venerdì 22 giugno 2012

(Un)welcome to Pyongyang. Reportage dalla Corea del Nord Vol. 2

(Un)welcome to Pyongyang. Reportage dalla Corea del Nord Vol.1





Una donna di mezza età se ne stava in attesa del treno presso la stazione di Sinuiju. Viso cotto dal sole, vestiti logori e un'espressione vuota. Forse una contadina. Un particolare, però, strideva vistosamente: come fosse un bastone da passeggio, nella mano destra teneva con estrema naturalezza un fucile alto quanto lei.

E' quanto può accadere di vedere in quello che viene considerato il Paese più militarizzato al mondo. Con oltre un milione di uomini in servizio e più di 4milioni di riserva, la Corea del Nord detiene il primato per rapporto tra personale militare e popolazione: secondo stime del dipartimento di stato statunitense, su mille cittadini 40 servono nell'esercito e circa il 20% degli uomini in età compresa tra i 17 e i 54 anni milita nelle forze armate regolari. Numerose anche le donne in divisa nonostante, spesso, pecchino in marzialità cedendo alla leziosità del tacco.

Sebbene dalla fine della guerra di Corea (1953) i combattimenti tra Pyongyang e Seul siano cessati, formalmente i due Paesi sono ancora in guerra. Un piccolo passo avanti è stato fatto nel 2000 con la "Dichiarazione congiunta Nord-Sud," in base alla quale i due governi si sono impegnati nel raggiungimento della riunificazione, reiterando in più occasioni il principio di non-aggressione reciproca. Poi, il 24 maggio 2010, un controverso "incidente" ha fatto schizzare la colonnina di mercurio delle relazioni bilaterali: una corvetta appartenente alla flotta del sud è stata affondata in acque contese, da tempo teatro di mutue provocazioni. E a poco o a niente sono serviti i tentativi messi in atto dal Nord per smarcarsi dalle accuse.

A distanza di circa un ventennio gli strascichi della Guerra Fredda continuano a lasciare il segno, con gli Stati Uniti al fianco di Seul (37 mila i soldati americani a sud del 38°parallelo nel 2006, oggi scesi a 28 mila) e l'Unione Sovietica rimpiazzata dalla Cina come spalla amica di Pyongyang. Un'alleanza ambigua, quella con il Dragone -fattasi ancora più turbolenta in seguito agli ultimi colpi di testa del governo nordcoreano (leggi: voci su un terzo test nucleare e lancio del missile sopra citato)- della quale non è stata fatta parola durante tutto l'arco del viaggio. Nemmeno in occasione dell'estenuante visita al Museo della liberazione della Madrepatria, che tra pareti tappezzate di ritagli di giornale e foto d'epoca, propone una sala interamente dedicata alle armi catturate degli aggressori imperialisti americani, oltre alla proiezione di un sonnolento documentario sulla guerra di Corea. Un documentario così "dettagliato" da aver tralasciato il fondamentale contributo cinese esplicatosi -sin dal 18 ottobre 1950- nell'invio di oltre 180mila soldati del XIII Gruppo d'Armata e 120mila "volontari" grazie ai quali le truppe dell'ONU furono ricacciate a sud del 38° parallelo. E tra i molti "non detti" compare anche la questione del nucleare, abilmente aggirata in più occasioni o lasciata morire tra imbarazzanti silenzi.

Alcune settimane fa un comunicato rilasciato dal sito governativo Naenara era stato accolto con gelo palpabile da gran parte della diplomazia estera. "Kim Jong-Il, Presidente della Commissione di Difesa Nazionale, ha trasformato la nostra patria in uno stato invincibile per ideologia politica, uno stato dotato di armi nucleari e una potenza militare indomabile" è quanto si legge nel testo della Costituzione così come rivisto lo scorso 13 aprile da Kim Jong-Un, erede del "Caro leader" e attuale Comandante Supremo dell'Esercito Popolare di Corea.
Essere il capo di stato più giovane al mondo non gli ha impedito di dar fuoco alle polveri, dichiarando per la prima volta nero su bianco che la Corea del Nord è una "potenza nucleare" (termine assente nella precedente carta costituzionale). La risposta di Seul e Washington non si è fatta attendere. I due governi alleati si apprestano ad avviare le più imponenti esercitazioni militari congiunte dalla fine della Guerra di Corea per ricordare il 62esimo dall'inizio del conflitto e, ovviamente, farsi trovare preparati in caso di un nuovo attacco nordcoreano.

La visita del museo, guidata da una gentile ma impassibile soldatessa, è stata scandita con precisione svizzera dalla parola "enemies", termine non troppo political correct utilizzato dalla signorina per riferirsi al popolo americano, di cui, tra l'altro, il nostro gruppo vantava ben quattro esemplari. E non è stato più cortese Lee, la nostra guida, quando chiamato ad esprimersi sui vicini sudcoreani si è limitato a definirli stizzito "rubbish" (spazzatura).
Pensare che nella Zona demilitarizzata (ZDC) , i soldati del Nord e del Sud se ne stanno sull'attenti lungo la linea di demarcazione militare (MDL), a pochi centimetri uno dall'altro, davanti agli obiettivi impazziti dei turisti finalmente liberi di sfoderare le loro macchine fotografiche per immortalare un pezzo raro della storia del '900.
Panmunjon, il villaggio dove venne firmato il documento che mise fine al conflitto, è oggi riconoscibile per i bassi caseggiati blu sbiadito dell’Area di sicurezza congiunta. Una fila di microfoni, posti su un tavolo al centro della sala conferenze, rimarca la linea di confine tra le due Coree.
Almeno su un punto, i due nemici di vecchia data sembrano essersi trovati d'accordo: lucrare su i quella lingua di terra che taglia in due la penisola coreana all'altezza del 38° parallelo, rendendola un'invitante meta per stranieri nostalgici e appassionati di storia. E sembrano esserci riusciti benissimo: alcune stime parlano di oltre 100mila visitatori ogni anno.


In Nord Corea la storia comincia dal XX secolo
Tre check-point separano la capitale dalla ZDC. Lungo la strada un occhio attento puo’ facilmente individuare divise mimetizzate tra la bassa vegetazione e i pendii rocciosi. “Be carefull” e’ stata forse l’espressione piu’ adoperata da Lee per dissuderci durante tutto il traggitto dal fare uso improprio delle nostre digitali.

Poco lontano dalla zona demilitarizzata, la citta’ di Kaesong, area economica speciale e polo industriale noto per ospitare alcune fabbriche sudcoreane, propone alcune tra le poche vestigia precedenti agli anni ’50 che la Corea del Nord può offrire. Un tempo capitale del regno di Koryo, oggi conserva alcune ceramiche sbeccate e armi rugginose esposte con scarsa cura nelle teche del Museo della citta’, ricavato tra le mura dell'ex Accademia confuciana.
E dopo le grigie colate di cemento di Pyongyang, la struttura lignea dell’antica scuola incorniciata da frondosi alberi secolari, riposa la vista e ossigena i polmoni. Peccato solo che a pochi metri lo squallore decadente dell’attuale agglomerato urbano attenda il turista per ritrascinarlo violentemente alla realta’.
Deserti viali polverosi, costeggiati da canali di scolo ed edifici squadrati, tornano a fare da sfondo al tour di quella che viene considerata la citta’ piu’ meridionale del Nord Corea. Doveva essere un salto indietro nel tempo, ma si è rivelato niente più che un pit-stop per mangiare un boccone in uno dei due ristoranti per stranieri che offre Kaesong.

Quanto sia rimasto della tradizione coreana -a parte il ginseng e i vestiti vistosi delle accompagnatrici locali- è difficile da stabilire. Né qualcuna delle nostre guide ha mai dimostrato grande voglia di scavalcare le ultime pagine dolenti della storia nazionale, finendo per arenarsi nel "secolo dell'umiliazione."
Cosa ne e’ stato di quella terra che per secoli ha fatto da ponte tra Sol Levante e Celeste Impero?

Persino i fondamenti ideologici sui quali si fonda il socialismo coreano risultano tratteggiati solo sommariamente, mentre viene costantemente agitato il fantasma dell'imperialismo americano; non solo una minaccia, ma anche vero collante ideologico in grado di tenere unito il popolo sotto l'egidia della dittatura dei Kim.

Nulla di simile ad un annullamento della cultura tradizionale sulla falsariga della Rivoluzione Culturale di Mao Zedong, ma l'impressione è quella di un Paese che, alimentato dall'odio verso l'esterno, rischia di perdere la propria identità rincorrendo un unico sogno: la riunificazione.
Qualora dovesse terminare veramente il conflitto con la Corea del Sud, parte del sostrato teorico sul quale si regge la società nordcoreana potrebbe franare. La dottrina del juche, nata ai tempi della guerriglia giapponese, e la politica songun pongono entrambe l'accento sulla sovranità dell'esercito, traendo giustificazione da una precisa condizione: quella di un Paese oppresso. Ed e’ dalla volonta’ di reagire alle forze imperialiste controrivoluzionarie che nasce il socialismo coreano, imperniato sulla corsa agli armamenti al fine di assicurare alle masse -vere artefici dello sviluppo della Nazione-  l’indipendenza dalle Superpotenze. Qualora venisse meno la minaccia esterna, l'esistenza stessa di un apparato militare -il cui mantenimento rappresenta uno dei capitoli più onerosi del bilancio economico nazionale- rischierebbe di sgretolarsi come un castello di sabbia.

 "Democrazia con caratteristiche coreane"
Imponente e massiccia, la Biblioteca nazionale di Pyongyang troneggia su piazza Kim Il-Sung, il fulcro della capitale. Uno dei fiori all'occhiello del quale il regime nordcoreano si fa bello agli occhi sospettosi degli occidentali. Ed è talmente importante da aver indotto il governo a piazzarci una guida in grado di articolare un discorso in inglese e rispondere diplomaticamente alle domande indiscrete dei turisti. Una tappa obbligata.

Cosa leggono i nordcoreani relegati nella loro dimensione ermeticamente chiusa a qualsiasi informazione proveniente dall'esterno? In realtà di tutto. Come ci mostra soddisfatto l'impiegato della biblioteca, postazioni informatiche al piano terra permettono a chiunque di effettuare una ricerca negli archivi. Compaiono titoli dei classici della letteratura europea oltre, ovviamente, ai testi sacri dei Kim, le cui effigi sono una costante sulle pareti di ogni edificio pubblico.
Tomi in coreano, ma anche in inglese e italiano. Quello che stai cercando non c'è? Nessun problema. E' possibile ordinare dall'estero libri in qualsiasi lingua, spiega compiaciuta la guida.

Ma il pezzo forte della vetusta biblioteca, tra un intrico di corridoi polverosi e mobili intarlati, sono senza dubbio le aule informatiche, dove studenti incurvati davanti ai loro schermi ultrapiatti alzano a malapena il capo all'ingresso dei visitatori stranieri. Solo qualche occhiata di sottecchi e di nuovo sguardo chino.
La domanda mi ronzava per la testa già da un po'. Con internet come la mettiamo? I computer ci sono, ma "la rete web è accessibile?" "Certo!" esclama stupita la guida. La risposta non mi convince e riformulo la domanda: "Nel senso che possono connettersi dai computer della biblioteca?" "Esattamente. Ma solo a livello nazionale" (letteralmente: guonei, mi disse in cinese). In altre parole non è permesso navigare con motori di ricerca stranieri. E Google?
"Google?!" L'espressione fu sufficientemente eloquente per indurmi a capire che l'ultima cortina di ferro è off-limit persino per il colosso di Mountain View, da quelle parti per i più un illustre sconosciuto.
Ci riprovo. "Ma avete i computer anche a casa? Potete navigare sul web anche da casa?" Quasi indispettita per la mia ottusità recalcitrante ribattè offesa: "Ma certo! Solo guonei però."

La risposta non richiedeva altre spiegazioni. Mi girai di nuovo verso la sala dove una cinquantina di persone se ne stavano incollate davanti ai loro schermi. Il ticchettio ritmico dei tasti nel caldo opprimente di una stanza senza finestre. Solo un leggero brusio spezzava un silenzio quasi tombale. Una scena che si ripetette pochi metri più in là, all'interno del laboratorio linguistico dove non più di sette studenti, chiusi nelle loro cuffie, ostentavano una concentrazione decisamente poco credibile.
E che fosse reale o no, sicuramente durò ben poco, rotta come fu dalla musica gracchiante di uno stereo vintage. Incredibile a dirsi, a darci il benvenuto nelle note di American Pie era proprio lei, Madonna, la regina del pop a stelle e strisce. Niente meno che una degli "enemies".

Una miriade di contraddizioni avviluppano un Paese nel quale, dal 2005, spinte di apertura e chiusura si alternano in maniera ondivaga. Una possibilità in più di sbirciare al di là della barricata imposta dal regime viene concessa a chi riesce ad iscriversi alla facoltà di lingue straniere (l'assegnazione del corso di studi spetta al governo, il quale si basa su una serie di preferenze indicate dagli studenti stessi). Operare nel turismo da la possibilità di avere contatti con gli stranieri senza poter tuttavia andare all'estero. Le nostre guide sanno inglese e cinese, lo parlano fluentemente, lo hanno imparato da insegnanti madrelingua, ma non sono mai riuscite a varcare il confine nordcoreano.

"Mio padre è un diplomatico. Nella sua vita è stato in 60 Paesi diversi; anche in Italia" racconta Lee, spiegando come lo abbia potuto seguire solo in Cina perché -dice- "non ci sono i soldi necessari".  Ma lui che ama fare bisboccia la sera e circondarsi di occidentali, non è che una delle poche fortunate mosche bianche in uno sciame di addomesticate mosche nere.

Pyongyang e le ombre della Pechino maoista

Corpi chini sotto il peso di enorme sacchi di tela, donne a piccoli passi camminano lungo i viali spogli della capitale. Si muovono in branchi gli abitanti di Pyongyang, sguardo basso e poche parole, mentre alcuni, accucciati alla fermata del tram, attendono il passaggio delle ferraglie sfornate dalla compagnia ceca Tatra durante l'era socialista; una minoranza nel via vai di biciclette che si riversano nelle strade della capitale. A Pyongyang problema di traffico non ce n'è.
"E' pulita e c'è poca gente" -commenta compiaciuto Wang, cinese 70enne di Xi'an- "mi ricorda molto la Pechino post Mao, subito prima dell'inizio delle riforme." Ma c'è anche chi vi rivede la Cina nel pieno della Rivoluzione Culturale, con la sua ridondante propaganda disseminata in ogni dove. Il sorriso plastificato dei leader defunti, cartelloni dai colori sgargianti ripropongono l'onnipresente binomio popolo-esercito. E' l'apologetica del Partito per immagini, quella stessa che si manifesta in suono nelle canzoni patriottiche trasmesse alla tv e nelle principali piazze della capitale.
Al centro della città una fabbrica sputa spirali di fumo verso il cielo, rievocando paesaggi di orwelliana memoria e tutto sembra sfumare in una nebbiolina di condensa. Tutto sembra sfumare anche quando brilla il sole.


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