domenica 29 luglio 2012
Shopping proibito ad Hong Kong
Pechino censura e Hong Kong ci guadagna. Non solo beni di lusso: ad attirare i cittadini della mainland nell'ex colonia britannica è anche la carta stampata, quella che scotta e che in patria non potranno acquistare mai.
In Cina il governo pone severi controlli sui mass media, calando spesso la mannaia della censura su saggi politici e questioni controverse della storia nazionale. Così, pur di mettere le mani sul frutto proibito, i cinesi hanno trovato un modo per smarcarsi dai divieti: andare a fare shopping nella regione amministrativa speciale, dove, nonostante le recenti critiche abbattutesi su importanti testate locali, la libertà di stampa continua ad essere una realtà. Almeno stando a quanto stabilito dalla Basic Law di Hong Kong.
Gli imprenditori del "Porto Profumato" ringraziano e battono cassa.
Per gli amanti dei libri proibiti non c'è che un posto in cui andare: People's Commune, situata a Causeway Bay, il quartiere commerciale dell'isola, offre una scelta vastissima di testi. Dalla repressione di Piazza Tian'anmen all'ultimo maxi-scandalo che vede coinvolto l'ex leader di Chongqing Bo Xilai e famiglia; le storie più dibattute degli ultimi tempi riempiono gli scaffali del noto bookstoor hongkonghese.
Gli affari vanno a gonfie vele: il suo proprietario, Deng Zi Qiang, dice di aver riscontrato un flusso in crescita di clienti provenienti dalla terraferma da quando, nel 2003, People's Commune ha aperto i battenti. Nello stesso anno Hong Kong cominciava ad accogliere un numero maggiore di viaggiatori cinesi indipendenti, grazie ad alcune agevolazioni stabilite da Pechino. Secondo i dati rilasciati dall'Hong Kong Tourism Board, i visitatori in arrivo dalla Cina continentale sono schizzati dai 13,6 milioni del 2006 ai 28,1 milioni del 2011, così che oggi "il 95% dei miei clienti è cinese" ha raccontato Deng alla CNN, sottolineando come ogni mese riesca a vendere tra i 300 e i 400 libri. Ma non sempre la missione va a buon fine al primo colpo: alcuni temerari sono dovuti tornare più volte in dietro dopo essersi visti confiscare i testi alla dogana.
Per soddisfare al meglio le curiosità dei cugini della mainland, People's Commune prende gli ordini e pubblica informazioni riguardo ai nuovi arrivi direttamente su Weibo, il Twitter cinese.
Identikit dell'acquirente tipo: studioso o uomo d'affari tra i 30 e i 40 anni, proveniente dalle grandi metropoli quali Pechino, Shanghai e Canton. Ma non solo. E' capitato di veder arrivare persino funzionari governativi, ha affermato Deng: "Quando entrano mi mostrano il loro tesserino".
La febbre crescente per i libri proibiti è da attribuirsi al desiderio dei cinesi di sentirsi partecipi della vita politica del proprio paese piuttosto che semplici osservatori, ha spiegato Zhou Baosong docente di politica presso la Chinese University di Hong Kong. E questo spiegherebbe anche perché la libreria non riscuote lo stesso successo tra i nativi dell'isola.
La sete di conoscenza dei cinesi non avrebbe, dunque, implicazioni sovversive. "Il fatto che stia leggendo questi libri non vuol dire che sia anti-Partito" ha affermato un cliente giunto da Pechino "infatti, se le persone ottenessero maggior accesso al processo decisionale avrebbero modo di dare suggerimenti e contribuire con la loro saggezza. Finché tutto ciò non nuoce al benessere del popolo, non vedo perché il paese dovrebbe vietare la diffusione dell'informazione. Dopo tutto vogliamo che il nostro paese e le nostre vite diventino migliori".
Negli ultimi anni, a ridosso dell'anniversario della strage dell'89, la New Century Press di Hong Kong ha dato alla luce una serie di opere dal peso specifico considerevole e rigorosamente vietate nella Cina continentale. Ultima in ordine di tempo "Conversazioni con Chen Xitong", libro intervista nel quale Chen, al tempo della rivolta studentesca sindaco di Pechino e ritenuto tra i promotori della repressione violenta del movimento, riscrive i tragici eventi definendoli "una tragedia che poteva essere evitata". Epurato nel 1995 e condannato a 16 anni di carcere per reati economici (nel 2006 rilasciato a causa di motivi di salute), l'ex boss di Pechino ha puntato il dito contro l'ex presidente Jiang Zemin, definendosi una vittima degli intrighi di palazzo attraverso i quali quest'ultimo avrebbe spianato la propria ascesa alle più alte cariche del Partito.
Nel 2009 la casa editrice hongkonghese aveva dato alle stampe Prisoner of the State, trascrizione delle memorie di Zhao Ziyang, il segretario riformista del Pcc silurato e messo ai domiciliari a vita per aver aperto il dialogo con gli studenti "ribelli". Più che sugli eventi del 1989, il libro di Zhao ridimensiona il ruolo ricoperto da Deng Xiaoping nelle riforme che hanno aperto la Cina all'esterno, innescandone l'iperbolica crescita economica dell'ultimo ventennio.
Non è andata altrettanto bene ai diari dell'ex Primo Ministro Li Peng -annoverato come uno dei responsabili della strage dell'89- la cui uscita è stata bloccata in extremis nel giugno 2010, ufficialmente, per una violazione di copyright. Ultimata nel 2004, l'opera del "macellaio di Tian'anmen", ritenuta una minaccia per la legittimità del Partito, aveva già incontrato il semaforo rosso delle autorità, riuscendo solo in seguito ad arrivare con difficoltà nelle vetrine delle librerie americane.
Proprio alcuni mesi fa la Century Press ha pubblicato la biografia di Liu Xiaobo, attivista e Premio Nobel condannato nel 2009 a 11 anni di prigione. L'autore, Yu Jie, famoso saggista e amico di Liu con più di trenta opere a suo nome, nel 2010 ha cementato la propria posizione di critico politico di spicco con il libro "Wen Jiabao, il migliore attore della Cina"; una condanna senza appello nei confronti dell'attuale Premier, da più descritto come la "faccia buona" del Partito e incline a versare lacrime di coccodrillo. Dopo le ripetute minacce di Pechino, nel gennaio scorso Yu è fuggito negli Stati Uniti con la famiglia.
Attivisti, politici scomodi, pagine della storia strappate; i più bersagliati dalla censura cinese trovano rifugio tra le braccia dell'ex protettorato britannico, dove a tenere salda la barra della rinomata casa editrice è Bao Pu, figlio di quel Bao Tong considerato braccio destro di Zhao Ziyang e oggi dissidente agli arresti domiciliari. All'indomani del massacro del 1989, Bao senior fu condannato a sette anni di prigione, oltre che alla privazione dei diritti politici per due anni, con l'accusa di aver "rivelato segreti di stato e di propaganda controrivoluzionaria".
Dal 18 al 24 luglio, come tradizione, il "Porto Profumato" ha ospitato l'Hong Kong Book Fairy, quest'anno giunta alla sua 23esima edizione. Sebbene da sempre considerata il centro del mercato editoriale in lingua cinese, la fiera del libro hongkonghese negli ultimi anni ha assunto un ruolo di primo piano anche per quanto riguarda le pubblicazioni straniere. Eppure, non serve dirlo, ad attrarre la maggior parte dei visitatori -950 mila i partecipanti nel 2011- continuano ad essere proprio loro: i libri proibiti.
(Pubblicato su Dazebao)
mercoledì 25 luglio 2012
Il Rinascimento italiano secondo il Dragone
I grandi del Rinascimento italiano, sino ad aprile, 2013 a Pechino. Lo scorso 6 luglio l’apertura della mostra “Rinascimento a Firenze. Capolavori e protagonisti” ha inaugurato lo “Spazio Italia”, prima area interamente dedicata ad un paese straniero in un museo cinese. E non uno qualunque. Nella cornice di piazza Tian’anmen, per ospitare le opere dei maestri fiorentini e’ stato scelto niente meno che il Museo Nazionale di Cina, il piu’ grande e piu’ visitato complesso museale al mondo, riaperto nel marzo 2011 dopo un laborioso restyiling durato quattro anni.
Il progetto, nato da accordi tra i rispettivi ministeri della Cultura e costato un milione e mezzo di euro, assicurera’ all’arte nostrana un soggiorno pechinese di minimo cinque anni, mentre il Dragone potra’ a sua volta usufruire di uno spazio permanente presso il museo di Palazzo Venezia, nella Citta’ Eterna. Con 67 opere, prese in prestito da 30 musei italiani, l’esposizione si propone come una vetrina di grandi nomi: Leonardo da Vinci, Raffaello e Michelangelo, per citarne alcuni, esporteranno la cultura del Bel Paese promuovendo quei legami virtuosi tra le due Nazioni, divenuti piu’ stretti in seguito alla visita ufficiale del premier Wen Jiabao a Roma, nell’ottobre 2010.
A due settimane dal taglio del nastro, le stime dei Beni e le attivita’ Culturali parlano di una media di 1.600 visitatori al giorno, e attese di due ore per poter ammirare quella che il ministro Lorenzo Ornaghi ha definito “la mostra piu’ importante che l’Italia abbia mai inviato all’estero”. Ma numeri a parte quanto effettivamente l’arte “made in Italy” riesce ad esercitare il proprio appeal su un popolo avvezzo a ben altri canoni estetici?
Lo scorso 9 luglio un episodio imbarazzante aveva messo in evidenza le incomprensioni culturali che possono scaturire dall’incontro tra Occidente e Oriente: gli attributi maschili di capolavori quali il David-Apollo e la Vittoria di Michelangelo non hanno passato il vaglio della China Central Television, che le ha accuratamente oscurate durante uno speciale sulla mostra. Una misura volta ad “evitare che le immagini potessero avere un impatto negativo sulle emozioni dello spettatore”, ha spiegato il regista del documentario all’Oriental Guardian.
In un Paese in cui allusioni sessuali e nudita’ sono tabu’ tanto sul piccolo che sul grande schermo, l’opinione pubblica si e’ divisa tra chi sul web ha espresso solidarieta’ verso le autorita’ e chi si è scagliato contro una censura oltremodo severa.
Se nei primi due giorni la mostra ha totalizzato 5000 visitatori – come dichiarato da Mario Resca, ex Direttore generale per la Valorizzazione del patrimonio del Ministero per i Beni culturali- oggi grandi file non se ne vedono, nonostante gli orari proibitivi permettano l'acquisto del biglietto esclusivamente entro le 15.30 (ultimo ingresso ore 16.00).
I più suscettibili al fascino del Rinascimento italiano sembrano essere i giovani nella fascia d'età compresa tra i 18 e i 30 anni. Molti studenti, di cui la maggior parte residente a Pechino e alcune famiglie in viaggio provenienti dalle province vicine. Solo due su gli otto interpellati dicono di essere venuti al National Museum appositamente per vedere la mostra italiana.
Cosa ne pensano i cinesi dell'arte fiorentina?
Incuriositi, un po' confusi, temporeggiano davanti a uno stemma Mediceo in legno policromo e lanciano uno sguardo di sfuggita all'Autoritratto (1506) di Raffaello.
Più di uno dei visitatori ha detto di aver apprezzato “abbastanza” l'esposizione, ma di non essere riuscito a seguire il nesso cronologico tra le opere esposte e le relazioni tra i vari artisti. E diciamocelo, le didascalie stringate “autore- nome dell'opera-data” certo non aiutano.
Difficoltà anche nella lettura dell'iconografia religiosa,con summit di quattro persone per cercare di decifrare Vita dei Santi padri (1447-1454) di Paolo Uccello. I più fortunati dicono di aver studiato qualcosa dell'arte italiana tra i banchi di scuola, ma troppo poco per poter apprezzare a pieno i capolavori esposti. Rarissimi intenditori prendono appunti su un quadernino, altri hanno varcato la soglia di “Spazio Italia” attratti semplicemente dal fascino “esotico: “è qualcosa di diverso dalla nostra arte, è comunque interessante” ha affermato uno dei visitatori. Poi incantato davanti a tre ritratti di Agnolo Bronzino esclama: “hanno tutti gli occhi uguali!”.
Mentre una security rigidissima cerca di mantenere l'ordine, nell'era degli smartphone e dei cellulari ultrapiatti, il “no photo” viene facilmente aggirato da chi, pur di catturare le morbide fattezze della Venere di Botticelli, si fa beffe dei divieti. Quando, però, davanti alla Scapiliata di Leonardo da Vinci gli occhi sono, invece, tutti puntati al soffitto, calamitati dagli schermi luminosi che proiettano scorci di Firenze, è inevitabile porsi qualche domanda. A proposito di domande...”ma poi di quella storia della foglia di fico elettronica posta dalla CCTV sulle varie nudità se ne è più parlato?Avevano detto che l’avrebbero rimossa...”
Silenzio e sguardi vuoti: nei paraggi nessuno ne sa niente.
lunedì 23 luglio 2012
Nubifragio a Pechino, scoppia la rabbia sul web
4 ago.- Il bilancio delle vittime dell'alluvione sale a 78 morti.
Ammontano ad almeno 37 le vittime delle forti piogge che sabato si sono abbattute su Pechino, le più violente degli ultimi 60 anni. Acqua alta oltre 20 cm nelle strade del centro, 31 le infrastrutture crollate e perdite economiche per oltre 10 miliardi di yuan (più di un miliardo di euro) sono i numeri riportati dall'agenzia di stampa statale Xinhua.
Nel computo delle vittime -reso noto nella giornata di domenica dal governo della municipalità di Pechino sul Twitter cinese Weibo- rientrerebbero 25 persone annegate, sei rimaste uccise durante il cedimento di alcune costruzioni, cinque folgorate a causa del crollo di linee elettriche e una colpita da un fulmine. Ancora sette i dispersi.
La pioggia cominciata intorno all'una del pomeriggio è proseguita incessantemente sino a notte inoltrata, trasformando le strade in veri e propri torrenti, con conseguente paralisi del traffico sopratutto in corrispondenza degli incroci principali.
Caos anche nei cieli: la cancellazione di oltre 500 voli in partenza da Pechino ha bloccato in aeroporto circa 8000 passeggeri, come dichiarato dai media governativi.
Tra le aeree più colpite quella di Fangshan, quartiere periferico della capitale, dove il livello dell'acqua ha superato i 45 cm d'altezza. Tra i 70 mila residenti trasferiti a causa dell'alluvione oltre 20 mila provenivano proprio da Fangshan. Secondo il Global Times, megafono del Partito comunista cinese, le colate di fango avrebbero fatto una sola vittima nella zona, mentre le inondazioni hanno lasciato diverse persone senza casa, corrente elettrica e acqua pulita. Tuttavia, fatta eccezione per la superstrada Jingshi, la situazione sarebbe meno grave del previsto: molti danni ma poche vittime, raccontano i locali.
Mentre sabato le piogge torrenziali ancora straziavano la capitale cinese, dal web cominciava già a soffiare vento di tempesta. Immagini di una Pechino allagata sono rimbalzate sui principali social media, accompagnate da commenti sarcastici. Come può una città, che al tempo delle Olimpiadi del 2008 ha speso miliardi in costruzioni avveniristiche, avere tante difficoltà nel far fronte ad un temporale? si continuano a chiedere gli internauti cinesi.
La stoccata è arrivata intorno alla mezzanotte di sabato con la pubblicazione di una serie di scatti ritraenti i sistemi fognari di altre grandi capitali, tra i quali l'Underground Temple, il gigantesco sistema di prevenzione contro le inondazioni di cui dispone Tokyo.
"L'aspetto splendente di Pechino non può sopportare l'erosione causata da un temporale" -ha scritto un utente sul suo microblog- "In poche ore la città è stata riportata indietro ai vecchi tempi. Il governo municipale non ha mai smesso di ricostruirla eppure non è in grado di gestirla quando trabocca d'acqua".
Persino il Global Times ha ammesso che le piogge di sabato "hanno messo in evidenza le falle ancora presenti nel processo di modernizzazione della Cina", definendo la scarsa capacità organizzativa della città "imperdonabile"; tanto più se si tiene presente che il sistema di drenaggio e la capacità di risposta alle emergenze della capitale erano già finite sotto la lente d'ingrandimento in occasione del diluvio del 23 giugno 2011. E sul banco degli imputati fa nuovamente la sua comparsa la Beijing Drainage Group, società responsabile della manutenzione del sistema di drenaggio della città, accusata già lo scorso anno di cattiva gestione.
Intanto l'eco delle polemiche sembrerebbe aver raggiunto i piani alti: domenica il ministero delle Finanze ha annunciato che l'amministrazione centrale stanzierà 120 milioni di yuan (15,5 milioni di euro circa) per venire in aiuto delle aree colpite dalle inondazioni; Pechino, la città costiera di Tianjin e la provincia settentrionale dello Hebei beneficeranno dei nuovi sussidi governativi.
Leggi anche: Beijing Floods Stories cut from Southern Weekend
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mercoledì 18 luglio 2012
Aspettando il ricambio al vertice, nuove strette sugli organi di stampa
Sara’ l’atmosfera tesa che accompagna il conto alla rovescia verso il 18esimo Congresso del Partito, sta di fatto che la censura cinese si fa di giorno in giorno piu’ severa.
Martedi’ Lu Yan e Sun Jian, due alti dirigenti dell’Oriental Morning Post, uno dei quotidiani piu’ rinomati di Shanghai, sono stati rispettivamente rimosso e sospeso dal proprio incarico, come riportato dal South China Morning Post in data 18 luglio.
Lu Yan impugnera’ le redini di un’altra divisione del Wenxin United Press Group a cui fa capo la testata di Shanghai, mentre il chief editor, Sun Jian, e’ stato definitivamente sollevato dall'incarico.
La notizia, fatta trapelare da alcune fonti anonime interne al giornale, ha gettato ulteriore benzina sul fuoco divampato lunedì scorso in seguito alla rimozione del caporedattore del New Express, Lu Fumin, spedito a dirigere la pagina politica dello Yangcheng Evening News, testata sorella del quotidiano del Guangdong. Privato della sezione dedicata agli editoriali, il New Express, che oggi presenta solo due pagine di cronaca nazionale e internazionale, sfoggia una copertura fin troppo dettagliata per quanto riguarda le notizie locali.
Ad attirare l’attenzione della cesoia governativa sul giornale di Canton sarebbe stata la pubblicazione di un report -gia’ apparso in data 10 luglio sul Jinan Daily, megafono del Partito dello Shandong- sulle vite di cinque membri del Politburo, il cuore della macchina politica cinese. Riproposto anche sul sito web del People’s Daily e su China News Service, l'articolo non sembra aver creato problemi alla testata dello Shandong, che, almeno fino a ieri, conservava il pezzo incriminante nel suo archivio online.
Strano? Non troppo se si considera che i media del Guangdong sono i piu’ influenti della Cina continentale. “L’intero Paese ascolta quello che dicono” -ha spiegato Hu Xingdou, docente presso il Beijing Insitute Technology- “Questa e’ probabilmente la ragione per la quale il News Express e’ stato censurato, mentre l’autore del Jinan Daily e’ scampato al bavaglio.”
La stretta sulla stampa del Guangdong segna un’inversione di tendenza nella politica adottata dalle autorita’ in quella che viene considerata una delle province piu’ liberali della Cina. Si dice che Wang Yang, il capo del Partito locale noto per il suo riformismo e balzato agli onori della cronaca per aver risolto brillantemente le proteste di Wukan, stia cercando di calmare le acque in vista del prossimo Congresso che segnera’ il passaggio del testimone ai leader della quinta generazione. Proprio Wang, infatti, compare tra i candidati piu’ favoriti in corsa per un seggio al Comitato permanete del Politburo, la stanza dei bottoni del Regno di Mezzo.
“Negli ultimi tempi diverse rivolte sociali hanno scosso il Guangdong, richiamando l’attenzione di Pechino. E’ possibile che Wang Yang abbia deciso di stringere il controllo sui media per scongiurare altri problemi nei mesi a venire” -ha dichiarato al South China Morning Post Zhu Jianguo, commentatore indipendente con base a Shenzhen- “proprio a maggio il governo provinciale ha fatto venire dalla capitale un nuovo capo della propaganda, il quale ha gia’ suscitato disgusto tra i giornalisti locali a causa del suo pugno di ferro”.
La purga somministrata alle penne piu’ pungenti del New Express suona come un monito rivolto a tutti gli organi di stampa della regione meridionale della Cina. Dopo l’imbavagliamento del Southern Metropolis News e del Southern Weekly, il giornale di Lu Fumin era rimasto l’unico a conservare un taglio piu’ investigativo.
Sempre motivazioni di natura politica, si vocifera, abbiano spinto il segretario di Shanghai, Yu Zhengsheng – anche lui in lizza per una delle poltrone che contano- a fare pulizia nello staff dell’Oriental Morning Post. “Yu era molto critico nei confronti delle storie pubblicate negli ultimi tempi, cosi’ il giornale e’ dovuto intervenite in qualche modo”, ha affermato un veterano del settore. Fonti interne al quotidiano hanno raccontato di pressione esercitate dal dipartimento della propaganda sugli organi di stampa locali. Ragione per la quale le tendenze radicali di Lu Yan, autore di un articolo sull’economista liberale Mao Yushi, devono essere apparse alla dirigenza del giornale troppo compromettenti.
Quanto all'altro fresco di epurazione, Sun Jian, sarebbe “colpevole” di aver pubblicato sul suo microblog la copertina di “Conversation with Chen Xitong”, libro controverso di recente uscita (non nella mainland!) sull’ex capo del Partito di Pechino caduto in disgrazia. Un'opera particolarmente illuminante circa il ruolo da quest'ultimo svolto nella repressione di piazza Tian’anmen, argomento ritenuto ancora tabù oltre Muraglia.
Mentre nella redazione dell’Oriental Morning Post è bocca cucita, alcuni addetti ai lavori hanno rivelato come di questi tempi, alla vigilia del ricambio ai vertici, la “stabilità ad ogni costo” sia una priorità assoluta per le autorità. E non importa se questo significhi dover sacrificare la trasparenza del proprio operato: i media non possono fare altro che chinare il capo e ubbidire.
Intanto i diretti interessati cercano di mettere a tacere le voci di corridoio. “Crescere insieme al New Express è stata una delle grandi gioie della mia vita, ma da oggi, a causa di alcune esigenze lavorative, tornerò a collaborare con la sezione politica e cultura del Yangcheng Evening News. Le mie radici sono al Yangcheng e proprio lo scorso anno avevo chiesto di potervi fare ritorno. Oggi finalmente il mio desiderio si avvera,” è quanto comunicava Lu Fulin sul Twitter cinese Weibo lunedì pomeriggio.
lunedì 16 luglio 2012
Wen: stringere i denti davanti alla crisi
Le difficoltà economiche della Cina potrebbero persistere ancora "per qualche tempo". Lo ha dichiarato domenica il primo ministro cinese Wen Jiabao durante una visita a Chengdu, provincia del Sichuan, sottolineando come il Paese si trovi ad affrontare sfide "gravi" e "complesse". Ha chiesto maggiori sforzi il premier del gigante asiatico, sebbene- abbia aggiunto- "il tasso di crescita economica sia ancora all'interno del range di riferimento stabilito dal governo all'inizio di quest'anno e le politiche di stabilizzazione stiano facendo il loro corso".
Vietato adagiarsi sugli allori però: "dobbiamo essere cauti e tenere presente che la ripresa economica non è ancora stabile. Le difficoltà potrebbero continuare ancora per un po'". Pechino -ha continuato Wen- darà priorità assoluta alla creazione di posti di lavoro e alla concessione di aiuti finanziari e sgravi fiscali per le imprese in affanno a causa del rallentamento delle esportazioni.
Il calo della domanda dall'estero, dovuto alla crisi del debito pubblico europeo e alla faticosa ripresa americana, hanno assestato un duro colpo alla seconda economia mondiale. Venerdì scorso, i dati rilasciati dall'Ufficio Nazionale di Statistica, relativi al periodo aprile-giugno, hanno messo in evidenza una crescita del PIL del 7,6%, in netta frenata rispetto +8,1% del precedente trimestre e inferiore al 7,7% pronosticato dagli economisti; la performance peggiore da quando tre anni fa il colpo di coda della crisi dei mutui subprime aveva colpito in pieno il Dragone.
Una boccata d'ossigeno è arrivata, invece, dai numeri sull'inflazione che, con un calo dei prezzi al consumo dal 3% del mese di maggio al 2,2% di giugno, si attesta al minimo dal gennaio 2010 e al di sotto del tetto massimo stabilito dalle autorità. Una buona notizia per i portafogli dei consumatori, ma, per alcuni, campanello d'allarme di un pericolo deflazione.
Gli ammonimenti di Wen e la promozione di una "politica fiscale proattiva" da parte delle autorità cinesi non fanno che aumentare i timori per un "hard landing". All'inizio di luglio il governo ha deciso di tagliare i tassi d'interesse per la seconda volta nell'arco di 30 giorni, al fine di immettere liquidità nel sistema in panne. Provvedimento, questo, che si è andato ad aggiungere alle sforbiciate sui requisiti di riserva obbligatoria; sei da novembre ad oggi.
Grava, però, sulle spalle del gigante asiatico un mercato immobiliare rovente, foraggiato negli ultimi anni da una forsennata corsa agli investimenti nel mattone e che Pechino sta tentando di tenere a freno attraverso una serie di misure di contenimento. Una delle ragioni principali per le quali il governo cinese ha in più occasioni detto no ad un nuovo pacchetto di stimoli economici; misura che nel 2008 permise al Dragone di arginare i danni della crisi globale, ma che, tutt'oggi, è all'origine dei prezzi esorbitanti del real estate.
Aumentare il sostegno all'economia nazionale senza incappare nella trappola del credito facile e schivare le zampate dell'inflazione: è questa una delle sfide più ardue che si trova ad affrontare il gigante asiatico alla vigilia del ricambio ai vertici previsto per il prossimo autunno.
E per gli esperti del settore la situazione è sufficientemente critica da poter costringere Pechino ad una manovra a sorpresa. Secondo il colosso bancario nipponico Nomura, il Consiglio di Stato cinese potrebbe introdurre nuove misure di sostegno entro il termine delle visite che Wen Jiabao e il vice premier Li Keqiang stanno conducendo nelle varie province del Paese.
giovedì 12 luglio 2012
Cercasi nuovo Yao Ming
I New York Knicks sono pronti a pareggiare la lucrosa offerta degli Houston Rockets: probabilmente, la prossima stagione Jeremy Shuhao Lin la “guardia incredibile” asioamericana -come lo ha definito Barack Obama- rimarrà nei New York Knicks per cercare di eguagliare quelle performance stellari che mesi fa lo portarono nel firmamento dei campioni dell'NBA.
I rapporti tra il cestista californiano e la societa' neworkese, pero', non sono piu' quelli idilliaci di un tempo. Lin, secondo quanto reso noto dal New York Daily News, si e' detto molto offeso della scarsa considerazione dimostrata dalla sua squadra, intervenuta solo dopo il tentativo dei Rockets di mettere le mani sul playmaker, proponendo un contratto quadriennale da 28.8 milioni di dollari che frutterebbe a Jeremy 10,2 milioni di dollari nelle prime due stagioni e 9,3 milioni all'anno nelle due stagioni successive.
I Rockets, che nel 2002 si erano gia' assicurati il ciclopico centrale cinese Yao Ming, puntano ad assicurarsi nuovamente una pedina fondamentale in grado di attirare l'interessa, e di conseguenza i soldi, dell'affiatato pubblico cinese. Volendo stimare il talento di Lin, si tenga presente che nell'arco di tempo tra febbraio e marzo -quando Jeremy era al top della forma- le vendite online del merchandising dei Knicks sono cresciute del 4000%, mentre il sito web della squadra ha registrato un +770% di accessi.
Nella scorsa stagione Lin ha tenuto una media di 14,6 punti a partita, 6,2 assist e 3,1 rimbalzi in 35 partite giocate, divenendo l'eroe della comunità asiatica americana. Lui che, dopo una gavetta da panchinaro ed essersi visto chiudere molte porte in faccia, è approdato nella franchigia newyorkese, scatenando un'euforia epidemica nel mondo della pallacanestro. “Linsanity” l'hanno chiamata.
Ma la favola del ragazzino californiano - “telaio made in Asia”, 91kili per 1,91 metri d'altezza; ben altra cosa rispetto agli standard americana o alle misure extralarge del playmaker cinese in pensione Yao Ming (2,29m X 140 kg)- era destinata ad interrompersi bruscamente. E' la dura legge dello sport:a spingere tutto insieme, si sa, ci si rompe. Ed è così che la stagione del fenomeno di Palo Alto si è conclusa ad aprile a causa di una frattura al menisco del ginocchio sinistro; un'operazione di routine per i giocatori di basket, ma una vera batosta per il giovane talento dei Knicks appena salito sulla cresta dell'onda e ora già ribattezzato “Linjury” (da “injury”, infortunio in inglese).
Attenzione: nonostante faccia Lin di cognome e abbia gli occhi mandorla, Jeremy non è proprio cinese cinese. Nato nel 1988 a Palo Alto, California, ha genitori originari di Taipei e nonni materni della provincia dello Zhejiang, nella Cina meridionale. Un variegato ketchup-salsa di soia che fa gola a molti, tanto che al massimo della forma fioccarono contratti con stazioni televisive cinesi per trasmettere più partite dei Knicks e “capitalizzare l'ascesa di Lin”. Facile attingere al vasto bacino di utenti d'oltre Muraglia alla disperata ricerca di un nuovo Yao Ming (va bene anche se sangue misto).
Nonostante la traiettoria in leggera discesa tracciata dalla nuova stella dell'NBA, il braccio di ferro tra Pechino e Taipei per aggiudicarsi i natali di Lin e mettere le mani sulla gallina dalle uova d'oro continua senza sosta.
Dopo una serie di fiammate tra i due cugini asiatici, a scoccare l'ultima freccia avvelenata è stato Chien Tai-lang, vice Ministro dell'Interno di Taiwan, il quale lo scorso giugno durante una riunione del Legislature's Internal Administration Committee ha messo tutti a tacere, chiamando in causa niente meno che l'articolo 2 del Nationality Act. E' la legge che lo stabilisce: a chiunque abbia almeno un parente con passaporto della Repubblica di Cina (ROC) viene automaticamente concessa la nazionalità taiwanese. E i genitori dell'enfant prodige sono americani con doppia cittadinanza taiwanese.
Il dibattito si era fatto di nuovo acceso circa un mese prima, quando in sede d'esame, gli alunni di una scuola media di Taichung si erano trovati a dover rispondere all'insidiosa domanda. La risposta esatta è “americano”: Jeremy è americano, stabilirono i docenti, attirandosi le critiche dei più nazionalisti. E servì l'intervento del sindaco della città, Jason Hu, a ribadere che Lin, pur essendo legalmente americano, se lo volesse, potrebbe anche ottenere la cittadinanza taiwanese.
Avere i nonni dello Zhejiang non è un requisito sufficiente a renderlo ufficialmente “l'orgoglio della Cina”, anche se i campetti di Pechino pullulano di magliette marcate “Linsanity”; quelle di Yao Ming sono state già riposte in fondo al cassetto. Il faccione del gigante cinese continua a farla da padrone sui cartelloni pubblicitari del Paese di Mezzo, ma nei cuori dei cinesi l'ex cestista deve già sgomitare per difendere il proprio posto.
Il 21 luglio 2011 Yao Ming lasciava per sempre i campi da gioco a causa delle frequenti fratture da stress ai piedi. Un addio che è stato celebrato dal Guanzhou Ribao con un editoriale dai toni quasi commossi: “nel mondo dello sport di Yao Ming ce ne sono pochi”, scriveva il quotidiano di Canton, elogiando la sue capacità di comprendere la propria epoca, cogliendo le occasioni più propizie.
Un eroe della patria, che per circa 10 anni ha condotto i vessilli del Dragone nel Nuovo Continente, esportando la faccia buona del Paese. A portare allo scoperto l'altro lato della medaglia, quello oscuro, fatto di intrighi e cospirazioni, ci ha pensato il giornalista del Newsweek, Brook Larmer, con “Operation Yao Ming”, libro dato alle stampe nel 2005 con l'intento non troppo velato di fare imbufalire Pechino. 352 pagine a metà tra la fantascienza e il delirio nelle quali Yao viene descritto come il frutto di un'unione voluta ardentemente dalla leadership cinese.
Due ex cestisti di altezza e tecnica ineguagliabili vengono costretti al matrimonio dal governo intento a forgiare una nuova generazione di atleti in grado di dare nuovo lustro al Paese. Il frutto di questo esperimento genetico è una forza della natura il cui destino è stato già scritto: a nove anni, raggiunta l'altezza di 1,65m e con 41 di piede, muove i primi passi sul parquet, seguendo le orme dei genitori. Da quel momento la sua vita sarebbe stata legata alla sfera arancione senza possibilità di scelta.
E qui finisce la finizione e inizia il miracolo, quello vero. Si, perchè questo “Frankenstein” della pallacanestro è riuscito dove altri avevano fallito, portando a compimento una mastodontica operazione commerciale su scala globale. D'altra parte, che cos'è lo sport per il gigante asiatico se non un'altra forma declinata del softpower, la strategia di marketing volta a rilanciare una nuova immagine del Dragone nel mondo? Pechino lo ha bene chiaro sin dal 1996, anno in cui cominciò a spedire i suoi portabandiera oltre oceano. All'inizio le cose non andavano tanto bene: Wang Zhizhi, pioniere della pallacanestro cinese nell'Nba, fu talmente inebriato dal “sogno americano” da non voler più fare ritorno in patria. E ci volle la capacità persuasiva di alcuni amici in uniforme per convincere il figliol prodigo a ripercorrere la strada verso casa.
Ora la nazionale cinese, priva di veri grandi campioni e per la prima volta dal 2000 senza Yao Ming, si accinge ad affronta le Olimpiadi di Londra con un roster composto in gran parte da nomi blasonati della CBA, ma ben poco “challenge” se proiettati nello scenario del basket internazionale; da Yi Jianlian, ultimo cinese a giocare nella Nationl Basketball Association al già citato Wang Zhizhi. Quanto a Jeremy, declinati gli inviti di Pechino e Taipei (di rinunciare al passaporto americano non ci pensa nemmeno lontanamente), prenderà parte ai Giochi di Londra come membro del Team Usa, mentre alla nazionale cinese non resterà che tentare almeno di ottenere quell' ottavo posto raggiunto nel 1996, 2004 e 2008 e oltre il quale, sino ad ora, non è mai riuscita ad andare. Nemmeno quando a guidare la squadra c'era ancora Yao Ming.
mercoledì 4 luglio 2012
La fabbrica della discordia. Proteste e sangue a Shifang.
Polemica su Shifan nata sul web sfocia in rissa tra blogger: China Digital Times
Leggi su China Media Project: Come per i media cinesi le proteste del Sichuan sono una storia di business
Dopo giorni di proteste, gli abitanti di Shifang, cittadina della provincia sud-occidentale del Sichuan, sembrano essersi aggiudicati il primo round nel braccio di ferro con il governo locale: la fabbrica di rame molibdeno, ritenuta dai cittadini una minaccia per la propria salute, verra’ smantellata. Un’importante vittoria che, tuttavia, non risparmierà agli organizzatori delle rimostranze severe punizioni: come scrive China Digital Times, le autorita’ stanno gia’ cercando i responsabili e i leader della manifestazione rischiano grosso.
Doveva essere una pacifica campagna ambientalista e invece si e’ conclusa tra lacrimogeni e sangue; forze dell’ordine in tenuta antisommossa e decine di migliaia di manifestanti si sono fronteggiati per tre giorni di fila, come testimoniano gli scatti rimbalzati nei giorni passati sul web e sopravvissuti ad una censura in quest'occasione stranamente bonaria.
In principio fu la blogosfera. Fin dal 29 giugno alcuni commenti su Weibo, il Twitter cinese, cominciarono a puntare il dito contro la Sichuan Hongda, la società responsabile della costruzione dell'impianto da ben 10,4 miliardi di yuan (oltre 1miliardo di euro); il più costoso della zona e considerato uno dei progetti chiave nella ricostruzione della regione colpita dal terremoto nel 2008.
"Shifang, nella provincia del Sichuan, sta costruendo una fabbrica per la produzione di rame molibdeno. In pochi anni diventerà senza dubbio la più grande città del cancro" -ha scritto un netizen alla fine del mese scorso- "Qualcuno mi sa dire cosa devo fare o può aiutare chi come me non vuole che la propria città diventi un inferno?"
Secondo quanto si legge in una petizione cominciata a circolare nella giornata di domenica, a Shifang il tasso di incidenza dei tumori è ben più alto che nelle aree circostanti e l'impianto avrebbe potuto peggiorare la situazione in quanto "cancerogeno". D'altra parte, la versione ridotta del rapporto ambientale sulla fabbrica, così come rilasciata dalle autorità, era sufficientemente lacunosa da dare adito a nuovi dubbi.
La scorsa notte migliaia di rimostranti si sono nuovamente riuniti davanti alla sede del governo locale, invocando a gran voce il rilascio di un numero imprecisato di persone finite agli arresti, per lo piu’ studenti.
Tra cori e slogan -“liberate i ragazzi” urlavano gli abitanti di Shifang- la polizia ha cercato di disperedere la folla, sino a che le autorita’ non hanno deciso di scendere a compromessi. “In seguito alla reazione violenta dei cittadini, preoccupati per l’impatto ambientale e le ripercussione che il progetto avrebbe potuto avere sulla propia salute, abbiamo deciso di interrompere la costruzione dell’impianto e mai verra’ ripresa a Shifang” ha dichiarato ieri Li Chengji, capo del Partito locale.
Secondo alcuni testimoni, proprio nella giornata di martedi’ i manifestanti sarebbero riusciti ad avvicinarsi al centro della citta’ con ancora maggior aggressività, lanciando bottiglie per far indiettreggiare gli agenti, scrive il South China Morning Post. E a nulla sono servite le intimidazioni della sicurezza e le minacce di “punizioni severe” per chi avesse preso parte alle proteste ritenute “illegali”.
“Oggi migliaia di persone sono scese in strada, ancora piu’ di ieri, semplicemente perche’ non crediamo a quanto promesso dal governo” ha raccontato una donna impiegata in una casa da te’ nei pressi della sede dell’amministrazione locale.
Le immagini di giovani studenti insanguinati e poliziotti con manganelli circolate sulla rete hanno riacceso le critiche contro il modus operandi adottato dalla polizia cinese, pronta a respingere con il pugno di ferro le richieste dei cittadini. Un dispiegamento di 8000 uomini -come riportato da uno dei presenti- ha pattugliato le strade principali e gli ospedali di Shifang, sebbene un comunicato del governo locale abbia negato spargimenti di sangue, smentendo le voci relativa alla morte di uno dei manifestanti a causa delle percosse subite.
Quella dello scorso fine settimana è stata una delle più accese proteste ambientaliste da quando nell'agosto 2011 decine di migliaia di persone scesero in piazza a Dalian, regione del Liaoning, per chiedere lo spostamento di un'industria petrolchimica.
Ma la risonanza delle rimostranze di Shifang, per la giovane età dei leader e le brutalità messe in atto dalla polizia, è stata tale da attirare l'attenzione della stampa internazionale e delle più note voci del dissenso cinese.
Il famoso blogger e scrittore Han Han si è espresso sul caso, rivolgendo un appello alle autorità perché accolgano le richieste del popolo. "Qua non si tratta di un terremoto o di un'emergenza. Il diritto di proteggere l'ambiente in cui si vive deve essere rispettato" ha scritto Han su Weibo, criticando il modo in cui vengono gestiti i "disordini di massa" in Cina.
Ma i cinesi hanno la scorza dura, "sono come i gamberi d'acqua dolce, capaci di sopportare situazioni di disagio prolungato. Possono vivere in qualsiasi tipo di ambiente. Eppure, anche se hanno le chele, vengono facilmente pugnalati da dietro, divenendo incapaci di stringere l'aggressore. (...) Spero che le persone che sono sopravvissute al terremoto del 2008 riescano a sopravvivere anche a questa repressione. E mi auguro che gli edifici governativi (il governo) rimasti in piedi nel 2008 possano resistere anche a questo interrogatorio".
(Altre foto delle proteste apparse sul web)
lunedì 2 luglio 2012
Proteste ad Hong Kong per l'arrivo di Hu Jintao
Quest'anno a guastare i festeggiamenti per l' anniversario del passaggio di Hong Kong alla madrepatria non e' stata soltanto la tempesta tropicale Doksuri. Ad accogliere il presidente cinese Hu Jintao, giunto venerdi' nell'ex colonia britannica per celebrare il 15esimo dell'handover e l'entrata in carica del nuovo "chief executive" Leung Chun-Ying, una valanga umana di oltre 50mila manifestanti si e' riversata da Victoria Park sino al quartier generale del governo locale ad Admiralty.
Tra i 5mila e gli 8mila poliziotti sono stati sguinzagliati per le strade dell'ex protettorato britannico per far fronte ad eventuali proteste. Nella giornata di sabato le forze dell'ordine hanno tenuto a bada la folla utilizzando spry al peperoncino. Tra le richieste dei manifestanti maggior chiarezza sulla morte di Li Wangyang, uno dei leader del movimento dell'89 trovato morto nella sua stanza d'ospedale alcuni giorni fa. La versione del suicidio sponsorizzata dalle autorità continua a non convincere, tanto che il caso del dissidente ha riportato sotto i riflettori la questione dei diritti umani. Una storia dal peso specifico considerevole che ha finito per gettare ombre persino sul South China Morning Post, uno dei baluardi del giornalismo d'inchiesta, in quest'occasione accusato di aver trattato la notizia con scarsa trasparenza. Uno scivolone che ha dato nuovo vigore alle voci che lamentano negli ultimi anni una diminuzione della libertà di parola e di stampa sull'isola.
Sabato un giornalista dell'Apple Daily, dopo aver chiesto al presidente cinese di rispondere ad alcune domande sul massacro di Tiananmen, e' stato portato via e tenuto in custodia dalla polizia, mentre alcuni tafferugli tra le forze dell'ordine e i rimostranti hanno fatto seguito all'imbarazzante interruzione del discorso inaugurale di Hu Jintao da parte di uno dei 2.300 presenti.
Il 1 luglio viene considerata una data particolarmente sensibile da quando nel 2003 circa 500.000 manifestanti alzarono la voce contro una legge anti-sovversione, ottenendone il ritiro. Ogni anno migliaia di cittadini approfittano dell'importante commemorazione per chiedere più democrazia e maggior autonomia negli affari locali, appellandosi a quanto stabilito dal motto "un Paese due sistemi" coniato da Deng Xiaoping nel 1997 al momento del ritorno del "Porto Profumato" alla madrepatria.
Le intenzioni del "Piccolo Timoniere" erano buone: assicurare alla Regione amministrativa speciale liberta' di stampa, elezioni multipartitiche, un proprio mercato azionario e autonomia dei tribunali e degli apparati di sicurezza, mentre la mainland, da parte sua, avrebbe continuato ad avere voce in capitolo nelle relazioni diplomatiche e nel settore della difesa nazionale. Ma di fatto, dopo quindici anni, Hong Kong continua a rimanere legata al cordone ombelicale di Pechino e sono in molti a lamentare un'eccessiva ingerenza della madrepatria nella politica locale.
Se sino ad oggi gli equilibri tra "i due sistemi" si sono retti sulla formula vincete industria e manodopera cinese+capitali hongkonghesi, il prezzo del benessere economico dell'ex colonia britannica rimane altissimo e ricasca in massima parte sulle spalle dei nativi dell'isola, mentre i continentali arricchiti continuano a godere dei massimi privilegi.
La forbice tra ricchi e poveri ha raggiunto livelli record, battendo quella di qualsiasi altro Paese asiatico. Un'impennata dei prezzi degli immobili -causata per lo piu' dalla corsa agli investimenti dei cinesi nel fertile mercato di Hong Kong- ha reso proibitivo l'acquisto di un appartamento per la maggior parte dei cittadini dell'ex colonia.
E se una ricerca pubblicata proprio domenica dalla CNN metteva il "Porto Profumato" in cima alla lista dei posti in cui si vive meglio, per gli hongkonghesi sgomitare per farsi largo tra le "locuste cinesi" diventa sempre piu' difficile. Lo testimonia la crescente insofferenza verso l'arrivo in massa dalla mainland delle partorienti che, come cavallette, travolgono gli ospedali dell'isola per usufruire di strutture sanitarie migliori e assicurare ai propri figli la cittadinanza hongkonghese.
I numeri parlano chiaro: l'astio degli hongkonghesi ha raggiunto il picco più alto dal 1997. Un sondaggio eseguito dalla Chinese University di Hong Kong dimostra che il 37% dei cittadini della Regione amministrativa speciale si dice sfiduciato nei confronti del governo cinese, mentre solo il 32% avrebbe mostrato apprezzamento verso l'attuale leadership. E non solo. Secondo ricerche indipendenti, il 46% della popolazione si identifica esclusivamente come cittadino di Hong Kong, contro un esiguo 18% fiero della propria "cinesità".
Ma se l'anno passato ad alimentare le proteste erano stati principalmente i prezzi del mattone alle stelle e l'iniqua distribuzione delle ricchezze, il 1 luglio 2012 verra' ricordato soprattutto per il movimento anti-Leung Chun-Ying, il nuovo capo dell'esecutivo uscito vittorioso dalle elezioni dello scorso marzo ed entrato ufficialmente in carica domenica scorsa.
Scelto da una ristretta elitè composta da 1200 magnati e uomini d'affari vicini a Pechino, il 57enne meglio noto come CY Leung, oltre ad essere un milionario con le mani in pasta nel real estate, e' anche l'uomo che piace ai piani alti del Partito comunista cinese. "Un lupo travestito da pecora"- come e' stato definito dagli attivisti pro democrazia- la cui credibilita' e' stata ulteriormente messa in dubbio a causa di alcuni lavori illegali nell'ampliamento della propria abitazione in uno dei quartieri piu' prestigiosi di Hong Kong.
Come se non bastasse, domenica il nuovo "amministratore delegato" si è dato la così detta zappa sui piedi. Lasciando l'uditorio basito, per il giuramento d'ufficio pronunciato alla presenza di Hu Jintao, Mr. Leung ha preferito utilizzare il mandarino snobbando il cantonese, lingua ufficiale dell'ex protettorato britannico, parlata dall'89% della popolazione locale e tradizionalmente adoperato da tutti i suoi predecessori. Un "kotow" per il presidente cinese, come e' stato definito dall'International Herald Tribune. .
L'ira degli hongkonghesi non si e' fatta attendere. "Non e' soltanto Leung a dover lasciare il proprio incarico" -ha gridato a un megafono uno dei manifestanti- "tutti i suoi successori dovranno dimettersi. Non abbiamo bisogno di burattini eletti dalla Cina."
Rain Lee, 10 anni, ha accompagnato la madre per prendere parte alle proteste, sfidando il caldo perche', ha detto, " vuole avere il diritto di votare il chief executive quando sara' in eta' da poterlo farlo."
E c'e' stato anche chi, sventolando la bandiere della Hong Kong coloniale, e' arrivato a rimpiangere i tempi della dominazione inglese. "Ho grande nostalgia del passato” -ha dichiarato Lydia Ma, 33 anni- “certo, al tempo c’era una collusione tra il governo e le grandi imprese, ma almeno l’amministrazione britannica ha fatto molto per il popolo. Ora invece di compiere passi avanti, Hong Kong sta regredendo in tutto, dall’economia ai mezzi di sussitenza dei cittadini, alla politica.”
E sebbene le stime delle forze dell'ordine parlino di 55 mila persone alla partenza del corteo, secondo gli organizzatori lo scorso weekend a manifestare in totale sarebbero stati almeno in 400 mila.
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