla popolazione contadina il matriarcato per mantenere il proprio lignaggio puro da contaminazioni plebee. Progressivamente la figura maschile è stata relegata ad un ruolo di contorno. Oggi le donne si occupano della gestione e dell'economia famigliare, gli uomini, di contro, svolgono lavori pesanti e umili, prendono sporadicamente grandi decisioni, pur detenendo il potere politico. Fattore quest'ultimo che ha indotto gli antropologi a parlare di cultura matrilineare più che di matriarcato puro.

"Credo che quando una donna vive in una società in cui mantiene il cognome di sua madre, in cui è l’unica a detenere denaro e proprietà, ogni guadagno e il comando, ecco, questa donna sicura del proprio ruolo può concedersi anche di svolgere alcune funzioni che storicamente non ha mai disdegnato, senza che questo la faccia sentire sottomessa" commenta Coler "Credo che nelle società matriarcali le donne diventino più femminili. Detengono il potere e sanno chiaramente di non voler diventare uomini".

Il rapporto tra i sessi poggia un legame amoroso chiamato axia (in mandarino zouhun: "matrimonio ambulante") - libertino agli occhi occidentali- in cui incontri a tarda ora nell'abitazione della donna sfociano nella passione di una notte o nell'amore di tutta una vita. Al sorgere del sole l'uomo torna presso la propria casa, salvo poi, se la cosa è andata bene, fare ancora visita alla sua donna: ognuno rimane legato al proprio nucleo famigliare originario. Questo consente ai Mosuo la libertà di innamorarsi senza correre il rischio, nel caso in cui le cose vadano male, di perdere insieme amore e famiglia. "La gelosia nasce solamente quando c’è innamoramento. Quando invece una donna o un uomo Mosuo vivono un periodo di relazioni libere, nessuno si sente il padrone di nessuno" ci spiega Coler.

Il padre non ha responsabilità verso i figli che vengono cresciuti nel clan materno da nonne, sorelle e zii vari. Questo sistema crea una forte stabilità, in quanto morto un genitore sarà la famiglia allargata a prendersi cura del bambino. E permette di mantenere un equilibrio tra i sessi, a differenza di tutte quelle culture che impongono a una donna maritata di trasferirsi presso la famiglia del coniuge con il risultato che, se una coppia ha avuto soltanto figlie femmine, non avrà nessuno a farle da "bastone della vecchiaia". 

In una Cina che si trova a fare i conti con un gap di genere causato da trentanni di politica del figlio unico (tra un quindicennio 30 milioni di uomini potrebbero non riuscire a trovare una compagna) i Mosuo sfidano il modello confuciano, rigorosamente patriarcale, proponendo una formula alternativa che potrebbe essere la risoluzione di tanti problemi. Come fatto notare ingenuamente dal capo di Luoshui -autorità politica e quindi maschio-: gli Han, l'etnia maggioritaria in Cina, "lasciano la propria casa per sposarsi, devono spartire la proprietà tra i figli, che a loro volta la condividono con i membri di altre famiglie, ovvero con i loro coniugi. E questo genera sempre conflitti, perché ogni membro della coppia cerca di far pendere la bilancia a favore della propria famiglia, e alla lunga tutti si dimenticano dei propri anziani".

Proprio al problema della tutela dei parenti più anziani Pechino ha cercato di ovviare recentemente trasformando la "pietà filiale", predicata da Confucio, in legge. Dal primo luglio, infatti, i giovani sono tenuti a prestare attenzione ai bisogni psicologici dei vecchi genitori e a far loro visita di frequente, -non è stato detto ufficialmente ma molti lo pensano- per sopperire alle lacune di un welfare inefficiente che difficilmente riuscirà a gestire i 202 milioni di anziani previsti entro la fine dell'anno.
Una cosa impensabile per i Mosuo che, a onor del vero, partono avvantaggiati potendo avere fino a tre figli, grazie alle politiche privilegiate sulle nascite riservate dal governo centrale alle minoranze etniche.

Così mentre il resto del Paese si barcamena nel tentativo di squarciare il velo di pudore che impedisce ancora una visione del sesso matura e consapevole (con esiti a dir poco grotteschi, come nel caso del un video sull'educazione sessuale divenuto virale sul web http://i.youku.com/u/UMTAwODc2OTQ4), a Luoshui l'atto amoroso continua a mantenere quel carattere giocoso e spensierato che lo ha contraddistinto per secoli. E mentre nel resto del Paese le autorità devono tirare per la giacca i figli inadempienti verso i propri vetusti parenti, in quell'angolo remoto del Regno di Mezzo, nessuno mai in vecchiaia si sente abbandonato. Omicidi e stupri sono una rarità, "la violenza in ogni sua manifestazione genera riprovazione e qualsiasi reazione sproporzionata è malvista".

Per quanto sia stato soggetto a facili idealizzazioni, questo microcosmo felice non sembra proprio appartenere a quella Cina nota alle cronache recenti per accoltellamenti nei corridoi delle scuole e degli ospedali, e dove abusi e discriminazioni fanno parte del vivere quotidiano di molte donne.

L'idillio Mosuo rischiò di venire spezzato quando sulla Repubblica popolare si stagliò la figura di un gerarca maschio, padre e capo di un miliardo di "compagni". A Mao la diversità Mosuo non piaceva. Nel 1950 le autorità dello Yunnan stabilirono che, con le loro relazioni amorose, perpetuavano una pratica primitiva, divenuta illegale un anno prima con la fondazione della Repubblica popolare. La Rivoluzione comunista aveva bisogno di braccia forti, non di uomini infiacchiti dalle nottate passate sotto le lenzuola con le loro donne.

Sei anni più tardi, in piena riforma agraria, la distribuzione delle terre in base alla residenza dell'uomo si presentava come un primo affondo al sistema matrilineare. La proposta era allettante: chi avesse accettato di separarsi dalla madre per fondare una famiglia come quelle che esistevano nel resto della Cina, sarebbe divenuto titolare delle terre che coltivava. Eppure non fu pervenuta neppure una richiesta.

Così nel 1958, mentre il Paese cercava di compiere il suo Grande balzo in avanti, nella regione furono inviati alcuni gruppi di lavoro con lo scopo di istituire un regime monogamico socialista. I primi matrimoni crearono caos tra le famiglie. A puntare i piedi furono proprio le matriarche addolorate nel vedere le proprie figlie abbandonare la casa per andare a vivere con un "estraneo". Nel 1966 la Rivoluzione Culturale spazzava via i quattro vincoli con il passato: le vecchie consuetudini, i vecchi costumi, la vecchia moralità e la vecchia cultura.

"Oltre che al potere politico, a quello di clan e all'autorità religiosa, la donna e sottoposta al potere dell'uomo (potestà maritale). Questi quattro poteri rispecchiano l’insieme dell’ideologia e del sistema feudale-patriarcale e sono i quattro grossi vincoli che tengono avvinto il popolo cinese, e in particolare i contadini", si legge nel Libretto rosso di Mao.

Il diktat di Pechino sfociò in un incomprensibile paradosso. Mentre nel resto del Paese si cercava di abolire la consuetudine dei matrimoni combinati, i Mosuo venivano costretti a sposarsi e a dare vita ad un nucleo famigliare che la loro tradizione non riconosceva. Ma il trambusto "durò soltanto per il tempo in cui poté durare la pressione del regime. Non appena gli inviati di Mao se ne andarono, come in un colossale gioco infantile ciascuno ritornò al proprio posto. Le donne ricominciarono a metter su casa con i propri figli e gli uomini abbandonarono un ruolo che sentivano estraneo per riprendere il loro posto nel luogo a cui in realtà appartenevano: la casa della madre". Non solo. E' capitato anche che funzionari dislocati nelle selvagge terre di confine abbiano finito per cedere alle grazie delle donne Mosuo, integrandosi nel sistema. D'altra parte, si sa, "le montagne sono alte e l'Imperatore è lontano", recita un proverbio cinese.

Dopo aver resistito alle bordate del governo, per un destino beffardo, oggi il Regno delle donne si sta lentamente sgretolando sotto i colpi di un falso amico. La modernizzazione cinese è arrivata anche a Luoshui, e con lei la figura di una donna diversa. Giovani ragazze lasciano il lago Lugu per costruirsi una nuova vita nella capitale o addirittura oltreconfine; alcune tornano sui loro passi, deluse per quel sistema patriarcale adocchiato alla tv. Quanto ai maschi, le ghiotte opportunità di lavoro nei paradisi turistici limitrofi di Lijiang, Lhasa, Kunming e Chengdu li spinge sempre più ad abbandonare i villaggi d'origine per fare affari lontano da casa, mentre il mito dell'axia viene deturpato da false donne Mosuo che dispensano sesso a pagamento nei bordelli spuntati come funghi nella zona.

Senza nemmeno alzare un dito, Pechino potrebbe presto riuscire a liberarsi di un'alterità che ha saputo spingersi oltre i confini ufficiali senza impensierire il governo con velleità indipendentiste, come avvenuto invece nelle regioni autonome del Tibet e dello Xinjiang.

"Ufficialmente il governo cinese non fa pressioni sui Mosuo affinché abbandonino il matriarcato" prosegue Coler "In effetti, non ne ha bisogno perché la costruzione di un’autostrada e il conseguente arrivo nella regione di soldi e investimenti porteranno prima o poi al risultato voluto. Il business del matriarcato finirà assieme al matriarcato".

(Scritto per Asia Magazine/China Files)












domenica 24 novembre 2013

25 novembre


(Scritto per il numero speciale di Uno sguardo al femminile per la giornata mondiale contro la violenza sulle donne)

Un'ondata di violenza sta travolgendo la regione Asia-Pacifico a ritmi impressionanti, e le prime a pagarne le spese sono le donne. Lo confermano i risultati di una ricerca pubblicata lo scorso settembre dalle Nazioni Unite che ha coperto Bangladesh, Cambogia, Cina, Indonesia, Papua Nuova Guinea e Sri Lanka: quasi la metà degli oltre 10.000 uomini intervistati ha riconosciuto di aver usato violenza fisica o sessuale contro una donna, un quarto ha ammesso lo stupro, il 4% di aver preso parte ad abusi di gruppo.

Nella maggior parte delle aree prese in esame la violenza femminile si attesta tra il 30 e il 57%, oscillando dal 26% dell'Indonesia rurale all'80% di Bougainville, nella Papua Nuova Guinea. Eccetto Bougainville, tutti i paesi coperti dal sondaggio hanno rivelato una netta prevalenza di stupri e violenze all'interno di una relazione. Tra il 72% e il 97% degli uomini macchiatisi di crimini contro le donne è rimasto impunito.

Tra i risultati più scioccanti dell'indagine balza agli occhi l'età giovanissima alla quale gli intervistati sono stati coinvolti in episodi di violenza. La metà di quanti si sono dichiarati colpevoli ha rivelato di aver messo in atto maltrattamenti fin dall'adolescenza; il 23% di Bougainville e il 16% della Cambogia ha affermato di aver avuto 14 anni o anche meno al momento del primo stupro.

Lo studio -condotto da Partners for Prevention, sforzo congiunto a livello regionale tra il programma delle Nazioni unite per lo Sviluppo (UNDP), il fondo delle Nazioni unite per la popolazione (UNFPA), UN Women e i Volontari delle Nazioni Unite (UNV) nell'Asia e nel Pacifico- sottolinea, altresì, la scarsezza dei finanziamenti destinati alla ricerca demografica e sociale da parte di chi detiene il potere decisionale. I sostenitori dei diritti delle donne hanno tentato in vari modi di trascinare il problema degli abusi davanti agli alti scranni della politica, mettendone in luce gli enormi costi economici. Come riporta CARE, nel Bangladesh, per esempio, il costo totale delle violenze domestiche, nel 2010, ha superato gli 1,8 miliardi di dollari, pari al 12,7 % della spesa pubblica di quell'anno e molto vicino a quanto sborsato complessivamente per salute e nutrizione.

I numeri snocciolati dalle Nazioni Unite rivelano la necessità di prevenire prima ancora che curare, mettendo in discussione i principi su cui poggia la "mascolinità" in molte aree del globo. Tra le motivazioni più ricorrenti addotte dagli intervistati colpevoli di stupro, infatti, svetta la convinzione maschile di avere "diritto al sesso" anche senza il consenso della donna (questa la risposta data da oltre l'80% nel Bangladesh e nella Cina rurale). Molti dei violenti, d'altra parte -come si legge nello studio-, hanno alle spalle a loro volta un passato di maltrattamenti e abusi sessuali in età infantile. Alta anche la percentuali di quanti soffrono, o hanno sofferto, di stress e depressione con tendenze al suicidio.

Numerosi sforzi sono stati diretti a inquadrare la cosiddetta violenza "privata" nella debacle femminile nella ricostruzione pacifica dei paesi frequentemente soggetti a conflitti (nei principali processi di pace condotti tra il 1992 e il 2011, erano donne soltanto il 9% dei negoziatori, il 4% dei firmatari e il 2,4% dei mediatori). Le prove concrete della sconfitta sono ravvisabili nello stanziamento di fondi inadeguati per implementare le politiche consigliate da alcune agenzie esterne, come l'Agenzia australiana per lo sviluppo internazionale, che già nel 2009 aveva cercato di sensibilizzare l'opinione pubblica riguardo le violenze femminili nella Melanesia e a Timor Est. Proprio il governo di Canberra ha tentato di tingere di rosa la diplomazia regionale con la nomina di un'Ambasciatrice Globale per le Donne e le Ragazze, Penny Williams, entrata in carica nel settembre 2011 sotto la premiership di Julia Gillard. Obiettivo primario: sostenere la partecipazione paritaria delle donne nelle questioni economiche, politiche e sociali.  

Ma nell'ultimo studio di Partners for Prevention a rimetterci la faccia è sopratutto la Cina, il gigante asiatico definito dai più un paese a due velocità; dove il repentino sviluppo economico degli ultimi anni stride con la lenta sensibilizzazione verso i diritti umani. La condizione delle donne cinesi è ancora tutt'altro che da seconda potenza mondiale, con una lunga tradizione confuciana che per secoli ha voluto l'"altra metà del Cielo" sottomessa alla figura maschile attraverso l'osservanza dei "tre principi d'obbedienza" (sottomissione al padre prima del matrimonio, quindi al marito e, in caso di vedovanza, al fratello.

Secondo i risultati di un'indagine pubblicata nel 2011 da All China Women's Federation (ACWF), in Cina, circa un quarto delle donne sposate ha subito una qualche forma di abuso durante il matrimonio, e per più del 5% le violenze familiari sono ancora una realtà di tutti i giorni. Il 24,7% è stato sottoposto ad umiliazioni verbali, abusi sessuali e restrizioni della propria libertà, perdendo il controllo delle proprie finanze; il 5,5% è vittima di maltrattamenti fisici, con un tasso del 7,9% nelle zone rurale e del 3,1% nelle aree urbane.

Martedì, in occasione di un seminario congiunto tra Repubblica popolare e Australia -che ha sancito la nascita del primo centro d'intervento sulle violenze domestiche cinese- Tan Lin, segretario di ACWF ha dichiarato che le associazioni per la tutela delle donne ricevono all'anno 50 mila casi di abusi in famiglia.

Diversi sondaggi effettuati tra le detenute delle prigioni cinesi hanno rivelato un significativo collegamento tra i crimini commessi e le violenze subite in casa. Per esempio, un'indagine effettuata nel 2005 dietro le sbarre, nella provincia nord-orientale del Liaoning, mostra che il 50% delle donne arrestate per reati gravi aveva subito maltrattamenti in famiglia.

Nonostante, nell'ultima decade, il governo di Pechino abbia progressivamente migliorato il quadro legislativo per proteggere chi ha subito violenze tra le mura domestiche, tuttavia i nodi da sciogliere sono ancora molti. Il termine "violenza domestica" ha fatto la sua prima comparsa nel corpo normativo cinese soltanto nel 2001, quando la Legge sul Matrimonio è stata emendata comprendendo alcune misure volte a prevenire i maltrattamenti in famiglia. Nella stessa occasione veniva fatta chiarezza sulle responsabilità in materia dei comitati di villaggio e di quartiere.

Oggi la Cina manca ancora di una legge contro le violenze domestiche che dia indicazioni specifiche su come portare avanti i casi nelle corti di giustizia. La mancanza di procedure concrete per la raccolta di prove che attestino "frequenti e costanti abusi" rappresenta uno degli ostacoli maggiori.

Nel luglio 2011, per la prima volta, All China Women's Federation ha presentato all'Assemblea nazionale del popolo, il parlamento cinese, una bozza di legge contro le violenze domestiche che è stata inclusa nell'agenda di quest'anno per essere discussa, al fine di valutarne la necessità e fattibilità.
Nel frattempo, il governo ha lanciato una serie di progetti di riforma ed esperimenti politici per rafforzare la capacità delle istituzioni giuridiche e responsabilizzare gli attori del sistema della giustizia verso la questione. E' questo il caso degli "ordini di protezione" per i sopravvissuti alle violenze emessi da oltre 200 tribunali a livello locale attraverso tutto il paese.

D'altra parte, i dati rilasciati lo scorso ottobre da un tribunale di Pechino mostrano che meno del 20% delle richieste di tutela contro le violenze domestiche vengono accolte dalle corti di giustizia, sopratutto per via della difficoltà nelle verifiche e nella raccolta delle prove. Le cifre rilasciate da altre provincie, come il Guangdong e lo Shandong, indicano tassi ancora più bassi che vanno dal 2 al 15%.

A ciò si aggiunga la scarsa reattività da parte delle istituzione competenti a livello comunitario. Gli episodi di violenza domestica rientrano nell'ambito di pertinenza della polizia dal 2008, ma è lunga la lista dei casi in cui le forze dell'ordine non sono state in grado di prevenire vere e proprie tragedie. Qualcuno, forse, ricorderà la storia di Dong Shanshan, picchiata a morte dal marito, nel 2009, dopo aver chiesto aiuto alla polizia ben otto volte.

E se i maltrattamenti tra le mura di casa rappresentano una delle piaghe più dolenti per le donne cinesi, gli abusi al femminile, nel Regno di Mezzo, hanno assunto anche forme pressocchè istituzionalizzate. Negli ultimi 30 anni la politica sul controllo delle nascite, avviata negli anni '70 per mettere un freno all'iperbolica crescita demografica del paese, -secondo le stime del ministero della Sanità- ha portato alla realizzazioni di 400 milioni di aborti, 196 milioni di sterilizzazioni, mentre sarebbero 403 milioni le donne sottoposte all'introduzione di dispositivi anticoncezionali intrauterini. Proprio alcuni giorni fa, in occasione della Terza riunione plenaria del Partito, la leadership di Pechino ha deciso di rimettere mano alla politica del figlio unico, permettendo alle coppie formate da un figlio unico di avere fino a due bambini.

La riforma, che giunge in un momento in cui il Dragone si trova a fare i conti con una popolazione sempre più vecchia e composta prevalentemente da uomini, sembra avere poco a che fare con il raggiungimento di una piena maturità nel campo dei diritti umani. A impensierire l'establishment pare piuttosto essere il trend in discesa della forza lavoro nazionale (entro il 2020, la popolazione tra i 15 e i 59 anni passerà da 944 milioni a 920 milioni di unità, secondo le stime dell'Ufficio nazionale di Statistica). Le nuove disposizioni - avvertono gli esperti- lasceranno immutata la natura sostanziale della politica di pianificazione familiare che include l'utilizzo di misure coercitive per controllare le nascite. Non di rado i funzionari locali, al fine di rispettare le quote stabilite dal governo, forzano le donne ad acconsentire all'inserimento di dispositivi intrauterini, o -nel caso in cui abbiano già avuto "troppi" figli- alla sterilizzazione e all'aborto. E i numeri parlano chiaro.

























venerdì 15 novembre 2013

Basta figli unici

(Errata corrige: gli anni di detenzione nei campi di lavoro per reati minori sono massimo quattro, non cinque come avevo scritto)

Nella tarda serata di venerdì Pechino ha rivelato al mondo la roadmap dettagliata delle tanto agognate riforme discusse durante il Terzo plenum del Comitato centrale del partito, tenutosi dal 9 e il 12 novembre. Le novità sono, come preannunciato giorni fa dai leader, "senza precedenti" e "onnicomprensive".

Le linee generali emerse alla conclusione del meeting avevano lasciato l'amaro in bocca per la loro vaghezza, inducendo molti a credere nell'ennesimo artificio di vacua retorica da parte del regime. Malfidati tutti. Il Dragone oggi ha fatto sapere che, tra le altre cose, allenterà la politica del figlio unico, in vigore dalla fine degli anni '70, e abolirà il laojiao, ovvero il sistema di rieducazione attraverso il lavoro istituito alla metà del secolo scorso da Mao Zedong, e che prevede la detenzione fino a quattro anni senza pubblico processo. Due provvedimenti con i quali la dirigenza punta a migliorare la situazione dei diritti umani nel paese, si legge nel comunicato pubblicato dall'agenzia di stampa Xinhua. Non male a pochi giorni dall'elezione della Cina tra i nuovi membri del Consiglio delle nazioni unite per i diritti umani -criticata aspramente dalle organizzazioni internazionali per via dell'ostinazione con la quale Pechino continua a negare all'Onu l'accesso ad alcune zone del paese (oltre a questione tibetana e tasti dolenti vari).

La politica del figlio unico merita notevole attenzione per via delle ripercussioni che avrà una sua modifica su diversi aspetti della società cinese, avendo giocato un ruolo di primo piano nella strabiliante crescita economica che ha portato la Cina a divenire la seconda potenza mondiale da "malata d'Asia" qual'era.

Da tempo era stata messa in risalto la necessità di riformare il sistema. Secondo le nuove direttive del Diciottesimo Comitato centrale del Partito, le coppie di etnia Han e residenti nelle aree urbane, in cui uno dei due coniugi è figlio unico, potranno avere fino a due figli. Tale concessione era già prevista per le coppie di altre etnie, residenti nelle aree rurali o in cui entrambi i membri erano figli unici. In altre parole le rigide limitazioni della politica del figlio unico continueranno ad essere in vigore soltanto per quei genitori Han, urbani, ed entrambi con fratelli; una percentuale piuttosto esigua.

Non mancano gli scettici. La riforma -avvertono gli esperti- lascerà immutata la natura sostanziale della politica di pianificazione familiare che include l'utilizzo di misure coercitive per controllare le nascite. Non di rado i funzionari, per rispettare le quote stabilite dal governo, forzano le donne a sottoporsi a esami ginecologici regolari, ad acconsentire all'inserimento di dispositivi intrauterini, o -nel caso in cui abbiano già avuto "troppi" figli- alla sterilizzazione e all'aborto.

Quartz riporta sei fattori sui quali il cambio di politica delle nascite avrà forti ripercussioni.

Più giovani, più forza lavoro
Secondo le stime di Bank of America questo "piccolo" aggiustamento porterà circa 9,5 milioni di nuovi nati ogni anno. Lo scorso anno la forza lavoro cinese, che conta 930 milioni di persone, per la prima volta ha accusato una drastica riduzione. Tale trend in discesa continuerà ad aggravarsi come gli attuali 40enni e 50enni raggiungeranno la pensione. Quello che servirebbe ora è un baby boom; il Dragone è ancora in tempo? Si stima che a partire dal 2025 la forza lavoro cinese perderà 10 milioni unità all'anno, e la ripresa di ogni paese necessita decenni per ottenere un ribilanciamento. Per le Nazioni Unite, basterebbe aumentare il tasso di fertilità di 2,3 bambini per donna dall' 1,6 attuale e il declino della forza lavoro verrebbe dimezzato entro il 2050, passando dal 17,3% all'8,8%.

Aumento dei consumi
Permettere alle persone di avere più figli innescherà immediatamente un aumento della spesa per prodotti quali latte artificiale, cibo, vestiti, nonché nel settore dei servizi educativi. Esattamente ciò di cui Pechino ha bisogno per incentivare lo spostamento verso un modello di crescita basato sui consumi ineterni, ora che le esportazioni -zoccolo duro della decade passata- languono.

Una società più "armoniosa"
La fine di pratiche in piena violazione dei diritti umani, quali aborti forzati, testimoniano la serietà delle riforme intraprese dai nuovi leader. "Crediamo che il presidente Xi Jinping e il Premier Li Keqiang sfrutteranno l'abolizione della politica del figlio unico per consolidare la propria autorità, mostrare la propria convinzione nel'apportare cambiamenti e convincere i cittadini che hanno una roadmap per le riforme" è stato il commento degli economisti di Bank of America Ting Lu e Xiao Jiazhi. Una popolazione più felice è anche una popolazione meno irascibile e potenzialmente sovversiva (i timori del partito per l'armonia sociale sono stati oltremodo palesati con l'annuncio della nascita di un Comitato per la sicurezza dello Stato, sul versante interno e internazionale).

Riduzione del gap di genere
La preferenza per il sesso maschile, che affonda le sue radici nella tradizione confuciana, ha indotto per secoli molti genitori cinesi ha fare di tutto pur di non avere un'erede donna (dove "di tutto" include spesso e volentieri aborti di feti femmina e infanticidi). Tale tendenza ha portato ad uno squilibrio di genere che ha toccato il suo picco massimo nel 2004, anno in cui sono nati 121,2 maschi per 100 femmine. Questo vuol dire che entro il 2020 tra i 30 milioni e i 35 milioni di uomini in età da matrimonio potrebbero non trovare una partner. L'ammorbidimento della politica del figlio unico non risolverà il problema discriminazione verso l'"altra metà del Cielo", ma certamente aiuterà a ridurre la pressione sui genitori in caso di fiocco rosa.

Un mercato immobiliare più sano
Non avendo fratelli, le coppie di trentenni cinesi sono spesso gli unici eredi dei propri genitori, i quali, una volta passati a miglior vita, lasceranno loro almeno due case extra (forse anche di più dato il trend degli investimenti nel mattone, fa notare Quartz). Sebbene i prezzi del real estate, sopratutto nelle città, sia ancora alle stelle, questa offerta di abitazioni in eccedenza ha preoccupato gli analisti, che da diverso tempo paventano un collasso del mercato immobiliare. La fine della politica del figlio unico dovrebbe scongiurare il rischio esplosione bolla, nonostante serviranno decine di anni perché i suoi effetti si concretizzino.

Aumento della pressione sulle risorse naturali
Nei piani di Deng Xiaoping la politica del figlio unico avevo lo scopo di frenare il boom demografico, a fronte di scarse risorse, e rilanciare la crescita economica del paese. In futuro i 9,5 milioni di nuovi nati all'anno avranno bisogno di cibo, acqua e alloggi. La terra arabile pro capite in Cina è la metà della media mondiale; il 40% di questa è considerata "degradata", dunque pressoché improduttiva. E il governo ha già avvertito che entro il 2030 la domanda di acqua potrebbe superare l'offerta.

Rimane poi aperto un interrogativo: leggi a parte, le giovani coppie desiderano veramente avere più figli? Molti ragazzi dicono di non volerne nemmeno uno a causa dell'aumento del costo della vita, divenuto proibitivo nelle grande città. A ciò si aggiungono alcuni limiti naturali, come l'aumento dell'infertilità -maschile e femminile- dovuto al devastante inquinamento ambientale di cui soffre il paese.





lunedì 11 novembre 2013

Un partito per Bo Xilai


Quanti si immaginavano la fondatrice del Partito dedicato al deposto Bo Xilai come un'esaltata sostenitrice del maoismo più spinto probabilmente dovranno ricredersi. Wang Zheng, professore associato presso la Beijing Institute of Economics and Management, non ama definirsi una fan di Bo perché "i fan non sono razionali, io invece lo sono", racconta in un'intervista alla Reuters.

Il Zhi Xian Party, traducibile come "La Costituzione è l'autorità suprema", è nato il 6 novembre, proprio alla vigilia del Terzo Plenum, l'appuntamento più importante nell'agenda politica dei nuovi leader, a un anno dal ricambio al vertice, che -stando a quanto preannunciato dai leader- avvierà riforme "senza precedenti". E Bo Xilai, l'ex segretario di Chongqing al centro del più clamoroso scandalo politico in salsa di soia dell'ultimo ventennio, sarà il suo "Presidente eterno".

“Il Partito è stato istituito perché siamo pienamente d'accordo con la politica della prosperità comune di Bo Xilai” si legge in un documento redatto dai suoi fondatori in chiaro riferimento alle politiche egualitarie dell'ex astro nascente, che per il suo populismo rosso acceso si è guadagnato l'appellativo di Nuovo Mao. D'altra parte, stando a quanto riportato da Associated Press, il Zhi Xian Party pare abbia ricevuto poche adesioni per il momento, mentre molti noti commentatori maoisti hanno affermato di non essere al corrente nemmeno della sua esistenza. Wang, che non ha dato le cifre esatte, si è limitata a dire: “Abbiamo più membri rispetto a quelli che nel 1921 erano presenti alla fondazione del Pcc”.

Ciò nonostante la portata del gesto è a dir poco rivoluzionaria. Una nuova organizzazione politica sfida il Partito comunista cinese (Pcc), al potere dal 1949, prendendo come suo leader simbolico un politico corrotto attualmente in prigione, dove rimarrà presumibilmente per il resto dei suoi giorni, come stabilito dalla corte intermedia di Jinan lo scorso settembre. Corrotto, ma sopratutto temuto ai piani alti per via del suo ambizioso protagonismo, contraddistinto dalla sponsorizzazione di un modello di governance concorrenziale rispetto a quello voluto da Zhongnanhai, e ciò nonostante capace di conquistare l'approvazione popolare.

La Costituzione cinese formalmente garantisce la libertà di associazione, insieme alla libertà di parola e di riunione, ma nei fatti il regime ne ostacola la loro messa in pratica. Mantiene una posizione ambigua invece per quanto riguarda la creazione di partiti politici, che non vieta ma che nemmeno consente esplicitamente. Tuttavia Pechino continua a permettere l'esistenza di otto partiti non comunisti fondati prima del '49, il cui scopo è quello di "consigliare" piuttosto che ricoprire un vero ruolo di opposizione, commenta la Reuters. La ragione è semplice: il Pcc intravede un potenziale sovversivo nella fondazione di partiti concorrenti. Ragione per la quale nel 1998 il dissidente Xu Wenli è stato condannato a 13 anni di carcere per aver collaborato alla nascita del China Democracy Party. Soli due anni più tardi la leadership riuscì a reprimere il movimento nascente e a rinchiudere tutti i suoi membri. Nel 2002 Xu fu costretto all'esilio negli Stati Uniti per motivi di salute.

Una sorte analoga è toccata ai dissidenti firmatari della "Charta 08", manifesto sottoscritto nel 2008 da 303 intellettuali allo scopo di avviare una serie di riforme politiche volte alla democratizzazione della Repubblica popolare. Liu Xiaobo, uno dei promotori del movimento, finì in prigione un anno più tardi; e proprio da dietro le sbarre si vide assegnare il premio Nobel per la pace nel 2010.

Ma per il Zhi Xian Party è diverso. Nessuno dei suoi membri ha intenzione di ripudiare il Partito comunista, assicura Wang. Quello che vogliono i suoi fondatori è semplicemente ottenere dal governo cinese la tutela della libertà di riunione e l'istituzione di un procedimento elettorale per scegliere i rappresentanti del popolo. I firmatari della Charta 08 "avevano buone motivazioni, ma il modo in cui hanno portato avanti le cose era sbagliato" ha commentato Wang, riconoscendosi favorevole a elezioni dirette per i membri dell'Assemblea nazionale del popolo, sorta di parlamento fantoccio cinese, i cui candidati vengono preselezionati e approvati dal Partito comunista.

La sua battaglia per difendere Bo Xilai è cominciata di recente, dopo che il principe rosso si è trovato invischiato nell'omicidio del businessman britannico Neil Heywood, per il quale la moglie di Bo è stata condannata alla pena di morte sospesa nell'agosto 2012. Nutrendo la netta sensazione che l'ex astro nascente fosse stato incastrato, Wang ha scritto due lettere aperte che le sono costate un breve periodo di detenzione. Una volta rilasciata, ha cominciato a ricevere messaggi di sostenitori e simpatizzanti di Bo. "Tutti mi dicevano che tipo di uomo era stato Bo Xilai; si trattava di gente comune", racconta, "Solo allora ho cominciato a capire chi era veramente [Bo]. Così ho assunto un punto di vista oggettivo e legale quando si parlava di lui, fino a diventare una sua sostenitrice".

Alla fine di giugno Wang ha preso la via di Chongqing per conoscere i simpatizzanti di Bo. Costretta a tornare a Pechino è stata messa ai domiciliari per circa una settimana, periodo durante il quale ha portato avanti uno sciopero della fame conclusosi con un ricovero in ospedale. Eppure tutt'oggi dimostra coraggio da vendere. "Noi non abbiamo paura. Non penso che ci arresteranno" ha dichiarato in un'intervista alla Reuters, nonostante abbia raccontato di essere costantemente sorvegliata da agenti in borghese che tengono sott'occhio la sua abitazione.

In passato il Pcc ha provveduto ad azzittire le voci amiche dell'ex "imperatore" di Chongqing censurando i siti di estrema sinistra e arrestando alcuni suoi sostenitori, come nel caso di Song Yangbiao, reporter di The Time Weekly detenuto in agosto "per aver causato dissenso e disturbo". Song aveva utilizzato il suo account Weibo, il Twitter cinese, per denunciare le irregolarità del processo che quest'estate ha visto Bo rispondere delle accuse di corruzione, appropriazione indebita e abuso di potere.

A dimostrare come la ferita sia ancora fresca, questo mese un documento interno del Pcc ha invitato i funzionari ad allinearsi alla leadership e a trarre insegnamento dagli errori commessi da Bo.

La nascita del Partito pro-Bo Xilai giunge in un momento particolarmente delicato per Pechino. Nelle ultime settimane il Dragone si è trovato a dover far fronte a due atti dimostrativi in aree politicamente sensibili. Dal Suv kamikaze in piazza Tian'anmen, che il regime ha collegato al gruppo terroristico xinjianese dell'East Turkestan Islamic Movement (ETIM), alle sette bombe esplose davanti alla sede del governo di Taiyuan, nello Shanxi, opera -pare- di un 41enne con precedenti penali.

Ma mentre la leadership agita con sempre maggior frequenza il fantasma del terrorismo, la tempistica degli incidenti (due in due settimane e proprio a pochi giorni dalla riunione plenaria) hanno portato certuni ad avanzare l'ipotesi azzardata di un complotto. Un gesto estremo da parte di quei "compagni" ostili alle riforme "onnicomprensive" con le quali Pechino punta a raddrizzare alcune delle storture evidenziate dal proprio modello di crescita. Prima tra tutte la controversa ristrutturazione delle aziende di Stato, le quali agiscono in situazioni di monopolio costituendo terreno permeabile alla corruzione, in quanto spesso presiedute da uomini legati al potere politico.

Le banche e le aziende governative, che dovrebbero essere il cuore della riforma economica del paese, sono, infatti, in mano alle famiglie più influenti della politica cinese, poco inclini a rinunciare ai propri privilegi. Tra gli storici oppositori a una riduzione del potere delle imprese statali, nonché all'ingresso di capitali privati nel sistema finanziario cinese, abbiamo niente meno che Zhou Yongkang, padrino politico di Bo Xilai, zar della sicurezza in pensione e negli anni '90 capo della China National Petroleum Corporation (CNPC), colosso petrolifero finito di recente nel mirino degli ispettori di Pechino, in una campagna senza precedenti volta a fare ordine e pulizia nei grandi conglomerati di Stato. Le vittime illustri sono già numerose e i ben informati sono pronti a scommettere che anche Zhou farà presto la fine dei suoi protégé.

Per quanto la teoria complottista risulti essere piuttosto naif, la resistenza opposta dall'ala conservatrice alle istanze liberiste (più che liberali) della nuova leadership cinese è invece un dato di fatto. E continua nonostante l'avviata liberalizzazione di alcuni settori dell'economia e l'introduzione di misure volte a ridurre la pressione fiscale sulle piccole imprese.

"La privatizzazione è contro la Costituzione; le imprese statali sono la linfa vitale dell'economia cinese". Non a caso a dirlo è proprio Wang Zheng.




mercoledì 6 novembre 2013

Terroristi disperati dal 2008 a oggi


Mercoledì mattina alle 7.40 circa (ora cinese) una serie di esplosioni davanti alla sede del Partito comunista di Taiyuan, nello Shanxi, fanno scattare nuovamente l'allarme "terrorismo" in Cina a pochi giorni dall'incidente del Suv incendiatosi a piazza Tian'anmen. Il sito in cinese della BBC ha riportato una lista degli attacchi principali avvenuti di recente in luoghi pubblici. Sotto una traduzione della scaletta della BBC arricchita da una breve ricerca.

Mercoledì 6 novembre 2013, una serie di esplosioni davanti agli uffici del Partito di Taiyuan fanno un morto e diversi feriti (almeno otto). Secondo quanto riportato dall'agenzia di stampa Xinhua, che cita la polizia locale, sulla scena sono state rinvenute delle sfere di metallo di piccole dimensioni, circuiti stampati e altri oggetti esplosivi. "Da una prima indagine le esplosioni sembrano essere state provocate da ordigni rudimentali" (link).

Negli ultimi anni le aree pubbliche dell'Impero di Mezzo sono state teatro di esplosioni, incendi dolosi e attentati, con notevole impatto sociale. Di seguito un elenco dei principali episodi dal 2008 a oggi.

-Luglio 2008, esplosioni a Kunming (nello Yunnan, ndt)
Un uomo innesca due ordigni su due autobus, provocando due morti e 14 feriti. Cinque mesi più tardi il colpevole si è fatto esplodere per errore presso un noto bar della città (link); sul letto di morte ha lasciato una controversa confessione nella quale ha riconosciuto la responsabilità dei due precedenti attentati (link). Secondo quanto riportato dalla Xinhua, nel 2001 l'uomo era stato condannato a nove anni di carcere per rapina, lesioni intenzionali e atti vandalici, ma messo in libertà prima per buona condotta nel maggio 2006. Gli incidenti di Kunming andarono ad accrescere la tensione vissuta da Pechino che quell'anno ospitava i Giochi Olimpici. Proprio nel luglio 2008 il Turkistan Islamic Party (lo stesso gruppo terroristico che Pechino ha accusato dell'ultima dimostrazione a piazza Tian'anmen) rilasciò un video nel quale affermava di aver compiuto attentati dinamitardi sugli autobus di Kunming, rivendicando inoltre la paternità di un episodio simile avvenuto a Shanghai due mesi prima. Le autorità cinesi smentirono tutto, negando un collegamento tra le esplosioni nello Yunnan e il terrorismo islamico.

-Giugno 2009, incendio a doloso a Chengdu (Sichuan, ndt)
Un uomo disoccupato provoca un incendio su un bus. 28 persone (incendiario compreso) muoiono, 70 rimangono ferite (link).

-Luglio 2010, incendio doloso nei pressi dell'aeroporto di Changsha (Hunan, ndt).
Un uomo dà fuoco ad un bus navetta, causando la morte di due persone e il ferimento di altre dieci. Il colpevole è stato condannato alla pena capitale (link). Secondo un comunicato rilasciato dalla corte intermedia di Changsha, l'uomo avrebbe agito per vendicarsi del fallimento delle proprie attività di business da lui attribuito "a una società ingiusta".

-Maggio 2011, esplosioni a Fuzhou (Fujian, ndt).
Un uomo fa esplodere tre bombe davanti agli uffici governativi della città. Il bilancio è di tre vittime (compreso il bombarolo) e sette feriti (link). L'attentatore, Qian Mingqi, aveva perso la casa nel 2002 espropriata dalle autorità in cambio di un magro risarcimento (approfondimento).

-Giugno 2011, esplosione a Tianjin.
Un locale innesca un ordigno davanti alla sede del governo municipale, causando il decesso di due persone (link). Liu, questo il cognome dell'uomo, pare sia stato mosso dalla volontà di "vendicarsi verso la società" per problemi di debiti.

-Luglio 2013, incendio doloso a Xiamen (Fujian, ndt).
Un uomo provoca un incendio su un autobus. Nell'incidente muoiono il colpevole e altre 46 persone (link); 43 i feriti. Chen Shuizong, 60 anni, questa l'identità dell'uomo, viveva in condizioni di povertà e soffriva di depressione.

-Luglio 2013, esplosione all'aeroporto di Pechino.
Disabile fa esplodere una bomba presso il Beijing Capital International Airport. L'uomo è l'unico ad aver riportato lesioni (link). Nel 2005 era stato ridotto sulla sedia a rotelle dopo un pestaggio con la polizia che lo aveva fermato mentre era alla guida del suo tuk-tuk senza licenza.

-Ottobre 2013, attentato a piazza Tian'anmen. Collisione ed esplosione di un autoveicolo.
Perdono la vita due turisti e le tre persone all'interno dell'auto; 40 i feriti. Per le autorità l'attacco è stato orchestrato da un'organizzazione separatista dello Xinjiang, il Turkistan Islamic Movement. Secondo quanto dichiarato da alcune fonti a Radio Free Asia, l'uomo alla guida del Suv avrebbe compiuto l'attentato assieme alla moglie e alla madre per vendicare la morte del fratello più giovane, morto in circostante sospette negli scontri del 2009 tra han e uiguri a Urumqi.

 

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资料:中国近年来公共场所爆炸袭击事件一览表
(博讯北京时间2013年11月06日 转载)
   
    来源:BBC中文网

北京天安门最近发生撞车爆炸袭击
    资料:中国近年来公共场所爆炸袭击事件一览表

    ●位于太原市的中共山西省委门前星期三(11月6日)早晨发生数起爆炸,事件已造成一死多伤。
 
    新华社引述山西警方说,据警方在现场发现钢珠、电路板等爆炸物,“初步判断爆炸系人为制造”。
 
    近年来,中国各地发生了一系列公共场所爆炸、纵火、袭击事件,造成重大社会影响。以下是2008年以来的主要袭击事件:
 
    2008年7月昆明爆炸案
 
    一名男子在云南昆明市的两辆公交车上引爆炸弹,导致2人死亡,14人受伤。作案人5个月后自爆身亡。
 
    2009年6月成都纵火案
 
    一名失业男子在一辆公交车上纵火,导致包括其本人在内28人死亡,70多人受伤。
 
    2010年7月长沙机场纵火案
 
    一名男子将长沙机场一辆班车点燃,造成2人死亡,10多人受伤。作案者后被处以死刑。
 
    2011年5月福州爆炸案
 
    一名男子在福州市政府办公楼外引爆炸弹,导致包括本人在内3人死亡。
 
    2011年6月天津爆炸案
 
    一名居民在当地政府办公楼前引爆炸弹,导致2人轻伤。
 
    2013年6月厦门纵火案
 
    一名男子纵火烧毁厦门一辆公交车,导致包括本人在内47人死亡。
 
    2013年 7月首都机场爆炸案
 
    一名残障人在北京首都国际机场引爆炸弹,本人受伤。
 
    2013年天安门撞车爆炸袭击案
 
    一辆吉普车冲撞北京天安门,两位游人和车内三人死亡,多人受伤。当局称新疆分离主义组织制造了袭击事件

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...