domenica 28 luglio 2013

La buona terra


(Aggiornato il 30 luglio)

Mediamente, ogni anno in Cina tre milioni di contadini vengono privati delle loro terre per progetti di sviluppo di vario genere. Secondo alcune stime, dal 1987 al 2001, sono stati espropriati 3,6 milioni di acri di terra. Le aree requisite in nome del "pubblico interesse" servono a costruire strade, circonvallazioni, fabbriche e quartieri residenziali che fanno lievitare il prezzo dei terreni. Tali espropriazioni e demolizioni violente rientrano in un piano nazionale su vasta scala che include lo spostamento di milioni di agricoltori delle zone rurali, dove la terra sta acquistando valore, e delle minoranze etniche che risiedono in zone ricchi di risorse naturali ed energetiche. In alcuni casi, le demolizioni spingono i residenti a lasciare gli ormeggi per cercare fortuna in città. In altri, invece, i contadini sono costretti a sopportare demolizioni multiple, in quanto le aree "bonificate" vengono demolite e ricostruite più volte, per la gioia degli sviluppatori locali.

Dalle poche statistiche emerge che almeno 70milioni di contadini hanno già perso le loro terre e che, nel solo 2006, le autorità locali hanno espropriato circa 200mila ettari per costruire fabbriche ed edifici destinati a uso abitativo o d'ufficio, in cambio di indennizzi irrisori. Formalmente, tutt'oggi, in Cina la terra è di proprietà dello Stato ("o di tutto il popolo") o di organismi collettivi rurali, non ben definibili. Per fini pratici si è preferito sostituire il diritto di proprietà con il diritto d'uso, ragione per la quale quest'ultimo alla fine ha acquisito un'importanza ben maggiore rispetto al primo.

A partire dal 1988, tramite una modifica costituzionale ex post (tipica del sistema cinese in cui prima si modificano le norme operative e, soltanto in seguito, la Costituzione), si dichiarò che la terra rimaneva di proprietà dello Stato o collettiva, ma i diritti d'uso del terreno potevano essere concessi in locazione, compravendita essere permutati o trasmessi in via successoria. E' lo Stato ad assegnare il diritto d'uso delle terre, sotto una speciale forma d'affitto a lungo termine rinnovabile per allocazione o concessione. Un sistema mutuato dal marxismo-leninismo che esige il controllo e a proprietà statale della terra, ma che, allo stesso tempo, permette un compromesso sull'affitto dei terreni e sul trasferimento dei diritti d'uso.

Verso la fine degli anni '70, la maggior parte delle terre era di proprietà pubblica o veniva gestita collettivamente. Un decennio dopo, con le riforme economiche e politiche di Deng Xiaoping, le Comuni popolari furono soppresse. La transizione dal sistema collettivistico delle Comuni popolari ad un sistema di coltivazione familiare, nei primi anni '80, ha creato una situazione di instabilità istituzionale e legale. E più il processo di urbanizzazione si evolveva, più il valore della terra cresceva, più quest'instabilità sfociava in attriti tra i contadini (occupanti de facto del suolo) e i governi locali (proprietari de jure degli appezzamenti). Così, il problema della proprietà della terra è rimasto insoluto fino agli anni 2000.

Oggi la terra è di proprietà delle imprese collettive dei contadini ed amministrata dall'organizzazione collettiva economica del villaggio, come stabilito dalla "Legge sull'Amministrazione della Terra".
Nel 2004 l'Assemblea nazionale del popolo ha approvato e promulgato la quarta serie di modifiche alla Costituzione del 1982, nelle quali rientra un emendamento all'articolo 10 (vedi sotto). Come stabilisce la nuova formulazione: " Lo Stato può, per necessità di pubblico interesse, espropriare il suolo e revocarne il diritto d'uso secondo norma di legge, fornendo un indennizzo. La grande novità sta nella possibilità dei cittadini, vittimi di requisizioni, di poter ricevere una compensazione. D'altra parte, la (voluta) vaghezza legislativa priva il popolo di una reale tutela. In alcuni casi i contadini scelgono di appellarsi alla legge, incappando spesso in una scarsa imparzialità delle corti giudicanti, in altri -complice la limitata consapevolezza dei propri diritti- preferiscono il mezzo della protesta in strada.

E' bene sottolineare, però, che normalmente le sollevazioni popolari sono motivate da un forte risentimento verso la corrotta burocrazia locale, mentre il governo centrale viene ancora visto dalle masse come "un benefattore". E non del tutto a torto. Come stabilisce la "Legge sull'Amministrazione della Terra", se il governo locale si appropria di alcuni terreni, il 30% dei guadagni ottenuti dalla vendita vanno ceduti al governo centrale (dati del 2007). Ragione per la quale spesso e volentieri le amministrazioni locali ricorrono all'appropriazione illegale della terra, in modo da trattenere per sé l'intera somma ricavata dalla vendita. Tanto che, secondo alcune stime, tra il 2000 e il 2004, le espropriazioni pilotate dai funzionari locali avrebbero privato il governo centrale di 2,5 miliardi di dollari di potenziali entrate.

Inoltre, trasformare terre arabili in terre per uso commerciale o industriale permette ai funzionari di attrarre maggiori investimenti, in modo da accrescere le proprie prospettive di carriera, basate -sino ad oggi- su criteri strettamente economici. In molti casi le terre vengono rivendute a investitori privati per un costo medio per acro 40 volte maggiore rispetto alla somma pagata ai contadini.

"Una legge precedente stabilisce che gli agricoltori debbano essere risarciti con una cifra pari a trenta volte il reddito medio annuo guadagnato dalle loro terre, una volta privati di esse" ha dichiarato al South China Morning Post un ricercatore della China Academy of Agricoltural Sciences "Ma ora questo compenso risulta troppo basso. Diverse città necessitano di operare al di fuori di tali standard per proteggere gli interessi dei contadini".

Il problema è spinoso: ne va di mezzo l'armonia sociale. Pare infatti che il 65% dei 180mila "incidenti di massa" che ogni anno scuotono il Paese derivino proprio da rancori per via delle requisizioni forzate dei terreni. E Pechino, che è particolarmente sensibile a quanto metta a rischio la stabilità nazionale, ora vuole correre ai ripari. Durante una recente tappa nello Hubei, il presidente Xi Jinping ha fatto cenno ad una riforma del sistema della terra, volta principalmente a colmarne le lacune e ad assicurare maggiori compensi agli agricoltori che hanno venduto ad altri il loro diritto d'uso del suolo. Il tutto, però, lasciando intatto il principio della proprietà collettiva.

Il dibattito sulla terra è tornato particolarmente in auge da quando la nuova dirigenza al potere ha annunciato un piano d'urbanizzazione che, nell'arco di 12 anni, dovrebbe trascinare nelle città -sopratutto di seconda e terza fascia- 250milioni di persone. Obiettivo conclamato: aiutare il Paese a ricominciare a crescere. Oggi la percentuale della popolazione urbanizzata in Cina si attesterebbe intorno al 51% (contro il 19% del 1979) ma se si considera che soltanto il 40% dei migranti delocalizzati gode di benefit e diritti fondamentali, il tasso reale di cittadini urbani sarebbe del 42%, 10 punti percentuali in meno rispetto ai dati ufficiali.

Secondo proiezioni del ministero degli Alloggi e dello Sviluppo urbano e rurale cinese, la nuova ondata di urbanizzazione dovrebbe creare almeno 1 trilione di yuan in opportunità di investimento annuali nella costruzione di forniture d'acqua, nel trattamento dei rifiuti, nel riscaldamento e altri servizi pubblici. I costi di questo immenso progetto potrebbero essere di circa 650 miliardi di yuan all'anno (quasi 80 miliardi di euro), l'equivalente del 5,5% del gettito fiscale del 2012, ha spiegato l'Accademia cinese di scienze sociali nel suo rapporto annuale.

La questione, di stretta pertinenza degli economisti, ha finito per attrarre anche l'attenzione degli uomini di legge. Sotto riporto la traduzione di un articolo apparso il 17 luglio sul Nanfang Zhoumo, a firma di Qu Xiangfei, professore presso l'Istituto di legge dell'Accademia cinese di scienze sociali.

La Cina per migliaia di anni è stata una civiltà sostanzialmente agricola, avverte Yan Zhiyao, direttore della divisione per la protezione delle terre coltivate sotto il ministero della Terra. Ciò implica il fatto che è praticamente impossibile pensare di forzare i contadini a cedere la terra. D'altra parte, egli ha anche ricordato che quando furono avviate le espropriazioni dei terreni, negli anni '80, i contadini fecero a gara perché le proprie terre fossero requisite per prime. Come mai i contadini non amano più i propri terreni? Per il semplice fatto che ottengono benefici superiori cedendo le terre piuttosto che possedendole.

Il governo attuale si propone di sfruttare l'urbanizzazione per rilanciare la crescita economica e, secondo la logica di Yan, poiché l'urbanizzazione certamente presuppone la raccolta delle terre, è necessario che siano tutti d'accordo, è necessario che chi viene sottoposto alle espropriazioni possa godere del diritto allo sviluppo, trascorrendo una vita anche migliore rispetto a quella vissuta quando aveva la terra. Nel processo di urbanizzazione, descritto da Yan in sei punti, la pressione esercitata dal governo sarà molto forte.

Se si cambia il filo del ragionamento, accettando l'urbanizzazione (qua si intende la chengshihua, ovvero l'urbanizzazione delle grandi metropoli, ndt) criticata da Yan, si può evitare di requisire i terreni, che equivale a dire: trasformare il diritto allo sviluppo -che il governo dovrebbe assumersi nei confronti delle persone- in diritto allo sviluppo della terra che i contadini possedevano in origine; trasformare l'urbanizzazione progettata artificialmente dal governo in un'urbanizzazione avviata in maniera spontanea e graduale dai contadini, riducendo, così, le espropriazioni al minimo. Non sarebbero forse più felici tanto il governo che i contadini?

L'articolo 10 della Costituzione, secondo il quale "La terra delle città appartiene allo Stato" (mentre la periferia e i terreni rurali appartengono ad imprese collettive, ndt), costituisce oggi un collo di bottiglia in quanto l'urbanizzazione finisce per privare i contadini del diritto allo sviluppo, mentre aumenta le responsabilità del governo quanto al sopperimento delle necessità quotidiane. E' giunto il momento di risolvere tutti questi problemi, ed è possibile farlo in due modi: modificando la costituzione o reinterpretandola.

Al momento, cambiare la Costituzione è molto difficile per diverse ragioni. Per prima cosa, perché è arduo convincere chi ha degli interessi (legati allo status quo, ndt) a cambiare il corpus normativo; poi bisogna considerare il complesso da cui sono affetti i costituzionalisti: un governo costituzionale deve rispettare la Costituzione, non può facilmente modificarla, poiché essa deve possedere una natura stabile. Al fine di risolvere le questioni (dette sopra) occorre, pertanto, passare per un'interpretazione, non una modifica della carta costituzionale. Considerando, tra l'altro, come sottolineato da Chengxue Yang, che uno studioso della Costituzione che chiede un emendamento del corpo normativo viene praticamente escluso dalla professione legale.

Date le numerose difficoltà, un'interpretazione della Costituzione sembra essere l'unica scelta. Com'è possibile farlo in modo da assicurare ai contadini il diritto allo sviluppo? Due sono i sistemi possibili. Uno è quello della teoria del "si può" sollevata da Cheng Xueyang, efficace, coraggiosa e innovativa; se veramente si riesce a dare un'interpretazione in questo modo si risolverà un bel problema, senza bisogno di mutare gli articoli della Costituzione, né di oltrepassare chissà quanti ostacoli. D'altronde permane una preoccupazione. Se si interpreta l'articolo 10 come "La terra delle città è di proprietà dello Stato, ma può anche non essere dello Stato", questo sistema si potrebbe estendere anche agli altri articoli della Costituzione? Per esempio, nel caso delle nascite, potremmo anche dire che una coppia sposata può avere un solo figlio, ma che ne potrebbe averne anche più di uno? Questa è un po' il mio timore. Certamente è sperabile che, con il corso del tempo, si riesca in qualche modo a far accettare la teoria del "si può".

Il secondo sistema è quello della "teoria del virtuale-materiale" che consiste nel rendere il diritto di proprietà virtuale e il diritto d'uso, invece, materiale. La teoria del "si può" non modifica la struttura o il contenuto dei diritti, ne cambia soltanto il corpo principale. Quest'altro metodo, invece, non modifica il corpo principale del diritto ma cambia la sua struttura, apportando grandi variazioni sia al contenuto del diritto di proprietà che a quello del diritto d'uso. In realtà, entrambi i sistemi tentano di interpretare la Costituzione in maniera "fraudolenta".

La difficoltà nell'attuare la "teoria del virtuale-materiale" è evidente: come si può rendere virtuale il diritto di proprietà? E' piuttosto arduo, sulla base dell'articolo 10 della Costituzione, riuscire a trasformare le terre, che dall'"82 sono collettive, in terre statali. E' necessario passare attraverso un processo di cambiamento. Per esempio, al momento della transizione, la riappropriazione del diritto di proprietà deve essere accompagnata da una compensazione?

Quando si ha il diritto di proprietà è facile espropriare, ma i contadini non detengono la piena proprietà, hanno solo il diritto d'uso. Con il risultato che lo Stato riesce ancora più facilmente a riprendersi le sue terre.

Come studioso della legge, mi auguro che questi ostacoli possano essere superati attraverso un'interpretazione del corpo normativo. Ma è cosa difficile. Come fare? E' necessario tornare a quanto detto prima: modificare la Costituzione, separare la costruzione delle città dal sistema di proprietà delle terre, permettendo ai contadini di costruire anche sui campi coltivabili. Tutto questo ovviamente necessita rigore e di una pianificazione scientifica.

Alcune persone si chiedono: cosa succederà se i contadini si riversassero nelle città come sciami d'api per coltivare? Non ci siamo mai preoccupati per loro, e per questo le loro capacità non si sono mai sviluppate. Questo vuol dire assicurare loro il diritto allo sviluppo?!

(Sulla proprietà della terra in Cina)

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