martedì 15 dicembre 2015

Pu Zhiqiang alla sbarra


(AGGIORNAMENTI
22 DICEMBRE: Pu Zhiqiang è stato condannato a tre anni di carcere con sospensione della pena. Questo vuol dire che l'avvocato probabilmente non potrà più esercitare la professione, ma che non tornerà più in carcere.

18 DICEMBRE: Secondo Amnesty International, quattro attivisti sono stati arrestati per aver preso parte ai raduni fuori dal tribunale in cui si stava svolgendo il processo a Pu Zhiqiang)



Dimagrito e visibilmente invecchiato. Così è apparso Pu Zhiqiang il giorno del processo che, dopo 19 mesi di detenzione, lo ha visto rispondere alle accuse di "incitamento all'odio etnico" e "turbamento dell'ordine pubblico" attraverso la piattaforma di microblogging Weibo.

Pu, uno dei più noti avvocati per la difesa dei diritti umani in Cina, era stato arrestato nel maggio 2014 dopo aver preso parte alle commemorazioni informali per il 25esimo anniversario del massacro di piazza Tian'anmen, una ricorrenza sensibile che ha coinciso con un'ondata di fermi nel mondo della dissidenza cinese. Il tempismo sembra confermare la natura politica del caso, tutto incentrato su sette post pubblicati tra il 2011 e il 2014 di cui il minimo comune denominatore consiste nel tono denigratorio nei confronti del Partito. Quattro sono relativi all'accusa di "incitamento all'odio etnico" gli altri tre a quella di "turbamento dell'ordine pubblico", un reato che alla fine del 2013 è stato esteso anche all'attivismo online. Stando a quanto riferito lunedì alla stampa dal suo legale Shang Baojun, l'avvocato ha ammesso di aver utilizzato un linguaggio "affilato, pungente e talvolta volgare", ma ha negato di aver cercato di fomentare l'odio interetnico.

Accuse costruite ad hoc

Che le imputazioni scricchiolino parrebbe saperlo bene anche Pechino: secondo quanto riporta Quartz, al momento dell'arresto le accuse (poi lasciate cadere) comprendevano anche "l'incitamento al separatismo e "l'ottenimento illegale di informazioni personali", mentre i commenti incriminanti all'inizio sarebbero stati ben 30. Inoltre, i tempi estremamente dilatati tra il fermo e il processo sembrerebbero confermare il tentennamento delle alte cariche davanti a un caso osservato da vicino anche all'estero. Secondo quanto raccontato al Guardian dal sinologo americano, Perry Link, in mancanza di prove, per mesi le autorità avrebbero tentato invano di dare solidità alle accuse portando allo scoperto nuovi reati, come la promiscuità sessuale, la corruzione o l'evasione fiscale; un escamotage sempre più diffuso, in Cina, per mettere tacere personaggi scomodi. E Pu, che in passato ha difeso l'archistar Ai Weiwei e si è battuto per la chiusura dei campi di rieducazioni (laojiao), rientra a pieno nella categoria. Sulla base delle accuse a suo carico, l'avvocato rischia fino a otto anni di carcere. L'annuncio della sentenza è atteso per i prossimi giorni.

Processo e tafferugli

Al termine dell'udienza, tenutasi lunedì mattina a Pechino presso la seconda corte intermedia del popolo, Shang Baojun ha affermato che l'aula era piena, ma che l'unica persona che è stato in grado di identificare è la moglie di Pu, Meng Qu. Sono invece rimasti fuori i molti simpatizzanti che con striscioni e slogan hanno sostenuto l'innocenza dell'avvocato prendendosi anche qualche spintone da parte di agenti in borghese con il volto coperto da mascherine anti-smog. La stessa sorte è toccata ai giornalisti e diplomatici presenti, tra cui l'americano Dan Biers, che stava intrattenendo i reporter con un discorso di condanna sul trattamento riservato a Pu. I tafferugli con le forze dell'ordine hanno spinto il Club dei Corrispondenti stranieri in Cina a rilasciare un comunicato molto critico: "Questi sforzi mirati a prevenire la copertura mediatica [del processo] sono una grave violazione delle norme cinesi sui corrispondenti stranieri", si legge nel rapporto. La giornalista della Reuters Sui-Lee Wee ha definito le angherie della polizia fuori dal tribunale come le peggiori sperimentate in cinque anni, e fa specie che si verifichino in un momento in cui Pechino preme per una narrazione più "oggettiva" del Paese di Mezzo sulla stampa internazionale. 

Riforma del sistema giudiziario e giro di vite

Il processo di Pu "fa parte di un giro di vite contro la società civile ed è chiaramente collegato al suo impegno nella difesa della libertà di parola e alle sue accuse contro il governo" ha affermato al South China Morning Post Eva Pils, esperta di legge cinese presso il King's College di Londra. Ammontano a circa 940 gli attivisti presi in custodia nel solo 2014, mentre oltre 100 persone, tra dissidenti e avvocati, sono finite in manette nell'arco di un unico weekend lo scorso luglio. Alcune di queste in seguito sono state rilasciate, ma circa una ventina sono ancora dietro le sbarre.
Il caso di Pu arriva dopo la condanna a quattro anni di carcere di Xu Zhiyong, l'avvocato leader del "movimento dei nuovi cittadini" falcidiato negli ultimi due anni da numerosi arresti. Il gigante asiatico è nel pieno di un processo di restyling del suo sistema giudiziario, percepito all'estero come ciò che più si avvicina ad una riforma politica "con caratteristiche cinesi". Tuttavia, nonostante le dichiarazioni d'intenti, i progressi fatti finora (in primis l'abolizione del laojiao) non soddisfano le organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani. Appena alcuni giorni fa, il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura ha chiesto a Pechino di mettere fine al crescente ricorso a metodi violenti nelle prigioni, come promesso dalla dirigenza alla fine del terzo plenum del Partito nel novembre 2013.

Schizofrenia "con caratteristiche cinese"

Eppure la Cina che arresta Pu e Xu è quella stessa Cina che di recente ha restituito il passaporto ad Ai Weiwei (dopo 4 anni!) e si è rivelata magnanima nei confronti di Gao Yu, giornalista accusata ad aprile di aver "diffuso segreti di stato" alla stampa. Il mese scorso la donna si è vista ridurre la pena da sette a cinque anni, pena che peraltro sconterà ai domiciliari a causa delle precarie condizioni di salute. E' una schizofrenia tutta cinese o c'è una spiegazione logica al vortice di segnali discordanti lanciati da Pechino? Spesso si dice che interpretare le segrete alchimie distillate nei palazzi del potere in piazza Tian'anmen sia un po' come leggere le foglie del tè. Non è insensato ipotizzare che a frenare le riforme siano motivazioni di ordine interno: il Partito -tutt'altro che monolitico come ci insegna la lunga sequela di purghe eccellenti- non è coeso sulla strada da intraprendere: qualcuno spinge per un'apertura in senso liberale/liberista, qualcun'altro teme che tale apertura possa tradursi nell'erosione dei propri privilegi, già minati dalla campagna anticorruzione rilanciata dal presidente Xi Jinping appena assunto l'incarico. Ipotesi numero due: la leadership si sente minacciata. Da cosa? Da Tian'anmen in poi, l'armonia sociale è diventata un chiodo fisso per il Partito-Stato. Per circa vent'anni un tacito accordo tra establishment e cittadini ha assicurato benessere in cambio di stabilità. Ma ora che l'economia rallenta, il sistema finanziario vacilla e l'inquinamento ambientale non accenna a diminuire, il livello di tolleranza della pancia del Paese rischia di abbassarsi. Quel che meno serve a Pechino è che un pugno di attivisti risvegli l'assopita coscienza civile. Se poi questi attivisti hanno anche contatti all'estero allora scatta l'allarme rosso. La metafora è quantomai pertinente dal momento che ad agitare i sonni del Dragone sono proprio le "rivoluzioni colorate" finanziate da oltreconfine (forse qualcuno ricorderà le accuse ad una presunta intromissione americana e britannica nelle proteste democratiche di Hong Kong). A conti fatti, possiamo soltanto immaginare cosa sia frullato per la testa dei leader cinesi davanti alla nutrita presenza straniera al processo di Pu Zhiqiang.

Quale degli scenari ipotizzati rispecchi davvero la realtà lo sanno soltanto a Zhongnanhai. L'unica cosa certa è che non è trincerandosi dietro una nuova "Grande Muraglia" che la Cina otterrà la fiducia del resto del mondo coronando il suo sogno di grande potenza. Men che meno vi riuscirà imbavagliando le voci del dissenso. 

(Pubblicato su Gli Italiani)






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