lunedì 27 febbraio 2012

I "paperoni" del Pcc battono il Congress Usa


(Pubblicato su Dazebao)

Che politica e ricchezza andassero a braccetto non è una novità, ma questa volta è "il capitalismo con caratteristiche cinesi" ad aver fatto il botto. Secondo quanto riportato dalla rivista Hurun, sorta di Forbes in salsa di soia, i 70 membri più ricchi dell'Assemblea Nazionale del Popolo (ANP), il legislatore cinese, lo scorso anno si sono portati a casa un bottino superiore al valore del guadagno netto di tutti i 535 elementi del Congresso Usa, presidente, gabinetto e i nove giudici della Corte Suprema di giustizia. Con 565,8 miliardi di yuan (89,9miliardi di dollari) nel 2011- contro gli 11,5 miliardi del 2010- i 70 paperoni dell'ANP hanno superato largamente i 660 alti funzionari dei tre poteri del governo statunitense, ancora fermi a 7,5 miliardi di dollari.

I paradossi dell'iperbolica crescita economica del Dragone si riflettono ancora una volta nella forbice tra ricchi e poveri: nel 2010 il reddito pro-capite annuo è stato di soli 2.425 dollari- meno che in Bielorussia- una cifra irrisoria se affiancata ai 37.557 miliardi di dollari degli Stati Uniti.
"Uno straordinario matrimonio tra politica e ricchezza" così ha commentato il fenomeno Jhon L. Thornton, direttore del China Center presso il Brooking Institutions di Washington. "Un terreno molto fertile per la propagazione di accese denunce circa la diseguaglianza nella distribuzione delle ricchezze in Cina".
Da tempo nel Regno di Mezzo aleggia il mistero irrisolto del coefficente di Gini, il tasso di ineguaglianza che misura la forbice tra ricchi e poveri. Il governo cinese lo tiene abilmente nascosto da 11 anni, ma l’ultima volta, che risale al 2000, aveva già raggiunto quota 0,412, vicinissimo a quello 0,5 considerato la soglia critica oltre la quale è necessario provvedere d’urgenza.

Il Congresso Nazionale del Popolo, che aprirà la sua sessione annuale il prossimo 5 marzo, è il cuore della macchina politica cinese: la più alta istituzione governativa e unica camera legislativa. Già dieci anni fa l'ex-presidente Jiang Zemin aveva cominciato a fare pressione per convogliare nel Partito facoltosi imprenditori. Oggi i miliardari cinesi hanno regolare accesso a tutte le alte cariche del Pcc, potendo ascendere anche all'Empireo del potere,  il CNP. "I ricchi in Cina sono molto incentivati ad entrare nel sistema " ha dichiarato Victor Shih, professore di politica e finanza cinese presso la Northwestern University di Eveston, Illionis. "Diventare un membro della ANP significa che un rivale commerciale o politico ha meno facilità a mandarti in galera o a confiscare i tuoi beni".

Come rivela Bloomberg, molti dei paperoni del Congresso hanno ingrossato i loro portafogli grazie al settore immobiliare, ultimamente bersagliato da accese critiche per aver contribuito ad inasprire il gap tra città e campagna. "Ad ogni livello del sistema sembra ci siano funzionari intenti ad arricchirsi in combutta con imprenditori e ciò ha causato molte manifestazioni di protesta"  ha affermato Bruce Jacobs, professore di lingue e studi asiatici della Monash University di Melbourne.

Lo scorso settembre il Global Times aveva diffuso la notizia dell'ingresso del capitalista Liang Wengen nel Comitato centrale del Pcc. Liang, 54 anni, fondatore di Sany Group, società produttrice di macchinari industriali ha cavalcato il boom edilizio della Nuova Cina diventando uno degli uomini più ricchi dell'Ex Impero Celeste. Durante il Congresso del prossimo autunno potrebbe essere formalmente ufficiato il suo accesso in una delle istituzioni politiche più importanti dello stato.

domenica 26 febbraio 2012

Cina e India, quei due vicini chiassosi



(Pubblicato su Dazebao)

PECHINO (corrispondente) - Monta l'ira di Pechino in seguito alla notizia della recente visita del ministro della Difesa indiano, AK Antony nello Arunachal Pradesh, lo stato più orientale dell'India sul quale il Dragone rivendica da anni la propria sovranità.
Hong Lei, portavoce del ministero degli Esteri cinese, nella sera di sabato ha dichiarato che Delhi dovrebbe ben guardarsi dal compiere azioni che potrebbero complicare la già intricata questione dei confini. Come scritto dall'agenzia di stampa cinese Xinhua, l'affermazione di Hong "sarebbe giunta in risposta alla notizia alla partecipazione dei funzionari indiani ad attività organizzate dalla così detta regione dello 'Arunachal Pradesh'." Il portavoce della diplomazia d'oltre Muraglia ha esortato il governo indiano a collaborare per mantenere la pace e la stabilità nelle zone di frontiera, rinnovando la speranza di trovare una soluzione equa e razionale attraverso negoziati.

Un copione già sentito in passato, quando Pechino si era opposto alla precedente visita del primo ministro Manmohan Singh nell'area contesa. Limitare la popolarità del governo centrale e frenare l'appeal esercitato da Delhi sulla popolazione locale sono requisiti essenziali per evitare il sopraggiungere di ulteriori difficoltà nel momento in cui il Dragone deciderà di avanzare più concretamente le proprie pretese sulla regione, scrive Times of India.

La presenza dei funzionari indiani nello Arunachal Pradesh- si legge nel report della Xinhua- ha lo scopo di garantire la "sicurezza" in quella che è una zona di particolare importanza strategica. Per quanto riguarda la visita di Antony poi, si è trattata di pura cortesia dato che il ministro della difesa indiano era stato chiamato ad officiare i festeggiamenti per il 26esimo anniversario della fondazione dello Stato; un impegno dal quale certo non poteva tirarsi indietro.

La "Terra delle montagne illuminate dall'alba" -dono poetico del sanscrito- è al centro di un'annosa questione che vede Tigre e Dragone azzuffarsi per l'egemonia territoriale su quattro stati indiani adiacenti alle già oltremodo "animate" regioni di Tibet e Xingjiang: Jammu – Kashmir, Arunachal Pradesh, Uttarakhand e Sikkim. La questione, che da 45 anni a questa parte crea ansie e attriti tra i due vicini di casa, nel 2005 è passata nelle mani di due rappresentanti speciali nominati da Pechino e Delhi senza ancora, tuttavia, giungere ad una risoluzione. Oggetto del contendere, una striscia di 4000km di terra conosciuta come Line of Actual Control (LAC), che si snoda lungo il confine nord del subcontinente indiano, ufficialmente di proprietà della Tigre, ma sulla quale rivendica il proprio dominio anche il Dragone.

Il 7 settembre del 1993 le due parti hanno stabilito un "accordo per mantenere pace e tranquillità lungo la LAC" e a partire dal febbraio del '94, dopo un trentennio di tensioni, è stato dato il via ad una serie di colloqui bilaterali volti ad introdurre "misure di fiducia" tra le rispettive difese. Dopo un primo smantellamento dei posti di guardia lungo l'area di Wangdong, nel 1996 il presidente cinese Jiang Zemin, in visita in India, ha sottoscritto l'Agreement on Confidence Building Measures in the Military Field along the Line of Actual Control in the China-India Border Areas, volto a delineare un quadro istituzionale per il mantenimento della pace lungo le aree di confine. Le premesse erano buone.

Ma nonostante l'impegno dimostrato, la questione delle frontiere continua a rimanere impantanata in varie compulsioni bilaterali di matrice nazionalista. E sebbene incontri-scontri tra i due chiassosi vicini siano tutt'altro che una rarità, tuttavia, sino a questo momento, un timido passo indietro di entrambe le parti è riuscito a contenerne l'estensione con discreto successo.

Durante i primi anni '90, Delhi ha richiamato dal settore orientale 35mila soldati, ma si ritiene che le aree sensibili siano ancora sotto stretta sorveglianza dell'Esercito Popolare di Liberazione, con stime che parlano di 180 mila 300mila uomini.

Lo scorso dicembre Mulayam Singh, leader del Samajwadi Party (Partito socialista), aveva riacceso i riflettori sul lembo di terra conteso, affermando che le truppe di Pechino si stanno mobilitando rapidamente in particolar modo nel Kashmir indiano dove “i cinesi procedono ad occupare le nostre terre” e pare abbiano installato persino dei radar. La questione, sollevata durante la sessione parlamentare invernale ha manifestato la chiara preoccupazione da parte della camera bassa circa la crescente aggressività del Dragone lungo i dibattuti confini settentrionali e, nondimeno, rispetto all'inadeguata risposta del governo di Delhi troppo propenso verso un infruttuoso attendismo.

A stemperare i toni, però, ci ha pensato Antony: “il governo indiano è al corrente dell'insidiamento di infrastrutture cinesi lungo il confine con Tibet e Xinjiang, come la linea ferroviaria Qinghai – Tibet, per la quale è in previsione un'estensione fino a Xigaze e Nyingchi, oltre alla costruzione di aeroporti e reti stradali limitrofe.” si leggeva in una dichiarazione scritta.
Per quanto riguarda i radar nella LAC, Delhi non starà certo a guadare. Il ministro ha ricordato che la Indian Airforce è provvista di numerosi radar in grado di sorvegliare le montagne indiane.
Tutto sotto controllo insomma. Normali bisticci di vicinato. “Che faccia pure la voce grossa quello della porta accanto, basta che se ne rimanga a casa propia,” “miagola” la Tigre.

giovedì 23 febbraio 2012

Kawamura: "Quale massacro del 37"?


(Pubblicato su Dazebao)

Lo aveva già detto lunedì e lo continua a ribadire tuttora: secondo Takashi Kawamura, sindaco della città giapponese di Nagoya gemellata con Nanchino, i massacri del 1937 avvenuti durante la guerra sino-nipponica non sarebbero niente più che un falso storico. L'affermazione rilasciata dal primo cittadino durante l'incontro con Liu Zhiwei, membro del Comitato Permanente del Partito comunista di Nanjing, ha colpito nel segno andando a dissotterrare i ricordi dell'evento che per decenni è stato causa di asti e rancori tra i due cugini asiatici.

“Probabilmente il massacro non è mai avvenuto” si è trattato “solo di atti convenzionali di combattimento” ha affermato Kawamura, negando le violenze perpetrate dall'esercito nipponico ai danni della polpolazione civile. 300mila morti: un genocidio di terribile efferatezza sul quale, con grande difficoltà, nel 1978 il Dragone era riuscito a chiudere un occhio dando via al gemellaggio tra le due città. Poi quella dichiarazione di troppo, inevitabile la reazione del governo cinese che per bocca del portavoce del ministero degli Esteri, Hong Lei, ha presentato formale protesta.

“Abbiamo già reso chiara la nostra posizione sulla negazione da parte del sindaco di Nagoya del massacro di Nanchino. E' stata già mandata una rappresentanza solenne alla parte giapponese” ha reso noto questa mattina Hong, sottolineando come Pechino stia continuando a vagliare attentamente la questione. Intanto la municipalità di Nanjing ha già detto la sua pubblicando sul proprio account ufficiale di Sina Weibo un post di fuoco: “I fatti storici del massacro di Nanchino sono stati dimostrati solidamente; l'affermazione di Kawamura e' estremamente irresponsabile. Ci auguriamo che il sindaco possa ammettere la storicita' degli eventi e trarre lezione dal passato". Congelamento delle relazioni e fine del gemellaggio, almeno per ora.

Ma il Dragone ai rapporti di buon vicinato ci tiene -specie dopo il rinnovato dinamismo Usa nel Pacifico- e anche parecchio. Nel 2012 ricorrono i festeggiamenti per il 40esimo anniversario della normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi e Hong Lei non ha mancato di ricordarlo, sottolineando la necessità di migliorare i rapporti bilaterali alla luce dei principi esposti nei quattro documenti politici sino-giapponesi e di agire nell'interesse di entrambi i popoli, imparando da quanto ci viene insegnato dalla "maestra per eccellenza": la storia.

Intanto ad evitare l'incidente diplomatico ci ha pensato il segretario di Gabinetto, Osama Fujimura, il quale mercoledì ha cercato di rilassare i toni: “il governo giapponese ritiene che lo Stato non debba interferire e che la questione vada risolta tra le due città”-senza tuttavia rinnegare le posizione sostenuta da Kawamura- “è impossibile che si siano verificate uccisioni di civili disarmati , saccheggi e atti simili”. Decisamente meno permissivo, il governatore della prefettura di Aichi, Hideaki Omura, il quale ha invitato il primo cittadino di Nagoya a ritirare immediatamente quanto detto prima che esploda un caso diplomatico.

Ma se tra le “maestranze” della diplomazia continua, tutto sommato, a prevalere il buon senso, lo sdegno del popolo cinese non si pone freni inibitori, mentre commenti al vetriolo impazzano sulla blogosfera. E la carta stampata non è da meno. Il People's Daily, megafono del Partito comunista cinese, ha concesso ampio spazio alla notizia pubblicando ben tre pezzi solo nella giornata di oggi. “Non soltanto un'affermazione sconsiderata" quella di Kawamura, "ma anche segno di grande ignoranza” ha commentato un lettore in chiusura ad uno degli articoli, appellandosi ancora una volta a lei: la storia.


E poi e’ stata la volta del Global Times, baluardo del nazionalismo cinese, che contro l’insolente Kawamura ha chiesto l’imposizione di severe sanzioni. “Dovra’ pagare per la sua arroganza”, scrive il quotidiano ufficiale del Pcc; e non solo lui ma tutta la citta’ di Nagoya che sembrerebbe aver avvallato con una certa accondiscendenza le posizioni del suo primo cittadino. Il Global si scatena: inserire il suo nome nella lista delle persone sgradite, impedendone l’ingresso in Cina; eliminare Nagoya dalle mete del turismo cinese, ridurre drasticamente gli interscambi economici con la citta’, sono alcuni dei castighi snocciolati dalla stampa di Partito. Troppo? Allora quanto meno “esigere pubbliche scuse se non le dimissioni.” continua ad abbaiare il Global Times.

Con tutta la comprensione possible per alcuni elementi della destra nipponica, ma Kawamura, data la sua carica ufficiale, ha veramente oltrepassato il limite. Un simile scivolone costerebbe caro a qualsiasi uomo politico in qualsivoglia parte del mondo. Cosa direbbero i giapponesi se un funzionario cinese accogliesse una delegazione di Nagasaki o Hiroshima applaudendo le bombe atomiche del ‘45?

Nel frattempo giovedi’ pomeriggio, un equipe di storici provenienti da ogni angolo del Regno di Mezzo è approdata a Nanchino per riconfermare cio’ che hanno tramandato sino ad oggi i libri: il massacro  del ‘37 è un dato di fatto e Kawamura dovrà ritirare le sue insinuazioni.

A gettare ulteriore benzina sul fuoco sono stati i natali del sindaco di Nagoya: figlio di Ryuichi Kawamura, uno dei soldati della divisione 101 dell’Esercito imperiale, direttamente coinvolti nell’invasione della Cina e di stanza a Nanjing; in altre parole discendente diretto di uno degli “stupratori”. Dopo la resa del Sol Levante, “per gentile concessione cinese”, Kawamura senior continuò a vivere a Nanchino fino al 1946 per poi fare ritorno in Giappone, come si legge su Sina.com. Una storia che l’erede del reduce nipponico si è rigirato a proprio piacimento trasformandola nella prova scagionante. “Il trattamento amichevole ricevuto" dal padre a Nanjing testimonia che le crudeltà delle quali è stato accusato l’esercito giapponese non sono mai avvenute”.

Ma documenti e foto d’epoca sembrerebbero sbugiardare Kawamura, o almeno questo è ciò che pensano gli addetti ai lavori tra i quali Hung Sheng, professore della Nanjing Normal Unversity e Cui Wei, researcher presso l’Accademia di Scienze sociali del Jiangsu; due voci autorevoli che, seppur giocando in casa, hanno sempre il loro peso.

Secondo le ricostruzioni storiche- hanno spiegato i due, - soltanto la cavalleria della divisione 101 avrebbe raggiunto Nanchino al tempo del massacro, mentre la fanteria -alla quale probabilmente apperteneva papa’ Kawamura- sarebbe invece rimasta nel Zhejiang e a Shanghai. Insomma, la teoria del sindaco di Nagoya, oltre a cozzare contro ogni logica comune, fa anche acqua da tutte le parti.

Gli attriti tra i due nemici storici si sono riaccesi a due mesi dall’uscita nelle sale del nuovo colossal di Zhang Yimou, “The Flowers of War”, il film che, con grandi nomi del cinema internazionale e un budget stellare, ha pericolosamente riproiettato sul grande schermo proprio la brutale occupazione di Nanchino. Ma non solo. La prossima primavera, i “diavoli giapponesi”- termine doppiato per il pubblico straniero con un piu’ political correct “nemici”- saranno protagonisti anche di Wengu1942, pellicola firmata Feng Xiaogang: altro big del cinema d’oltre Muraglia, altro tragico stralcio della guerra sino-giapponese.

mercoledì 22 febbraio 2012

Tibet. Riti funebri per il Nuovo Anno


Niente festeggiamenti quest'anno per il Losar. Il Capodanno nella Terra dei Lama avrà i toni funerei della celebrazione del lutto per quei tibetani (più di 20) che hanno scelto la morte in protesta contro Pechino.

"Dovremo comunque rispettate tradizione e rituali spirituali, recandoci in pellegrinaggio presso i monasteri e accendendo lampade di burro in memoria di coloro che si sono sacrificati e hanno sofferto a causa della repressione attuata dalla polizia cinese." Queste le parole di Lobsang Sangay, primo ministro del governo tibetano in esilio, originario di una famiglia povera scappata dal Tibet nel 1959 e Phd ad Harvard.

"In Tibet non è possibile protestare, né radunarsi pacificamente. Se lo fai rischi di prenderti una pallottola. E non è permesso neanche lo sciopero della fame, né manifestare. Per i tibetani questo (l'autocombustione) è l'unico modo di far sentire la propria voce contro il governo cinese. Sono talmente tante le restrizioni che alcuni preferiscono fuggire o vengono espulsi. Le condizioni politiche,economiche e spirituali sono repressive a tal punto che è preferibile dare la vita" ha commentato Lobsang, riportando quanto sentito dire da molti connazionali. "Il funzionario del partito locale di Lhasa ha dichiarato guerra a chiunque osi protestare. Quale governo avrebbe dichiarato guerra al proprio popolo? Hanno inviato centinaia di migliaia di truppe contro di noi. In Tibet vige la legge marziale, è così. C'è uno scrittore cinese che ha affermato che a Lasha ci sono più han che tibetani. [...] In questo modo Pechino, con la sua linea intransigente, sta discriminando il nostro popolo"

Gli atti di protesta nelle aree tibetane continuano, ultima vittima una monaca diciottenne (il pezzo è stato scritto prima del 17 febbraio, data dell'ultima auto-immolazione di un monaco quarantenne). Incombe l’anniversario dei moti del 2008. Rispondendo da Dharamsala, in India, Sangay definisce le autoimmolazioni “lo zenit della resistenza nonviolenta, perché darsi fuoco distrugge il proprio corpo ma non tocca l’avversario, cioè i cinesi. Noi, governo in esilio, non abbiamo mai incoraggiato questi sacrifici e abbiamo chiesto di astenersi da misure estreme. Detto questo, l’essenza delle proteste resta il fatto che i tibetani non accetteranno mai l’occupazione militare del Tibet e lo status di cittadini di seconda classe. E dunque è una reazione naturale: dove c’è oppressione, c’è resistenza”. Ma per un buddhista il suicidio è filosoficamente giustificabile? “E’ un tema molto complesso. Ma chi si arde vuole attrarre l’attenzione del mondo sul Tibet. Atti di altruismo, il più alto sacrificio possibile”, si legge sul blog di Marco del Corna, Le Vie dell'Asia. La propaganda cinese insiste sul miglioramento delle condizioni di vita, il piano quinquennale ha stanziato per il Tibet 212 miliardi di renminbi (25 miliardi di euro). “Ma esperti indipendenti hanno mostrato chiaramente che a godere dei principali benefici economici in Tibet sono i cinesi han. I leader comunisti di etnia tibetana non hanno potere reale: sono fantocci e non hanno il potere di tenere alcun canale di comunicazione con noi. Comandano i quadri han. Anche il Panchen Lama di Pechino è un fantoccio”.

Intanto le auto della polizia pattugliano le strade sull'altopiano del Tibet e la mattina del Nuovo Anno le forze di sicurezza si sono preparate ad un'azione preventiva. "Forze paramilitari provenienti da altre parti sono state convogliate qui. C'erano anche dei carri armati," ha riferito un monaco. "Hanno chiuso tutte le uscite per il nostro monastero e ci hanno impedito di uscire". La polizia paramilitare se ne è andata ma alcuni funzionari in borghese continuano a girare all'interno del monastero, scrive Radio Free Asia.

Secondo quanto affermato da Robbie Barnet, esperto di Tibet, il giro di vite messo in atto da Pechino indica un cambiamento nella strategia utilizzata nei confronti del popolo fedele al Dalai Lama. Molti giornalisti stranieri sono finiti agli arresti per aver tentato di raggiungere le aree più sensibili. "Non penso che dietro questo internamento di massa vi siano ragioni politiche come è accaduto per decenni. Qui si tratta di laici che non sono stati accusati di aver fatto nulla che sia contrario alla legge cinese" ha affermato Barnet. "Questo passaggio da un dominio indiretto ad un dominio diretto indica che il governo ha abbandonato il tentativo di mantenere un'apparenza di non-intervento".

Nel frattempo i media ufficiali della Rpc minimizzano quanto sta accadendo tra Qinghai e Sichuan: nessuna auto-immolazione quest'anno, secondo quanto raccontato da un funzionario sichuanese al Global Times.

(Leggi anche Capodanno di sangue nel Sichuan)

martedì 21 febbraio 2012

Il "mal del funzionario": la cronologia nera del Nanfang Daily


Una lista degli orrori va a chiudere gli aggiornamenti sulla vicenda del segretario del Partito di Wujiang, Su Li trovato impiccato nella sua abitazione il 17 febbraio. Il Nanfang Daily, quotidiano ufficiale del Partito comunista del Guangdong, pubblica una cronologia agghiacciante: in due anni sono 8 i funzionari (compreso Su) ad ad aver deciso di togliersi la vita, di cui la maggior parte di stanza nel sud della Cina.

Ottobre 2010: Wu Xuexin, predecessore di Su Li, viene destituito e dopo 2 anni di si è lanciato nel vuoto. Alcune questioni economiche lo avrebbero portato a commettere un gesto tanto disperato.

20 marzo 2010. Alle prime ore della mattina, Lai Chenfu, 51 anni, vice-presidente della Conferenza Consultiva Politica del Popolo della città di Jiangmen (Guangdong), nonché capo del Dipartimento per il Fronte Unito, si è impiccato nei pressi della sua abitazione. Da tempo soffriva d'insonnia e di depressione cronica.

8 aprile, 2010 ore 8,30: il sindaco di Putian, città della provincia del Fujian è caduto dal quinto piano dell'ufficio comunale. La notizia è stata diffusa dall'Ufficio Informazioni provinciale.

5 febbraio 2010, ore 17,00. Il capo della procura di Maoming (Guangdong), Liu Xianjin, è saltato dall'ottavo piano del proprio condominio. La sera prima aveva avuto una lunga discussione sino a notte inoltrata con il figlio da poco sposatosi.

10 novembre 2011. Lu Yongjun, vice direttore del Dipartimento delle imprese di città e distretto presso il ministero dell'Agricoltura, si è buttato da uno dei piani alti del ministero, per motivi ancora non chiari. Secondo alcune testimonianze, l'uomo soffriva da tempo di disturbi mentali e di recente si era preso un periodo di malattia per curarsi.

6 ottobre 2011. Il direttore della Commissione per la pianificazione delle nascite di Shaoxing (provincia del Zhejiang), Ye Jinru, si è lanciato dalla sua stanza al 14 piano dell'International Hotel. In una lettera di addio diceva di non poter sopportare più tanti dolori e sofferenze. Persone a lui vicine hanno confermato che spesso cadeva in stato depressivo.

18 settembre 2011. Yuan Weiliang, il nuovo direttore della Cooperativa di Credito Rurale della provincia del Liaoning, dopo soli 6 mesi dall'inizio del suo incarico sparì nel nulla. Dopo una settimana la polizia di Shenyang ha raccontato che "crisi depressive lo avevano spinto ad affogarsi".

All'appello però ne manca uno, il suicida più masochista di tutti, quello delle 11 coltellate di cui abbiamo già parlato nel post precedente, Xie Yexin (link). La storia imbastita da dipartimento di sicurezza della contea di Gong'an non deve aver convinto molto nemmeno la redazione del Nanfang Daily.

sabato 18 febbraio 2012

Mr. Su nello studio, con la corda



Una scena degna del celebre gioco da tavolo, Cluedo: siamo nel Guangdong, roccaforte del manifatturiero cinese il segretario del partito del distretto di Wujiang, città di Shaoguan, è stato trovato morto nelle prime ore della mattina di venerdì, impiccato nel suo appartamento. La polizia sta continuando ad indagare sul caso sino al momento avvolto nel mistero, ma la dinamica degli eventi-racconta Shangaiist- farebbe pensare ad un suicidio.

Nessun dettaglio e notizie centellinate. Per il momento il web rivela poco, solo qualche indiscrezione di più grazie alla stampa cinese. Segretario distrettuale dal luglio 2008, Su era stato riconfermato lo scorso settembre. Tra le cariche ricoperte spicca anche quella di dirigente dell'Assemblea Nazionale del Popolo, la più alta istituzione statale nonché unica camera legislativa della Repubblica Popolare.

Secondo quanto raccontato dal capo del Partito della città di Shaoguan, negli ultimi tempi, la situazione nel distretto di Wujiang si era fatta complessa: nonostante il massiccio afflusso di investimenti nell'area, il fallimento di molti progetti aveva portato la macchina economica locale in una fase di stallo. Per uno del calibro di Su, originario della regione del delta del Fiume delle Perle, il peso delle responsabilità deve essere stato enorme. Ed ecco che si profila la prima pista semi-ufficiale: quella del suicidio per il carico lavorativo eccessivo, plausibile, indolore per le autorità e utile per mettere un punto ad una storia che rischia diventare molto scomoda.

Ma alcune voci fuori dal coro preferiscono ricordarlo così: “Era molto abile nel trattare con le persone, ed era venuto da Shunde con l'intenzione di fare grandi cose. E' un peccato che sia finito così,” ha dichiarato un giornalista locale al Nanfang Daily.

“Era uno molto vicino alla gente, raffinato e sapeva fare il proprio lavoro. Dimostrava grande correttezza nei confronti dei suoi subordinati, faceva tutto con estrema cordialità e cortesia.” è stato il commento di un funzionario governativo che ha richiesto di rimanere nell'anonimato. “Shu si era trasferito nel 2008, ma anche se i suoi familiari erano rimasti a Shunde, a causa del lavoro tornava raramente a casa. Era così energico e volenteroso; è inimmaginabile pensare si sia tolto la vita.”

Ma ancora una volta, come in molti altri casi diventati virali sulla rete, anche Weibo, il Twitter cinese, ha dovuto dire la sua. "E' stato il senso di colpa per aver indotto centinaia di aziende di Shunde a trasferirsi investendo soldi in progetti fallimentari"- scrive un anonimo internauta- "Il carico del lavoro era troppo perché potesse farcela. Le sue ultime annotazioni riportano: 'Ah, è andata male, tutto è andato per il verso sbagliato!" la veridicità di quest'ultimo sfogo, tuttavia, non è stata confermata né smentita dall'Ufficio di propaganda di Shaoguan.

Su un punto però sono tutti concordi. Da quando Su lasciò la sua terra d'origine dedicò anima e corpo ad incrementare lo sviluppo dell'area, attirando a Wujiang un gran numero di società produttrici di vernici. Obiettivo, dare vita ad un gigantesco parco industriale chimico, e perchè no, alla creazione di un "marchio Wujiang". Un progetto intessuto su una estesa e variegata rete di "guanxi", il network di contatti sui quali in Cina poggia gran parte del successo di un individuo. Ma l'affare -nonostante le "guanxi" - non è andato in porto, e uno dopo l'altro gli insoddisfatti imprenditori hanno fatto fagotto, mollando Su e i suoi ambiziosi sogni.  Ora la repentina dipartita del segretario del Partito è stata accolta non solo con dolore di molti, ma anche con il timore di chi teme che la catastrofica sorte del business delle vernici possa ripercuotersi negativamente su tutto il distretto.

Intanto la stampa monitorizza costantemente il sito del governo locale in attesa di notizie concrete, mentre elucubrazioni ed ipotesi, per il momento, continuano ad avere la meglio. Ma Wujiang, in un certo senso, non è nuova a questo genere di cose. Era il 16 ottobre 2010, quando proprio il predecessore di Su, Wu Xuexin, scelse di darsi alla morte gettandosi dal settimo piano dell'ufficio governativo distrettuale presso il quale prestava servizio. Una maledizione, quella che incombe su Shaoguan, dalle caratteristiche tutte terrene. Una denuncia per corruzione presentata alla polizia da un amico di Wu sarebbe, infatti, sino al momento l'ipotesi più accreditata, e non certo una novità, in Cina, dove lo smascheramento di pratiche illegali continua a gettare ombra sull'operato dei funzionari locali.

Che anche l'efficiente ed irreprensibile Su debba essere inserito nella lista dei cattivi?
Tra i molti dubbi una cosa è certa: la storia del suicidio questa volta non verrà digerita facilmente dall'opinione pubblica. Sembra infatti che, di questi tempi, inscenare copioni macabri per togliersi la vita vada molto di moda tra i quadri del Partito. Proprio lo scorso 27 agosto Xie Yexin, funzionario dell'ufficio anticorruzione della contea di Gong'an, nello Hubei, fu trovato alla sua scrivania cosparso di coltellate: 11 per l'esattezza, tra polsi, addome, petto e collo. Una morte quantomeno sospetta che dopo lunghe e approfondite indagini, venne etichettata ancora una volta come suicidio. “Noi pensiamo si tratti di suicidio. Non è un caso penale e quindi non siamo obbligati a proseguire con le indagini” aveva spiegato al tempo Wang Jianping, vice direttore del dipartimento di sicurezza della contea. E nonostante la mancanza di un movente nonché l'oggettiva difficoltà, se non impossibilità, nel mettere in pratica un gesto tanto assurdo, il dossier venne archiviato in fretta e furia. 

Ma, come spesso accade in questi casi, basta scavare a fondo per scovare qualche dettaglio rivelatore. Solo un mese prima a Xie era stato tolto un caso di investigazione interna nel quale era risultato implicato anche uno dei pezzi grossi della zona, niente meno che il vice segretario del partito della Contea. Forse, e il condizionale è d'obbligo, qualcuno risentitosi della cosa potrebbe aver dato una mano all'aspirante suicida; se non altro a rimuovere ogni traccia di sangue dalla scrivania e ad avvolgere accuratamente l'impugnatura del coltello in un fazzoletto. Non nella versione ufficiale però. Xie si è pugnalato ripetutamente, e fine della storia.

Dunque, se qualcosa dovesse andare storto riusciranno ad essere altrettanto fantasiose le squadre investigative di Wujiang? Alla luce del “ciclone Wang Lijun” (link)  che da giorni sta squassando l'intero Paese mettendo in serio imbarazzo l'establishment di Pechino, a Zhongnanhai devono augurarselo veramente di cuore.

(Pubblicato su Dazebao)

giovedì 16 febbraio 2012

Il "benvenuto" di Muscatine a Xi Jinping




Non solo sorrisi e acclami per il ritorno di Xi Jinping a Muscatine, la cittadina dell'Iowa che 27 anni fa lo accolse quando, ancora un semplice segretario provinciale, si recò negli Usa per studiare tecniche agricole. I cori "pro-Tibet" continuano ad accompagnare il viaggio diplomatico del vicepresidente cinese, il quale proprio ieri ha rimarcato l'intoccabilità di alcuni questioni interne (leggi: Tibet e Taiwan). " Ci auguriamo che gli Stati Uniti riconoscano quanto prima il Tibet come parte del territorio cinese e si oppongano alla sua indipendenza mostrando cautela in tutte le questioni relative al popolo tibetano" (link). Ecco la risposta di Muscatine.

Più di 5 anni di reclusione per il fischietto d’oro cinese


(Pubblicato su AgiChina24)

Pechino, 16 feb.- La “Calciopoli in salsa di soia” è giunta ad una svolta decisiva. Nessuno sconto per i quattro big dell'arbitraggio cinese indagati per un giro di partite truccate ai quali il Tribunale Intermedio di Dandong ha riservato una pena tra i sette e i tre anni e mezzo di detenzione. Nella sentenza emessa dalla Corte spicca il nome di Lu Jun, il “fischietto d'oro” noto per aver officiato i Mondiali del 2002 disputati tra Sud Corea e Giappone, per il quale la Corte ha predisposto una condanna a cinque anni e mezzo di reclusione, con l'accusa di aver falsato sette partite di campionato intascando tangenti per 810 mila yuan (poco meno di 130 mila euro). E non è tutto. L'eccellenza dell'arbitraggio cinese si è anche vista confiscare i propri beni per un ammontare di 100 mila yuan (quasi 16mila euro).

Ma dietro le sbarre Lu sarà in buona compagnia. Anche i colleghi Huang Junjie, Wan Daxue e Zhou Weixin passeranno a loro volta al fresco rispettivamente sette, sei e tre anni e mezzo per aver falsato l'esito di alcuni incontri nei quali comparirebbero anche i nomi di famosi club internazionali.
Quasi 1 milione e mezzo di yuan ( circa 158 mila euro) ai quali si vanno a sommare 100 mila dollari HK, è quanto guadagnato illecitamente da Huang in 21 partite differenti. Anche per lui la legge ha predisposto la confisca di ben 200mila yuan (poco meno di 32mila euro). Secondo classificato Wan Daxue, con 940 mila yuan (circa 149 mila euro) di mazzette - intascate per lo più in occasione dei Chines National Games - e al quale le autorità hanno previsto l'esproprio di beni per il valore di 150 mila yuan (poco meno di 24 mila yuan).
Bottino più misero -soli 490mila yuan (quasi 78 mila yuan) - invece quello di Zhou, che implicato in otto casi differenti avrebbe ricoperto il ruolo di mediatore coinvolgendo nel giro di tangenti anche altri colleghi. Nome noto alla stampa nazionale, nel 2004 il suo “deliberato sbaglio” nell'assegnazione di un rigore scatenò la così detta “Rivoluzione G7”, movimento di protesta inscenato da sette importanti squadre nazionale contro la Chinese Football Association (CFA), innescando lo sciopero del Beijing Guoan Football Club, la maggior società calcistica della capitale.

Ma la legge cinese non ha risparmiato nemmeno l'ex responsabile della Chinese Soccher League, Lu Feng, condannato ad una pena detentiva di 5-6 anni per aver corrotto alcuni membri della Zhongyi Sports Development Co. Ldt , mentre è ancora tutto da decidere per quanto riguarda il futuro  dell'ex vice-presidente della CFA, Yang Yimin, dell'ex direttore del Comitato Arbitri della CFA, Zhang Jianqiang, e di alcuni altri dipendenti dell'Associazione calcistica cinese che faranno il loro ingresso nelle aule della Corte di Tieling, provincia Liaoning, il prossimo 18 febbraio. E mentre la giustizia cinese si scatena sui pesci piccoli, nulla si sa invece sui “capi branco”: è ancora riserbo assoluto sulla data del processo del vicepresidente della CFA, Nan Yong e del suo predecessore Xie Yalong.

Intanto il calcio scommesse continua a gettare ombra su alcuni dei migliori club nazionali tra i quali lo Shandong Luneng, lo Henan Jianye e lo Shanghai Shenhua, la squadra che proprio ieri ha accolto nella sua rosa la stella del calcio francese, Nicolas Anelka. L'arrivo dell'ex campione del Chelsea ha lo scopo di ridare una nuova immagine al football cinese, da anni ormai vittima della cricca dei “fischietti neri”, che tra frodi sportive e partite truccate rischiano di mettere in fuga molte multinazionali da quello che viene considerato il primo bacino di tifosi al mondo.
E' dal 2009 che il governo cinese sta provvedendo a fare pulizia nel settore, sguinzagliando un gruppo di ispettori appartenenti a 12 diversi organi ministeriali. E il giro di vite messo in atto da Pechino sembra aver datto i suoi frutti. Soltanto a partire dal novembre scorso sono stati più di 100 i dirigenti e i giocatori interrogati e almeno 21 gli arrestati, mentre persino Hu Jintao e il suo probabile successore, Xi Jinping, si sono scomodati per sostenere la campagna moralizzatrice volta a risollevare le sorti del “gioco più bello del mondo” entro i confini della Grande Muraglia.
Da parte sua, il CFA ha apportato diversi cambiamenti nel sistema di supervisione e nelle regole disciplinari, provvedendo anche a rinverdire lo staff attraverso la sostituzione di alcuni membri del personale ma, sopratutto, facendo chiarezza sui meccanismi decisionali e sul controllo finanziario delle leghe calcistiche professionali

mercoledì 15 febbraio 2012

Il ritorno di Xi Jinping negli Usa


La trasferta del vicepresidente Xi Jinping negli Stati Uniti fa parlare la stampa internazionale. Soltanto ieri il secondo uomo di Pechino è atterrato a Washington, dopo 27 anni di assenza, per dare il via al tour diplomatico che lo vedrà impegnato in una cinque giorni di incontri con i più alti esponenti della politica americana: Barack Obama (prima tappa avvenuta nella serata di ieri), il segretario di Stato Hillary Clinton, il vicepresidente Joe Bidene e il segretario alla Difesa Leon Panetta.

Molte e scottanti le tematiche in agenda dalla “storia infinita” dell'apprezzamento dello yuan e della squilibrio della bilancia commerciale, alla questione nordcoreana, passando per la Siria e l'Iran sino ad arrivare ai contenziosi che agitano le acque del Pacifico.

Quest'ultimo punto, in particolare, sembra essere diventato particolarmente sensibile dopo le affermazione di novembre della Clinton secondo la quale il “Ventunesimo secolo sarebbe il secolo del Pacifico”. Se si fanno le proiezioni sulle percentuali di spesa militare da qui ai prossimi dieci anni, prevedendo un aumento del 10% della spesa militare in Cina (come avvenuto negli ultimi due anni) e rapportando queste spese a quelle U.S.A., ferme intorno al 3% annuo, entro il 2015 il Dragone potrebbe arrivare ad utilizzare il 75% del budget della difesa. Semplici misure precauzionali a giudicare dalla dichiarazione rilasciata pochi giorni fa al Washington Post dal presidente Hu Jintao: “Nell’Oceano Pacifico c’è sufficiente spazio per la Cina e per gli Usa, e non bisogna dimenticare che ciò che preoccupa maggiormente i Paesi asiatici è il benessere economico. In un periodo in cui si cerca soprattutto pace, stabilità e sviluppo, dare deliberatamente priorità all’agenda della sicurezza e aumentare la presenza militare non è affatto ciò a cui le nazioni della regione sperano di assistere”.

La stoccata di Hu non è casuale: proprio alla fine di gennaio gli Usa hanno ampliato gli accordi di assistenza Usa-Corea del Sud in una nuova formula che prevede la risposta congiunta di forze armate americane e sudcoreane in caso di provocazioni da parte di Pyongyang. In altre parole Washington potrebbe trovarsi coinvolta in caso di provocazioni o aggressioni quali l'affondamento della corvetta Cheonan o del bombardamento delle isole Yeonpyeong. Ma l'accordo con Seul non è che un assaggio del nuovo documento strategico firmato Obama in cima alla lista del quale svetta la questione Asia-Pacifico, con tutte le implicazioni del caso tanto economiche che politiche.

Quanto potrà servire a calmare le acque tra le due sponde la visita del politico cinese più in vista del momento? Più che semplice vicepresidente, Xi è con ogni probabilità colui che impugnerà le redini del Paese più popoloso del mondo a partire dal marzo 2013, quando il passaggio delle consegne, la cui celebrazione si terrà in concomitanza del XVIII Congresso Nazionale del Popolo, verrà finalmente ufficializzato. E tutti gli occhi sono già da tempo puntati su di lui che, primo tra i “principini rossi” e figlio di Xi Zhongxun -vecchia gloria del comunismo cinese, epurato/riabilitato e militante nell'ala più riformista ai tempi del massacro di Tiananmen- si troverà ad ereditare un Cina scossa dalle rivolte popolari, ferita dalle zampate dell'inflazione, sull'orlo dello scoppio della bolla immobiliare e per nulla immune alle ripercusssioni che la crisi dell'Eurozona sta esportando all'estero.

Per quanto riguarda i rapporti sino-statunitensi, anche se Xi non ha ancora indossato il cappello da cow-boy come fece a suo tempo Deng Xiaoping, dall'altra parte dell'Oceano viene comunque ritenuto il “più western” tra i leader cinesi. Sarà per quella parentesi metà anni '80, quando ancora nel pieno del suo cursus honorum, si recò in Iowa dove strinse legami d'amicizia con la popolazione locale. Quella prima esperienza americana il futuro Grande Timoniere sembra non averla mai dimenticata, e giovedì tornerà nella città che lo ospitò anni orsono.

“Ho pensato fosse un bell'uomo e molto educato” ha raccontato alla BBC Eleanor Dvorchak che ospitò Xi durante il suo soggiorno a Muscatine, Iowa. “Al tempo un bel giovane, oggi un bell'uomo di mezza età” scherza la donna.

Le premesse per una politica distensiva ci sarebbero tutte, ma a Zhongnanhai non la pensano esattamento così e proprio questa mattina un editoriale pubblicato dal Global Times, megafono del Partito comunista cinese, richiamava agli ordini il suo uomo mettendolo in guardia dalle insidie in agguato. “La Cina non ha bisogno di soddisfare l'Occidente a discapito dei propri interessi” scrive il quotidiano noto per le sue tendenze nazionaliste. “Bisogna pensare quali sono le relazioni migliori, senza contare se siano sino-europee o sino-americane; più sono in accordo con gli interessi del nostro Paese e meglio è. Europa e Stati Uniti sono importanti per la Cina, ma per prima cosa la Cina deve pensare a sé stessa. Questo non vuol dire che deve mantenere un atteggiamento arrogante, ma piuttosto deve assicurarsi di ricevere un trattamento paritario dagli altri Stati attraverso la diplomazia”.

E ancora una volta i riferimenti più o meno espliciti vanno a toccare la questione del veto posto da Cina e Russia riguardo alla risoluzione dell'Onu contro il regime di Assade. Una mossa, quella del Dragone, che ha suscitato lo sdegno di tutto l'Occidente. Per quanto riguarda il versante iraniano, l'appoggio del gigante asiatico alle sanzioni rappresenta un primo passo avanti, ma Obama continua ad auspicare una rottura definitiva tra Theran e Pechino anche nei rapporti commerciali ed energetici. Una richiesta, quella del presidente Usa, che il Dragone “affamato di energia” difficilmente accontenterà.

“Non vogliamo assistere a uno sviluppo del programma nucleare iraniano. Abbiamo votato per le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, tuttavia abbiamo delle riserve sulle sanzioni unilaterali. Ma questo non è una novità” ha dichiarato Xi Jinping, confermando che i rapporti commerciali con l'Iran non verranno intaccati.

Ma a far calare l'imbarazzo sulla Casa Bianca non solo le dubbie relazioni tra il Dragone e alcuni partner discutibili: il giro di vite messo in atto da Pechino nei confronti dei dissidenti -fattosi negli ultimi tempi ancora più serrato- sommato alle autoimmolazioni a catena dei tibetani rappresenta un punto dolente sul quale Washington non può proprio chiudere un occhio; nemmeno per assicurarsi rapporti di “buon partenariato”. E la notizia del visto negato a Susan Jhonson Cooks, diplomatico statunitense in lotta per la libertà di religione, non ha fatto che alzare la tensione. L'8 febbraio la donna sarebbe dovuta sbarcare nella Repubblica Popolare per vedere alcuni funzonari del governo cinese, ma per qualche ragione non ancora chiara in Cina, Susan, non è mai potuta arrivare.

(Pubblicato su Dazebao)

sabato 11 febbraio 2012

Lo Yunnan come Wukan: vince il dialogo


Il "modello Wukan" (link) spopola nel sud della Cina. Dopo i successi ottenuti dalla gestione Wang Yang nei patteggiamenti con i cittadini ribelli di Wukan, il capo del partito del Guangdong sembra aver aperto la strada ad una corrente più "liberal", che nei rapporti con il popolo sostituisce l'arma del dialogo a quella della repressione.

Ancora una volta le spinte riformiste arrivano da sud, dalla provincia esotica dello Yunnan per l'esattezza, dove la visita porta a porta del segretario del partito provinciale, Qin Guangrong, ha lasciato di stucco gli abitanti di un piccolo villaggio del sud-ovest del Paese. "Il segretario del partito ha mangiato e chiacchierato con noi, poi ci ha augurato un Buon Anno e abbiamo brindato insieme" ha raccontato commosso il signor Zhang, 42enne abitante di Bixi, villaggio della contea autonoma di Mojiang Hani. "E' anche rimasto a casa nostra per una notte, e ci ha versato un contributo spese".

Qin si è informato sulle condizioni di vita dei cittadini e sul comportamento tenuto dai funzionari locali nei loro confronti, racconta il China Daily, voce ufficiale del Pcc. Tutto alla grande. "I nuovi provvedimenti presi dal governo provinciale - per favorire il contatto diretto tra quadri e residenti- si è rivelato molto utile" ha dichiarato Zhang. Con l'aiuto delle autorità locali, nel 2010 il villaggio è stato spostato dal suo luogo originario che, soggetto a frane, risultava ormai poco sicuro.
Poi Zhang sfodera il suo piccolo tesoro, una carta recante tutti i numeri dei funzionari di maggior spicco della contea. La distribuzione di queste carte ha contribuito molto ad alleviare le preoccupazioni degli abitanti del villaggio; come nel caso del vecchio ponte pericolante che costò la vita ad un cittadino precipitato nel fiume sottostante e annegato".

Per qualsiasi problema, il capo di villaggio utilizza la carta per entrare in contatto con i funzionari locali, e così per aprile Bixi avrà il suo nuovo ponte da 120mila yuan (19.000 dollari), finanziato interamente dal governo della contea. Ogni funzionario della nostra città ha il dovere di essere a disposizione di 3 o 4 famiglie, le quali possono chiamarlo in caso di bisogno 24 ore su 24, anche di notte se occorre" ha affermato il capo del partito di Lianzhu, città che esercita la giurisdizione su Bixi.

Oggi la vita nella contea è proprio quell'esempio di "armonia" sociale tanto decantata dalla retorica del Partito, un esempio ancora una volta raggiunto attraverso lacrime e ingiustizie. Nel 2008 anche la provincia di Menglian (Yunnan) era stata teatro di rivolte, secondo un copione simile a quello di Wukan: cittadini infuriati lamentavano la violazione dei loro diritti sulla terra da parte di una società locale produttrice di gomma. All'inutile appello inoltrato alle autorità, avevano fatto seguito le maniere forti: prese di mira le auto della polizia, rasi al suolo alberi e bloccate le strade della città per impedire ai funzionari locali di entrare. Dopo la rivoluzione di Menglian il governo ha deciso di cambiare tattica, venendo maggiormente incontro alle esigenze del popolo e mantenendo rapporti più stretti con i residenti. "Eravamo abituati ad odiare i funzionari, ora andiamo d'accordo come fratelli" ha raccontato Yan, che ha aderito al partito entrando nell'amministrazione di villaggio.

Un'altra storia a lieto fine che ha per protagonista funzionari e popolino, un'altra storia in cui le tensione vengono allentate grazie alla politica del compromesso e del dialogo; se si considera poi che il cantore è uno dei quotidiani ufficiali di Zhongnanhai, dietro al successo ottenuto nella provincia dello Yunnan, potrebbe nascondersi molto di più. Forse un incitamento per tutto il resto della Cina a seguirne l'esempio, forse.

Intanto Wukan ha già avuto la sua bella conquista: alcuni giorni fa gli abitanti del villaggio si sono recati alle urne per scegliere la commissione che supervisionerà l'elezione dei rappresentanti locali, prevista per il 1 marzo. Magari un giorno anche a Menglian avverrà lo stesso

Come disse nonno-Wen- più noto come Primo Ministro Wen Jiabao- il 31 gennaio, in occasione dell'apertura dei lavori del Consiglio di Stato:  il governo dovrebbe “creare canali per la gente affinché possa esprimere le proprie critiche, così come il governo dovrebbe ascoltare i suoi consigli e assorbire i  suggerimenti per migliorare il proprio funzionamento". Più o meno sincere, le parole del premier uscente hanno comunque la loro importanza. Almeno poi non si venga a dire che non ve l'aveva detto.

venerdì 10 febbraio 2012

"Chi ha incastrato Wang Lijun"



AGGIORNAMENTI

11 febbraio 2012

E' ancora giallo riguardo all'ex capo delle forze di polizia di Chongqing, Wanh Lijun, che nella notte di martedì ha trascorso 24 ore all'interno del consolato statunitense per motivi ancora ignoti.

"Ci sono due versioni dei fatti" racconta il commentatore politico, Jhonny Lau Yui-sui, "una in inglese per gli stranieri e quella ufficiale di Pechino, per i cinesi, nella quale viene detto che Wang Lijun è stato trattenuta nella sede diplomatica contro la propria volontà".

Per ora non è stata rilasciata nessuna spiegazione, ed entrambi i governi osservano un religioso "no-comment".

Wu Si, autore del libro sui giochi di potere messi in atto dai funzionari dal titolo"Hidden Rules", ha spiegato: "se qualcuno si accorge che la sua vita è in pericolo, si protegge contro i suoi nemici inducendoli a pensare di essere a conoscenza di alcuni loro segreti. Dopo non aver trovato all'interno del proprio paese qualcuno di fidato al quale svelare questi segreti, se questa pesona ha un minimo di immaginazione, sposterà la sua ricerca all'interno dei compound dei diplomatici"

Lo storico, Zhang Lifan, invece, ha dichiarato: "non è importante se Wang entrando nel consolato ha lasciato segreti o documenti. Quello che è importante è che ci è entrato e ha lasciato qualcosa. E probabilmente quel qualcosa è proprio ciò che gli ha salvato la vita".

Secondo l'opinione degli analisti, era nel pieno interesse americano ridare Wang in mano a Pechino; il soggiorno del superpoliziotto nella sede diplomatica Usa a pochi giorni dalla visita di Xi Jinping neli Stati Uniti equivaleva a piazzare una bomba ad orologeria nei circoli politici cinesi.

Quante cose possono essere dette in 24 ore! "Una volta ottenute le informazioni di cui avevano bisogno, gli americani non avrebbero mai rischiato di rovinare i rapporti con i cinesi, tra l'altro subito prima del viaggio diplomatico di Xi Jinping",  ha dichiarato Lau. "Hanno abbandonato Wang come un paio di scarpe vecchie"

D'altra parte chi era Wang prima di essere trasferito a Chongqing? Nessuno! Proveniva da una piccola posizione, e ha dovuto lavorare sodo, senza aver alcun background di strategia politica nè conoscenza delle lotte politiche. E' intelligente ma ha poca saggezza politica" ha affermato Zhang.

Wang ha servito per 20 anni nelle forze dell'ordine della provincia del Liaoning prima che Bo lo portasse con sè nella megalopoli del Sud. Wang si è semplicemente trovato il capo sbagliato nel momento sbagliato. Se fosse rimasto nel Liaoning probabilmente sarebbe potuto andare in pensione in pace. E' come una falena davanti ad una fiamma: non riesce a controllare il proprio destino.."

Secondo quanto riferito dall'Inforamation Centre of Human Right and Democracy, mercoledì Wang sarebbe volato a Pechino sotto la custodia di otto alti funzionari del ministero per la  Sicurezza dello Stato.

Intanto nel tardo pomeriggio si dovrebbe essere tenuto l'incontro tra Bo Xilai  e il Primo Ministro canadese, Stephen Harper: un altro elemento che va ad ingarbugliare ulteriormente la faccenda.  Quanto a Bo, la tempesta scandalistica che lo ha travolto in questi ultimi giorni non sembra averlo scomposto di una virgola; ieri in visita a Kunming, nella provincia meridionale dello Yunnan, ha elogiato le bellezze naturalistiche del luogo e il lavoro di conservazione e tutela ambientale portato avanti dal governo locale.

Ma nonostante l'apparente tranquillità ostentata da Bo, l'assenza sul Chongqing Daily di qualsivoglia riferimento alla storia di Wang Lijun non può non insospettire. "Penso che ciò voglia dire che l'incendio è ormai divampato" ha affermato l'analista Chen Ziming", il problema non è solo di Wang, ma di tutta la cricca della città.

Mentre l'identità del piromane rimane ancora sconosciuta, a domare le fiamme a proprio piacimento ci sta pensando il suo rivale storico, Wang Yang, capo del partito dell'industrialissima regione del Guangdong, il quale in una teleconferenza presieduta in settimana ha fatto sapere- guarda un po'- di voler avviare una campagna di repressione contro le bande criminali. Una storia già sentita da qualche parte...


"Chi ha incastrato Wang Lijun"

Il caso internazionale del momento viene dalla Cina e si chiama Wang Lijun. Storia di intrighi politici, lotte di potere e cospirazioni da alcuni giorni a questa parte agitano l'ex Impero Celeste.

Il protagonista è niente meno che il cavaliere senza macchia che guidò le forze di polizia della città di Chongqing in una campagna contro le triadi e la corruzione: Wang Lijun, 53 anni, ex-capo delle forze dell'ordine e vice sindaco di Chongqing, nonché braccio destro di Bo Xilai, segretario del partito locale e astro nascente della politica cinese. Quel Bo Xilai che fautore di un socialismo ortodosso e consacrato a nuovo Mao, ha riportato in auge canzoni e poesie comuniste; avversario storico del capo del Partito del Guangdong WangYang, noto per le sue tendenze liberali e per i successi ottenuti durante gli “episodi di Wukan”, sino a poco tempo fa era uno dei candidati più favoriti ad una delle nove poltrone del Comitato Centrale del Politburo, ma oggi chissà...

Tutto cominciò la notte tra il 6 e il 7 febbraio scorso a Chengdu, capitale della provincia del Sichuan, quando la polizia militare circondò il consolato Usa della città, come mostrano le foto pubblicate su Weibo, sorta di Twitter in salsa di soia. Nell'insolito via vai di macchine, automobili recanti targhe del governo alimentano subito le fantasie del popolo del web: un alto funzionario di nome Wang Lijun si sarebbe recato presso la sede diplomatica statunitense per invocare asilo politico. Al rifiuto americano avrebbero fatto seguito gli arresti domiciliari.

Questa la versione che in poche ore ha fatto il giro dell'infosfera, e mentre mercoledì mattina l'ambasciata degli Stati Uniti a Pechino continuava a mantenere il silenzio, il governo cinese ha rilasciato un comunicato che di lì a poco avrebbe alimentato nuove e più ghiotte teorie. “Wang si è preso un congedo, dovuto a problemi fisici a causa del carico di lavoro eccessivo e si trova in vacanza per effettuare delle cure”, recitava la dichiarazione ufficiale pubblicata su microblog del governo di Chongqing.

Risuonata tanto come la scusa peggiore che Zhongnanhai potesse trovare, le parole “vacanza” e “stressato” sono diventate immediatamente il nuovo tormentone della rete, dando vita a giochi di parole, tanto che nella giornata di ieri su Sina- il servizio di microblog più popolare della Cina- il nome di Wang Lijun è apparso ben 540 mila volte, mentre il messaggio dell'ufficio governativo di Chongqing è stato ritwittato da migliaia di internauti prima di essere rimosso, con tante scuse del personale. “Un errore degli web editor”, hanno fatto sapere.

Calcolando che è usanza cinese non rivelare informazioni personali riguardanti i funzionari, la repentinità con la quale il Partito ha cercato di mettere a tacere le voci sul superpoliziotto non hanno fatto altro che confermare uno stato di imbarazzo. Il tutto confermato da una sospetta censura ad intermittenza: il nome di Wang è stato bloccato e sbloccato più volte, e con eccezione per il nome di Bo Xilai, le restrizioni sono ben presto state eliminate “ Quando i funzionari sono a conoscenza di qualcosa, è poco probabile che venga censurata sui microblog” ha spiegato Zhang Ming, professore di scienze politiche presso la Renmin Univesity di Pechino.

Sta di fatto che Wang Lijun è rientrato negli argomenti più cliccati su Weibo e la sua storia è - parafrasando Michael Anti, blogger politico residente a Pechino- “è l'evento politico più colossale che sia avvenuto nella Cina continentale dall'inizio dell'era dei social media”.

Le immagini delle strette misure di sorveglianza alle quali è stata sottoposta la sede consolare Usa impazzano su Internet, mentre fioccano le ipotesi e i commenti dei fanatici politici; inchiodati ai loro computer, gli spettatori hanno seguito tutto in trepidante attesa, minuto per minuto. “ Cosa sarebbe successo se un uomo in possesso di segreti di Stato come Wang, fosse finito nelle mani degli americani, gli avversari numero uno del Dragone?” Sembra essere la domanda più ricorrente tra i cittadini del web. E perchè il consolato statunitense avrebbe chiuso le sue porte al funzionario in cerca di aiuto? Forse per non irritare Pechino a ridosso della vista negli Usa del futuro presidente Xi Jinping?

Secondo indiscrezioni non confermate, Wang sarebbe caduto vittima di un indagine per corruzione. “Anche se le voci risultassero false” ha commentato il Financial Times, “la scomparsa improvvisa di Wang potrebbe comunque nuocere al suo ambizioso protettore Bo Xilai.” “Questo sarà un duro colpo per lui, perchè Wang ha rivestito un ruolo centrale nella sua campagna anti-criminalità ed è stato fondamentale nel forgiare l'immagine di Bo davanti all'opinione pubblica e anche davanti agli occhi dei funzionari.” E ormai la pista più seguita è proprio quella di una congiura nei confronti del novello Mao.

Intanto nella giornata di giovedì il noto artista dissidente Ai Weiwei diceva la sua, fischiettando su Internet che il superpoliziotto aveva veramente cercato rifugio tra le braccia della diplomazia a stelle e strisce, e che le sue richieste di aiuto risalirebbero a prima di questa settimana. Notizia ottenuta grazie ad un “affidabile avvocato americano”- del quale Ai non ha voluto rivelare il nome- ed, in parte, confermata in tarda serata dal ministero degli Affari Esteri cinese: “Un portavoce del ministero ha dichiarato che Wang Lijun ha fatto il suo ingresso nel consolato statunitense di Chengdu il 6 febbraio e ha lasciato la sede diplomatica il giorno dopo. Le autorità stanno continuando le indagini” scriveva ieri l'agenzia di stampa Xinhua, amplificando un comunicato apparso sul sito del governo di Pechino.

Simile la versione rilasciata dalla portavoce el Dipartimento di Stato, Victoria Nuland, la quale ha ammesso la richiesta innoltrata da Wang di un incontro presso il consolato Usa ad inizio settimana, ma ha anche specificato che egli ha lasciato la sede diplomatica di suo spontanea volontà, baipassando l'ipotesi di un asilo politico.

E nonostante le autorità continuino a gettare acqua sul fuoco nel tentativo di minimizzare l'accaduto, secondo gli esperti ci sono buone probabilità che il caso Wang Lijun possa avere un'influenza determinante sui rimescolamenti politici del XVII Congresso del Partito Comunista, che alla fine dell'anno porteranno ad un cambio di leadership. Eccetto che per la cariche di presidente e primo ministro, destinate, salvo colpi di scena, rispettivamente a Xi Jiping e Li Keqiang, vi sono ancora sei posti vacanti per i quali gran parte degli alti papaveri cinesi farebbero di tutto.

Un ulteriore elemento avvallerebbe l'ipotesi di sospette alchimie politiche e lotte intestine: pochi giorni fa Wang era stato destituito dal ruolo di capo della sicurezza, per essere spostato in settori meno sensibili quali quelli della scienza e dell'ambiente. Lo sceriffo di Chongqing potrebbe essere caduto in disgrazia in seguito al giro di vite sulle gang mafiose messo in atto tra il 2008-2010, divenuto in seguito fiore all'occhiello dell'amministrazion Bo Xilai, ma che sarebbe avvenuto- come spiega l'analista Li Fan- con metodi poco ortodossi e in disaccordo con le linee guida previste dal governo centrale.

Intanto il sito Boxun- che pur avendo in passato svelato interessanti retroscena politici, non risulta del tutto attendibile- propone una serie di aggiornamenti lampo sulla spy story del poliziotto cuor di leone, che, per il suo coraggio e la sua integrità morale, ha ispirato la serie TV Iron Blooded Police Spirit.
La carrellata comincia con una lettera inviata alla redazione da un presunto amico d'oltremare di Wang, in cui lo stesso Wang denuncerebbe la corruzione e i comportamenti immorali del suo protettore Bo Xilai, definendolo un “gangster”avido e senza scrupoli “Quando questa letterà verrà letta forse io non ci sarò più...” si legge sul portale di Boxun.

Ultima pubblicazione, invece, la confessione di Bo Xilai il quale si accollerebbe tutta la responsabilità per gli ultimi accadimenti che hanno coinvolto Wang e si direbbe pronto a dare le dimissioni.
Ma non manca nemmeno la soffiata di una gigantesca manovra volta a mobilitare ben 68 funzionari di alto livello, tutti fedelissimi a Wang Lijun e pronti a vendicare il loro “fratello”, mentre, colpo di scena, alla fine del pezzo compare il nome del primo ministro canadese Stephen Harper; come se la trama della nostra storia non fosse già sufficientemente intricata.

Speculazioni, ipotesi, voci di corridoio più o meno tinte di verità a seconda dell'attendibilità della loro fonte. E' difficile dire dove finisca il romanzo e comincino i fatti. Una cosa però è certa:
Nonostante il viceministro degli Esteri, Cui Tiankai, abbia voluto precisare che “si è trattato di un episodio isolato che non avrà alcuna ripercussione sul viaggio di Xi Jinping negli Usa della prossima settimana”, per le relazioni sino-americane l'anno del Dragone è decisamente cominciato in salita.

(Pubblicato su Dazebao)

giovedì 9 febbraio 2012

Attriti tra Pechino e Pyongyang: questione di droga



La stroria d'amore tra Pechino e Pyongyang si fa sempre più turbolenta; e a creare tensione tra i due alleati non sarebbe soltanto la questione nucleare, avvertita ormai dal Dragone come motivo di imbarazzo di fronte alla comunità internazionale. Secondo Sino-NK c'è dell'altro ad impensierire l'amato-odiato partner. Un fattore che il Nord Corea ha tenuto nascosto per anni, anche grazie al tacito consenso del governo cinese, ma che comincia a sfuggirgli di mano, venendo piano piano allo scoperto.

Questo fattore si chiama crystal meth, per gli amici meth, in cinese bingdu; in altre parole una potentissima metanfetamina che agisce direttamente sul sistema nervoso centrale, generando uno stato di euforia che può durare anche 6-7 ore, molto più della tradizionale cocaina. Una sostanza che crea dipendenza ed è nota come “droga da cucina” per la facilità con la quale può essere riprodotta anche in casa.

Nella Corea del Nord, essendo di facile reperibilità, ha già raggiunto una diffusione epidemica senza risparmiare nemmeno i più giovani. Anzi, è proprio tra i ragazzi che fa più proseliti. Ma non solo consumatori accaniti: nella regione meridionale di Hamyong, adolescenti e ragazzi in età scolare sono stati acciuffati dalle forze di polizia mentre miscelavano il mix di sostanze eccitanti.

Considerata alla stregua di un comune medicinale, secondo quanto riportato dal Daily NK, il meth sarebbe assunto da circa ¼ della popolazione nordcoreana. Tanto per capire la vastità del fenomeno, nel Nord Corea, i prezzi delle commodity oscillano in base all'intensità della stretta esercitata dal governo sul contrabbando di tale sostanza. Il deterioramento delle condizioni economiche del Paese, unitamente all'irrefrenabile dilagare della corruzione tra i funzionari di medio livello sono tra le principali cause di questa corsa alle speculazioni illegali basate sullo smercio delle anfetamine.

Il governo di Pyongyang ha sempre negato l'esistenza del problema, preferendo continuare a nascondere la testa sotto la sabbia. E sebbene il nuovo giovane leader di Pyongyang, Kim Jong-Un, appena preso il potere abbia subito provveduto ad innescare un giro di vite su spacciatori e consumatori di bingdu, tuttavia è opinione diffusa che il fenomeno abbia ormai raggiunto proprozioni ingestibili. Ma non solo. Sembra essere sempre più accreditata la teoria di un legame tra le gang della DPRK e l'ingombrante vicino di casa, la Cina.

Una storia già sentita ma da entrambe le parti sempre minimizzata, quando non negata . Nell'agosto del 2004, Yang Fengrui, vice segretario generale del China's National Narcoties Control Commission (NNCC), nonchè direttore generale del Narcotics Control Bureau (NCB), commentò così la questione del traffico di droga proveniente dalla Corea del Nord: “Ci sono effettivamente dei casi di smercio di stupefacenti dal Nord Corea al nostro Paese. Tuttavia in Cina ogni anno si verificano più di 100.000 casi di contrabbando di droga, e la percentuale di quella proveniente dalla Corea del Nord è bassissima. La maggior parte delle droghe che fanno male al nostro Paese arrivano dal Triangolo d'Oro.” E alla lista si vanno ad aggiungere anche Giappone, Repubblica Democratica Popolare di Corea (DPRK), Nepal e altri Paesi asiatici.

Ma la diplomazia del presidente dell'NCB non è riuscita a mettere a tacere la questione, e un recente rapporto apparso sul quotidiano di Seul, Dong-A Ilbo, afferma che negli ultimi anni Pechino, spalleggiato dall'intelligence sudcoreana, avrebbe sequestrato 60 milioni di dollari di droga proveniente proprio dalla DPRK.
Lo scorso 4 giugno l'agenzia di stampa Xinhua riportava che le autorità cinesi avevano finalemnte messo fine ad un giro di contrabbando interfrontaliero, nei pressi di Dandong. Sebbene l'articolo non specificasse quale frontiera fosse stata valicata dai narcotrafficanti, la localizzazione è sufficientemente precisa: Dandong, provincia del Liaoning, a ridosso del confine con la Corea del Nord

Seppur lentamente, la verità sta venendo fuori. Cosa ha condotto Pechino a rilasciare la sua mezza confessione? Secondo Sino- NK le motivazioni sono principlamente due. Il timore e la constatazione che la DPRK stia perdendo il controllo sulle attività di contrabbando del meth di pari passo con l'aumento esponenziale della domanda dall'esterno. Ragioni per le quali, negli ultimi dieci anni, le frontiere settentrionali dell'Impero di Mezzo sono state innondate da fiumi di droga “made in Pyongyang”.

E poi c'è l'altra motivazione, ben più sottile e rilevante a livello strategico. Ora che la testardaggine dell'alleato con il pallino per il nucleare viene avvertita dal Dragone come una seccatura, il giro di vite sul traffico di stupefacenti potrebbe essere un ottimo metodo per metterlo alle strette. Un'arma di ricatto, quella del bingdu, della quale Pechino per il momento continua ad impugnare il manico. Ma per quanto ancora?

(Pubblicato su Dazebao)

mercoledì 8 febbraio 2012

"La Primavera asiatica"


A poco più di un anno dalla Rivoluzione dei Gelsomini, il Mondo Arabo continua a ribollire, ma non è il solo.  Ancora più ad Est le spinte democratiche cominciano a dare i loro frutti facendo presagire nuovi rimescolamenti politici. D'altra parte l'Estremo Oriente ha già una sua "massa critica di democrazia"- scrive Larry Dimond su The Atlantic- Giappone, Corea del Sud e Taiwan sono democrazie liberali consolidate; Timor Est, Filippine, Mongolia e Indonesia sono, pur con i loro problemi, democrazie elettorali e diverse avvisaglie danno modo di pensare che anche alcuni regime totalitari (leggi Cina e Myanmar) stiano lentamente cedendo ai compromessi. E poi c'è Singapore, che pur essendo ancora la potenza economica non-democratica più forte al mondo, sembrerebbe avviarsi verso un periodo di transizione, come dimostrano i risultati delle ultime elezioni parlamentari del maggio 2011, i peggiori per il People's Action Party dal 1965. Dopo mezzo secolo di egemonia a partito unico, il pluralismo politico si affaccia anche qui.

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martedì 7 febbraio 2012

Jack So: "il miglior amico del cane è la locusta"


In occasione della 12a sessione del Yabuli Entrepeneurs Forum- tenutosi nella provincia dello Heilongjiang per commemorare il ventennale del "viaggio a sud" del padre delle riforme economiche cinesi, Deng Xiaoping- Il chairman dell'Hong Kong Trade Development Council, Jack So, non si è potuto esimere dal commentare le ultime tensioni che hanno surriscaldato l'atmosfera nell'ex colonia-britannica: lo scontro tra i "cani" hongkonghesi e le "locuste" cinesi che sfruttano i privilegi assicurati loro in seguito alla fondazione di "un Paese-due sistemi", motto coniato nel 1997 quando, dopo 150 anni di dominazione inglese, Pechino ristabilì la sua sovranità sull’isola.

Ogni anno decine di migliaia di donne cinesi emigrano ad Hong Kong per dare alla luce i loro figli, beneficiando così di uno dei sistemi sanitari considerato tra i migliori del continente asiatico. Un bambino nato da genitori cinesi nell'ex colonia britannica ottiene automaticamente il diritto di residenza e la possibilità di frequentare le scuole locali.

Secondo i dati ufficiali, su un totale di 80.131 bambini nati nel 2011, 38.043 erano figli di genitori cinesi.

Ma gli hongkonghesi di questa invasione di "locuste", che divorano ciò che non è loro e infrangono le leggi locali, non ne possono veramente più. Ed è così che Yung Jhong, internauta di Hong Kong, ha raccolto 100mila dollari per acquistare la pagina di un giornale e gridare "basta alle cavallette cinesi". “I cinesi hanno passato ogni limite – scriveva Yung- perché vengono qui approfittando del nostro welfare, e poi si rifiutano di seguire le regole? I cittadini di Hong Kong non possono più accettarlo”.

La questione tutt’altro che nuova, puo’ esere considerate, piuttosto, la recrudescenza di sentimenti xenofobi mai assopiti e, anzi, rinvigoriti dal recente scandalo che ha visto il noto brand italiano Dolce & Gabbana bersagliato da accuse di razismo nei confronti degli hongkonghesi (ai quali sarebbe stato vietato di fotografare le vetrine dello store di Hong Kong, un “privilegio” concesso invece ai cugini cinesi.)

Ecco le parole che Jack So ha speso per tentare di sedare gli animi tra i due vicini di casa, come riportato il 6 febbraio sul sito della stazione televisiva Phoenix. E l'occasione non poteva essere più azzeccata: il forum di Yaobuli nasce proprio con l'obiettivo di analizzare e promuovere i rapporti economico-commerciali tra Taiwan, Hong Kong, Russia, Macao e la provincia cinese dello Heilongjiang.

Dopo i primi convenevoli, il discorso punta subito dritto al sodo: "ci troviamo qui per commemorare il 20° anniversario del "viaggio a sud" di Deng Xiaoping il quale oltre ad essere stato l'architetto “dell' economia di mercato socialista con caratteristiche cinesi" non bisogna dimenticare sia stato anche il fautore del principio "un Paese-due sistemi". Se oggi Hong Kong gode di una certa prosperità e stabilità è anche grazie a Deng. Ma recentemente è sorta una piccola polemica diffusasi sui giornali e sul web, che ha visto hongkonghesi e cinesi insultarsi a vicenda. Tutto è cominciato con una controversia avvenuta sulla metro di Hong Kong, in seguito alla pubblicazione da parte di un professore di un'università di Pechino, a noi tutti noto, di un suo discorso dal titolo “Gli abitanti di Hong Kong sono cani; sanno soltanto agitare la coda agli inglesi”. Alcuni netizen hongkonghesi, persa la pazienza, hanno risposto agli insulti chiamando gli abitanti della Cina continentale "locuste" per via del fatto che vengono ad Hong Kong per farsi fuori tutto, compreso il vino rosso, latte in polvere, case, orologi di lusso e yacht. Io come la maggior parte degli hongkonghesi mi auguro che questa disputa senza senso finisca al più presto. Siamo tutti cinesi e apparteniamo alla stessa radice.

In primo luogo, penso che la stragrande maggioranza dei cittadini di Hong Kong spera che i cinesi vengano da noi per realizzare investimenti e trovare lavoro, e certamente tutti sappiamo che non è vero che ci ritengono dei "cani". Ovviamente abbiamo anche noi i cani, come abbiamo gatti e topi. Ma il risultato ottenuto oggi dagli hongkonghesi sta nel non fare affidamento sugli scodinzolamenti. Per dirla senza mezzi termini, Hong Kong ha sempre contato sulle proprie capacità e le aspettative del governo risiedono soltanto nel riuscire a mantenere lo stato di diritto, un'amministrazione limpida e icorruttibile , nonché un ambiente professionale esente da eccessive tassazioni.

Negli anni (il governo di Hong Kong) ha sempre mantenuto una strategia non-interventista, dando grande importanza ai meccanismi di mercato e mettendo in secondo piano la politica. In realtà Hong Kong in questi ultimi decenni di sviluppo e’ sempre stata indissolubilmente legata alla Cina conitinentale. Io, che ho vissuto per tutta la vita ad Hong Kong, posso confermare che ha subito grandissimi cambiamenti. In passato ho gia’ avuto esperienze nel settore delle telecomunicazioni, del real estate e della finanza, e ora come presidente (dell' Hong Kong Trade Development Council) ho importanti doveri.

Mi ricordo quando negli anni ’50-’60 un'ondata di immigrati giunse sull’isola, tra questi vi erano anche imprenditori e capitalisti sbarcati con l’intento di promuovere l’industria manifatturiera locale. Al tempo la produzione di Hong Kong consisteva in articoli di basso costo, tra cui giocattoli, orologi, abbigliamento e oggetti in plastica da esportare in Europa, America e in Medio Oriente.. In seguito alla fioritura del business locale, essendo territorialmente piccola, e carente di manodopera, si è trovata a far fronte ad un aumento dei costi di produzione.

Poi nel 1979 la Cina ha cominciato ad aprire le porte agli investimenti esteri attraverso l’istituzionalizzazione delle SEZ, e i businessman di Hong Kong gradualmente hanno spostato molte fabbriche dal nord verso il delta del Fiume delle Perle. Le aziende con base ad Hong Kong, responsabili per la qualita’ dei prodotti e del design, per l’organizzazione del trasporto ecc...hanno dato il via ad un modello di cooperazione definito “qian dian, hou chang” attraverso il quale i prodotti dalla mainland passavano, in un secondo momento, attraverso Hong Kong per infine essere esportati nei mercati d’oltremare.

Durante gli anni 90’, nei periodi di maggior splendore, gli uomini d'affari di Hong Kong sono arrivati ad avere, nella provincia del Guangdong, circa 20.000 fabbriche di questo tipo, per un totale di 3milioni di lavoratori,: il volume delle esportazioni dal 1970 al 1990 e’ aumentato di circa 42 volte.

“Il viaggio a sud” di Deng Xiaoping ha dato maggior vitalità al processo di apertura e riforma del Paese. Con il rapido sviluppo delle infrastrutture nella Cina continentale, i businessmen hongkonghesi non necessitavano più esportare i loro prodotti via Hong Kong (questo è quello che chiamiamo esportazioni off-shore).

L'ingresso della Cina nella WTO (2001) rappresenta un'altra pietra miliare; nel breve tempo di una decina di anni l'export cinese è incrementato di dieci volte raggiungendo, nel 2010, all'incirca i 2miliardi (?). Certamente in queste statistiche sono comprese anche le esportazioni off-shore realizzate dagli uomini d'affari hongkonghesi nella mainland. Ora che la Cina è diventata la fabbrica del mondo, il sistema economico di Hong Kong integrato dallo sviluppo della Cina continentale, ancora una volta potrà portare ad un'importante transizione, raggiungendo uno sviluppo incentrato principalmente sul settore terziario (…). Questo settore non solo assicurerà servizi di ottima qualità alle imprese di Hong Kong, ma sarà utile anche a molte imprese nazionali. E tuttavia sul mercato di Hong Kong le aziende cinesi sono già quasi 500, e hanno un valore di mercato pari a oltre la metà del totale della capitalizzazione di mercato di Hong Kong."

Dopo aver fatto una carrellata di tutti i mali che affliggono Nuovo e Vecchio Continente, la paternale di Jack So arriva finalmente alla sua conclusione: mai come in questo momento, “un Paese-due sistemi” è l'antidoto che ci vuole per dare sviluppo ai mercati concorrenziali, Sud Est asiatico e Cina continentale in primis. Una fetta di mondo, questa, sulla quale non a caso hanno già messo gli occhi anche gli Stati Uniti.

Un'alleanza tra “cani e locuste” per scardinare il potere economico dell'Aquila, dunque; chissà se letta in questi termini la favola di Fedro “alla Jack So” risulterà più gradita ai suoi lettori.

(Pubblicato su Dazebao)

domenica 5 febbraio 2012

Global warming: il disgelo dell'Artico apre "nuove strade" alla Cina



Con il riscaldamento globale e lo scioglimento dei ghiacci torna in auge la Northern Sea Route; e la Cina ci guadagna.

Nonostante gli avvertimenti del rapporto nazionale sui cambiamenti climatici secondo il quale l'inquinamento galoppante rischierebbe di fermare la lunga marcia verso la crescita economica della seconda potenza mondiale, Pechino continua a temporeggiare, gettando fumo e nebbia sul reale stato di salute dell' "aria con caratteristiche cinesi". "Bisognerà attendere il 2030 perchè le emissioni di anidride carbonica comincino a diminuire, per arrivare a regime soltanto intorno alla metà del secolo", recita il rapporto.
Dal banco degli imputati il Dragone si proclama impegnato nel perseguimento di uno sviluppo sostenibile e deciso a ridurre le emissioni ma...

Secondo uno studio, lo scioglimento dei ghiacciai dell'Artico dovuto al global warming aprirebbe un nuovo passaggio a nord-est; un passaggio che al momento viene creato artificialmente per mezzo di costose navi rompighiaccio: le nuove rotte attraverso lo stretto di Bering, che collega Europa e Oceano Pacifico, farebbero risparmiare alla Cina dai 60 ai 120 miliardi di dollari, dimezzando distanza (circa 10.000 chilometri in meno) e tempi di navigazione, mentre a nord-ovest, passando per il Canada Artico, il percorso verso l'Atlantico verrebbe accorciato di 7.000 chilometri.

E se le previsioni degli esperti si riveleranno esatte, entro il 2030, nel periodo estivo il mare di ghiaccio si scioglierà creando un canale concorrenziale rispetto a quello di Suez, troppo battuto- le rotte che solcano l'Oceano Indiano mettono Pechino in diretta competizione con Delhi- e altamente rischioso per via della pirateria che infesta il golfo di Aden.

Non a caso, dunque, Cina e India hanno richiesto di divenire osservatori permanenti del Consiglio Artico, forum che unisce gli sforzi di Russia, Stati Uniti, Canada, Danimarca, Norvegia, Svezia, Islanda e Finlandia, per monitorare una delle aree dal punto di vista strategico ed energetico più importanti del globo. In questa fitta rete di relazioni, Copenaghen potrebbe rivelarsi un importante avamposto per gli interessi del Dragone nell'Artico. La capitale danese, infatti, esercita forte influenza sulla Groelandia, terra ricca di quei preziosissimi minerali denominati "terre rare," fondamentali per il settore dell'high-tech e dei quali la Cina produce il 95% delle forniture mondiali.

Sebbene il Consiglio sia all'opera dal 1996,  i contrasti tra Washington e Mosca relativi al "passaggio a nord-ovest", la rotta commerciale che va dall'Oceano Atlantico al Pacifico attraversando il Canada, hanno spesso ostacolato il dialogo ad otto, tenendo in vita una controversia che lascia i suoi strascichi dai tempi della Guerra Fredda.

Nell'estate del 2010, la Russia ha voluto rimarcare il terreno inaugurando una rotta per il trasporto di gas e petrolio destinata ai Paesi Asiatici, passante proprio attraverso l'Artico. Una mossa che, oltre ad aver infastidito Pechino, è piaciuta molto poco anche al Canada che considera il passaggio a "nord-ovest" parte delle proprie acque territoriali.

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sabato 4 febbraio 2012

Cina. L'iPhone 4S non è per tutti


Cellulari centellinati e una “lotteria a premi”: questo il nuovo sistema adottato dalla Apple per far fronte al fenomeno degli scalper cinesi. Una nuova politica di vendita al dettaglio volta a regolamentare gli ordini e le consegne del suo ultimo gioiello, l'iPhone 4S, ad Hong Kong e nella Cina continentale.

La nuova tattica di difesa, già effettiva da martedì nell'ex colonia britannica e con un giorno di ritardo nella mainland, ha riattivato le vendita del pezzo forte della “mela morsicata”, sospese da quasi tre settimane nell'Impero di Mezzo a causa dei disordini verificatisi lo scorso 13 gennaio presso lo store di Sanlitun, a Pechino. Scene di delirio collettivo dalle prime ore della mattina, con resse davanti al negozio e guardie malmenate dalla folla in attesa di poter acquistare l'agognato iPhone 4S, avevano indotto la compagnia californiana a imporre lo stop delle vendite. “Non siamo in grado di riaprire lo store di Sanlitun, né di assicurare la sua sicurezza”, aveva dichiarato la portavoce della Apple in Cina, Carolyn Wu.

Ma dietro alle tensioni che si sono abbattute sul megastore della capitale cinese, c'è ben di più della solo maniacale passione nutrita dalla Nuova Cina per il marchio di Stave Jobs. Un lucrosissimo giro d'affari ha messo in moto gruppi di scalper intenzionati ad acaparrarsi più pezzi possibili con l'obiettivo di rivenderli a prezzo maggiorato sul mercato grigio della terraferma.

Ora il servizio di ordinanzione online per l'ultima creazione di Steve Jobs è stato riattivato, ma ai clenti non è dato sapere la tempistica esatta delle consegne. “Effettuando il pagamento oggi potresti ricevere la merce domani, e comunque non oltre il 2marzo” ha spiegato un addetto del personale per la vendita in rete.

Comunque sia, il colosso di Cupertino, ha impararto la lezione, e ora ci va con i piedi di piombo. In tandem con la riattivazione delle vendite vendite online, verrà adottato un sistema di lotteria riservato al mercato di Hong Kong.

Secondo quanto dichiarato dagli addetti ai lavori, molti dei telefoni venduti nell'ex colonia britannica, dove i prodotti sono sottoposti a tassazioni inferiori, finiscono sul mercato grigio della Cina continentale. 5,088 HK$ (660 $ )  il prezzo disponibile nei negozi hongkonghesi contro i 4,988 yuan (790$) degli Apple store della mainland.

Ma adesso è tutt'altra musica, e per prenotare la merce gli acquirenti di Hong Kong saranno costretti ad accedere al sito web della compagnia californiana, nella fascia oraria tra le 9 del mattino e mezzogiorno, per dare le loro informazioni personali, incluso il numero della carta d'identità. Poi non resterà che sperare nella buona sorte.

I baciati dalla fortunati, estratti a sorte nella lotteria, riceveranno una mail di conferma dell'ordine entro le 21.00 dello stesso giorno con specificata la data della consegna. Ma niente paura. Chi non sia stato scelto una prima volta potrà fare un altro tentativo, rieffettuando la prenotazione online un altro giorno.

“A causa delle numerose richieste, abbiamo deciso di accettare un numero limitato di prenotazioni al giorno” recita un annuncio dell'Apple store di Hong Kong. “Solo coloro che riceveranno un mail di conferma saranno in grado di acquistare un iPhone. Non metteremo in vendita iPhone4 e iPhone 4S presso i nostri punti vendita.”
Riserbo totale, invece, tra i vertici dell'amministrazione: nessun commento, ancora, dal portavoce della società circa la nuova politica adottata.

Da due giorni a questa parte, l'ultima creatura di Jobs ha mantenuto lo stesso prezzo tanto in Cina, quanto ad Hong Kong e sul mercato grigio degli scalper, e le scorte adeguate fanno escludere impennate improvvise, come ha spiegato il proprietario di un rivenditore digitale di Sin Tat Plaza, la shopping mall della telefonia mobile più popolare dell'isola.

Ma sono emersi già diversi dubbi sull'effettiva efficacia della nuova strategia messa in atto dalla Apple. Alcuni scalper hanno fatto sapere di ricevere da Hong Kong un numero sufficiente di cellulari in grado di continuare ad alimentare il proprio business. “Volendo, non è difficile riuscire ad ottenere 40 o 50 telefoni” ha affermato uno dei venditori illegali.

E mentre il personale dello store di Pechino continua ad indottrinare i clienti, avvertendoli di diffidare dall'acquisto di prodotti non autorizzati, le politiche della società di Cupertino non convincono nemmeno gli insider. “Le nuove misure della Apple mostrano la volontà di voler rispettare la domanda dei consumatori, attraverso la trasparenza” ha dichiarato Zhong Ken, consulente della capitale specializzato nel settore delle telecomunicazioni, “ma la società non ha alcuna esperienza nella gestione di un tale squilibrio tra domanda e offerta, e i risultati della nuova strategia sono incerti; non è difficile per gli scalper riuscire ad aggirare le restrizioni”.

L'iPhone 4S continua ad essere l'oggetto del desiderio di migliaia di cinesi, sempre più “smartphone addicted” e instancabili esploratori del web. Con un bacino attuale di 505 milioni di internauti, lo scorso anno il Dragone si è lasciato alle spalle gli Stati Uniti salendo in cima al podio nel mercato dei telefoni intelligenti. Oggi la “mela morsicata” vanta un totale di sei store tra Cina continentale e Hong Kong, e nemmeno l'ombra gettata sul marchio Apple dal caso Foxconn (link) sembra averla resa meno appetibile al palato dei cinesi.

(Pubblicato su Dazebao)

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...