[AGGIORNAMENTI
- 28 DICEMBRE: Si è tolto la vita lanciandosi da un palazzo Xu Yuanan, il direttore dello Shenzhen Guangming New District Urban Management Bureau, il dipartimento responsabile per l'approvazione della costruzione della discarica in cui si è consumata la tragedia. E' il secondo suicidio collegato ad un disastro in due giorni: nella giornata di domenica a scegliere la morte era stato il proprietario della miniera di gesso dello Shandong crollata la settimana scorsa intrappolando 17 minatori.
Nel frattempo sono saliti a 12 gli impiegati della Shenzhen Yixianglong finiti agli arresti.
- 26 DICEMBRE: Secondo quanto emerso dalle indagini avviate dal Consiglio di Stato, l'incidente di Shenzhen non è stato un disastro naturale, ma è piuttosto da imputarsi a violazione delle norme di sicurezza. Il pericolo di frane permane ancora in tre aree del parco industriale. "Ci sono anche sostanze chimiche che vanno identificate e trattate". La Shenzhen Yixianglong aveva ricevuto l'ordine di interrompere i lavori nella discarica quattro giorni prima della tragedia, mentre le attività presso il sito di raccolta dei rifiuti sarebbero dovute essere sospese 10 mesi fa. Si stima che in questo periodo di tempo la Yixianglong abbia guadagnato 7,5 milioni di yuan, 1,16 milioni di dollari.]
Mentre scriviamo, sono ancora almeno 76 le persone di cui non si hanno più tracce dopo la slavina di fango e materiale da costruzione che domenica scorsa ha travolto 33 edifici nel parco industriale di Hengtaiyu, nel nuovo distretto di Guangming, nella città cinese di Shenzhen. L'area interessata copre una superficie di 380.000 metri quadrati, pari a 53 campi da calcio (qui le riprese da un drone). Nella giornata di ieri una persona è stata tratta in salvo, mentre un secondo superstite, rinvenuto tra i detriti, è deceduto prima che venissero portate a termine le operazioni di salvataggio, in cui sono ancora coinvolti 4000 soccorritori. Due sono le vittime accertate.
La tragedia si è consumata in tipico stile cinese, portando in superficie le molte distorsioni emerse nel trentennio glorioso della crescita a due cifre, quando per pompare il Pil non si badava a standard di sicurezza, spremendo le risorse del territorio fino all'ultima goccia. Inquinamento rampante, terremoti e ricorrenti (evitabili) catastrofi è quanto questo modus operandi, oliato dalla corruzione, ha lasciato in eredità alla seconda economia del mondo. Come da retribuzione karmica, adesso a farne le spese è il simbolo del "miracolo cinese": Shenzhen, l'ex villaggio di pescatori riadattato a laboratorio per i primi esperimenti capitalistici, all'inizio degli anni '80.
Si tratta del quarto incidente su vasta scala ad aver interessato la Repubblica popolare da quando lo scorso anno diverse persone sono morte in una ressa, a Shanghai, la notte di Capodanno. Erano poi seguiti il ribaltamento di un'imbarcazione da crociera sul fiume Yangtze e l'esplosione di un magazzino di depositi chimici a Tianjin. In tutti e tre i casi è stato accertato l'errore umano, e sebbene a Shenzhen le indagini siano ancora in corso, secondo quanto riportato sul sito governativo di Guangming, la discarica -che necessitava miglioramenti a livello di sicurezza- sarebbe dovuta essere chiusa mesi fa. Come da copione, nella bufera mediatica si fanno strada le prime sanzioni: martedì pomeriggio la polizia ha arrestato il vicepresidente della Shenzhen Yixianglong Investment and Development, la società incaricata della gestione della discarica industriale e risultata in possesso di una licenza non in regola. Ma stavolta immolare il corrotto di turno potrebbe non bastare. Servono riforme strutturali.
La questione è particolarmente sensibile. Appena un paio di giorni fa si è conclusa la Central Urban Work Conference, secondo incontro al vertice di questo tipo da 37 anni a oggi dedicato interamente alla revisione del nuovo piano di urbanizzazione finalizzato a rendere le metropoli cinesi "più vivibili" entro il 2020. Non a caso, il comunicato rilasciato al termine della conferenza cita la sicurezza come requisito primario nella rivoluzione urbana con cui Pechino punta a distribuire la popolazione verso i centri di seconda e terza fascia. Al momento il 55 per cento dei cinese vive in città, ma meno del 40 per cento è in possesso del permesso di residenza (hukou) necessario per poter accedere ai servizi di base (sanità, lavoro, istruzione). Una riforma in cantiere mira a facilitare l'acquisizione dell'hukou per milioni di lavoratori migranti provenienti dalle campagne (mingong), una popolazione fluttuante che su scala nazionale ammonta a circa 170 milioni. Ecco che, nel suo piccolo, Shenzhen sintetizza in sé i dilemmi della Nuovissima Cina: la megalopoli del Sud conta 18 milioni di abitanti, di cui l'80 per cento composto da mingong senza regolare permesso di residenza. Secondo quanto riporta il New York Times, almeno 55 dei 76 dispersi nella frana provenivano proprio da province rurali e affollate, di cui 22 dallo Henan.
(Pubblicato su Gli Italiani)
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