La decisione dell’organo di controllo del Pcc, ratificata dal Comitato Centrale, e’ stata inoltrata alle autorita’ giudiziarie. Una prassi ormai consolidata in Cina, dove le ipotesi di reato vengono sottoposte al vaglio di due sistemi paralleli. Quando, infatti, il sospettato e’ un funzionario, la questione viene risolta in prima battuta tra le mura di Zhongnanhai –il Cremlino cinese- per poi solo in seguito varcare le aule delle Corti di giustizia.
Ma cio’ che e’ scritto sulla carta raramente viene messo in pratica, e se in teoria i membri del Pcc, dopo il verdetto della CDI, dovrebbero essere consegnati alle autorita’ di polizia e ai tribunali per per venire sottoposti ad un’accusa penale, cio’, di fatto, succede solo di rado, mentre il piu’ delle volte la situazione si estingue all’interno dei palazzi del potere.
Nel suo recente libro “Sovereign Power and Law in China”, Flora Sapio, giurista della Chinese University of Hong Kong, spiega come le regole del Pcc in materia di disciplina “replichino” il diritto penale dello Stato e le altre normative sulla violazione della sicurezza pubblica. Ma con toni meno severi. I reati vengono derubricati a “errori” o “infrazioni minori” che, di conseguenza, non comportano una responsabilità penale. Quando un caso viene girato alla procura o alle forze dell'ordine, il tribunale riceve un “parere formale scritto” che pone le basi per un'azione penale; quasi sempre la sentenza finale stabilisce una sanzione minore o una condanna senza limitazioni della liberta’. Di fatto “gli organi di Partito possono virtualmente eliminare ogni tentativo di giudizio indipendente,” scrive la Sapio.
Per conservare l'integrità del monolite cinese, ai piani alti si preferisce consegnare ai tribunali solo una piccola percentuale dei quadri sottoposti a pene interne. Lo confermano i numeri. Nel 2009 degli oltre 1.300.000 rapporti riguardanti casi di corruzione di funzionari, inoltrati alla Commissione per la Disciplina, solo 140 mila sono stati realmente sottoposti ad indagine, di cui oltre 100 mila risolti con sanzioni interne. Mancano, invece, i dati sulle questioni presentate alle procure, anche se le statistiche per gli anni precedenti evidenziano cifre irrisorie a confronto.
Ma Li Zhijun non è che l'ultimo di una serie di alti membri del Partito, il cui procedimento penale giunge solo a seguito del verdetto rilasciato dagli organi interni. Storie come quella dell'ex ministro delle Ferrovie riempiono di scheletri gli armadi di Zhongnanhai. Nel 2005 il ministro della terra e delle Risorse, Tian Fengshan -deposto dal suo incarico ed espulso dal Pcc un anno prima- è stato condannato all'ergastolo con l'accusa di aver accettato tangenti per il valore di oltre 4 milioni di yuan (più di 500 mila euro) al tempo in cui era governatore della provincia dell'Heilongjiang. Tre anni dopo, nel 2008, è stata la volta di Cheng Liangyu, capo del partito di Shanghai nonché membro del Polituro, rimosso dalla sua posizione e in seguito condannato dalla Corte a 18 anni di reclusione per complicità nel sifonamento di centinaia di milioni di dollari dal fondo pensione della città e per essersi intascato ingenti somme attraverso loschi affari finanziari.
Negli ultimi mesi il caso Bo Xilai ha nuovamente direzionato il microscopio internazionale sul sistema giuridico cinese. Finito nell'occhio del ciclone a causa di uno scandalo multiplo (reati finanziari, spionaggio ai vertici del Partito e un morto in circostanza sospette addensano nubi funeste sulla famiglia Bo), il 10 aprile scorso l'ex leader di Chongqing è stato rimosso dal Comitato Centrale e dal Politburo. Un'indagine per “gravi violazioni della disciplina” è ancora in corso, mentre sono in molti a chiedersi se anche Bo verrà accusato formalmente e processato.
“I coniugi Bo verranno sottoposti ad un processo, ritenuti colpevoli e puniti severamente” aveva affermato tempo fa la giurista della Chinese University of Hong Kong. Qualora il verdetto riserverà per i due la pena capitale, il caso – hanno dichiarato i media statali- testimonierà il fatto che nessuno è al di sopra della giustizia. “La legge e il Partito non tollerano alcuna violazione” scriveva tempo fa l'agenzia di stampa Xinhua.
Jerome Cohen, co-direttore del Us-Asia Law Institute presso l'Università di New York, ritiene che il caso dell'alto funzionario di Chongqing caduto in disgrazia dimostri come “anche le figure politiche più potenti, solitamente al riparo dalle conseguenze della loro cattiva condotta, possano essere perseguiti dalla legge se il loro comportamento è uscito allo scoperto e se i leader più in alto hanno interesse a porre fine alla loro carriera.”
In Cina il Partito trionfa sullo Stato. Il sistema extra-giudiziale -sulla base del quale un sospettato puo’ essere tenuto in isolamento fino a 6 mesi senza poter ricorrere al sostegno di un legale- ha la precedenza assoluta su qualsiasi indagine delle autorità giudiziarie. “Denaro, potere, guanxi (conoscenze personali), non ti possono salvare perchè c'è qualcosa al di sopra di te”- ha affermato la Sapio- “se vai a toccare questo potere, non conta quali siano il tuo status e i tuoi natali, o quanti soldi tu abbia. Sei esattamente come un dissidente politico o il piu’ insignificante tra i comuni criminali. In questo senso tutti sono veramente uguali: ma non davanti alla legge, davanti ad un potere”
La creazione di un sistema legislativo socialista con “caratteristiche cinesi” e’ stata definita da Wu Banguo, presidente del Comitato permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo, la “pietra miliare” dello sviluppo di un corpus giuridico nazionale. Eppure, nonostante la proclamazione dello Stato di diritto, come stabilito dalla Costituzione, le istituzioni giuridiche continuano a rimanere soggette al controllo del Partito. Un concetto reiterato da Zhongnanhai lo scorso marzo, al fine di stemperare le crescenti tensioni causte dalla caduta di Bo Xilai, attraverso l’introduzione di un giuramento forzato al quale ogni avvocato dovrà sottoporsi: “lealta’ al Partito e sostegno del socialismo con caratteristiche cinesi” e’ quanto richiesto da Pechino a chiunque voglia praticare la professione forense nella Repubblica Popolare cinese.
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