lunedì 22 febbraio 2016
Il Drago d'acciao
[AGGIORNAMENTI:
29 febbraio: Secondo il Ministero delle Risorse Umane e della Sicurezza Sociale, la ristrutturazione dell'industria dell'acciaio e del carbone comporterà il licenziamento di 1,8 milioni di lavoratori, circa il 15 per cento della forza lavoro complessiva. Un fondo da 100 miliardi di yuan dovrebbe facilitare la riassunzione in altri comparti.
25 febbraio: La ristrutturazione industriale è sulla buona strada. Lo ha dichiarato il ministro dell'Industria e dell'Informazione Tecnologica cinese, annunciando che nel periodo 2011-2015 sono state eliminati 91 milioni di tonnellate di capacità obsoleta nell'industria del ferro e 94,8 milioni di tonnellate in quella dell'acciaio.
24 febbraio: Martedì scorso, il ministro del Commercio cinese, Gao Hucheng, ha dichiarato in conferenza stampa che "quello della sovrapproduzione dell'acciaio è un problema globale che richiede la collaborazione e gli sforzi di tutti i paesi [... ] la Cina salvaguarda il proprio diritto a difendere il business cinese in accordo con le leggi della World Trade Organisation.]
La sovrapproduzione dell'industria pesante cinese sta causando "danni di vasta portata" per l'economia mondiale, a causa della capacità in eccesso registrata dalle acciaierie cinesi, "completamente disconnessa" da quella che è la reale domanda di mercato. E' quanto emerso da un rapporto pubblicato lunedì dalla camera di Commercio Europea in Cina (Euccc), giusto a pochi giorni dall'avvio di un'altra investigazione anti-sovvenzioni lanciata da Bruxelles sulle importazioni di acciaio cinese, dopo che l'eccesso di forniture ha portato a un crollo dei prezzi globali e a un'ondata di licenziamenti.
E' stato un mese turbolento per i rapporti tra la seconda economia mondiale e il Vecchio Continente,proteste dei siderurgici andate in scena a Bruxelles con l'intento conclamato di bloccare il riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato (MES). Da mesi l'Unione Europea è spaccata più che mai sull'assegnazione a Pechino del MES, che -se approvato- renderebbe illegale l'introduzione di dazi sul Made in China, esportato a prezzi ben al di sotto dei costi reali di produzione. A rimetterci sarebbero sopratutto le piccole e medie imprese di paesi come Germania, Italia, Regno Unito, Francia e Polonia.
cominciato con le accuse del colosso lussemburghese AncelorMittal (che ha pubblicamente additato il Dragone come responsabile per gli 8 miliardi di dollari bruciati lo scorso anno) e proseguito con le accese
La Cina genera più acciaio di quanto non producano gli altri quattro principali fornitori (Giappone, India, Stati Uniti e Russia) messi insieme, e conta per la metà della produzione mondiale con un export che è lievitato del 20 per cento nel 2015 in risposta ad un rallentamento della domanda interna, piombata del 5,7 per cento nei primi dieci mesi dello scorso anno. Al contempo, più del 60 per cento dell'industria locale dell'alluminio ha riportato un flusso di cassa negativo. Mettere un punto alla sovrapproduzione e alla sopravvivenza di compagnie "zombie" (quelle improduttive gravate da 12 trilioni di dollari di debiti) è diventato uno degli obiettivi primari per il Nuovo Anno della Scimmia. Le autorità centrali hanno già pubblicato un piano d'azione per eliminare nei prossimi cinque anni 100-150 milioni di tonnellate di capacità produttiva nell'industria dell'acciaio low-end; cui si aggiunge il taglio di 500 milioni di tonnellate nel settore del carbone. Due comparti da tempo finiti nel mirino delle autorità nell'ambito di una campagna anti-inquinamento particolarmente occhiuta nei confronti delle fabbriche del nordest, dove si concentra l'industria pesante cinese. E adesso divenute target della cosiddetta "supply-side reform", che si articola nello "smaltimento delle giacenze, deleverage, riduzione dei costi, e sostegno delle aree in cui la crescita è più debole".
Pechino spera, almeno in parte, di risolvere il problema esportando la propria capacità in eccesso
oltreconfine, specialmente nelle aree coinvolte dal progetto Nuova Via della Seta - Medio Oriente e Asia Centrale in testa. Tuttavia, come spiega il presidente della Euccc, Joerg Wuttke, il piano rimane una grande incognita dal momento che questi mercati non sono sufficientemente capienti da assorbire le straripanti scorte cinesi. Peraltro, se il piano è nuovo, il dilemma in realtà non lo è affatto. "Sentiamo ripetere la stessa storia da anni: 'Siamo consapevoli del problema e stiamo cercando di risolverlo'", ha dichiarato Wuttke, accennando ad un altro rapporto della Euccc risalente al 2009. "Invece il problema diventa sempre più grave. A questo punto quello che chiediamo è: avete il coraggio di mettere in atto le politiche [che avete varato]?"
Tutto è cominciato con il boom economico trainato da un modello di crescita a base di prestiti e investimenti. Un modello che ha permesso all'economia cinese di espandersi a ritmi vertiginosi per un trentennio, fino a quando la crisi globale non ha cominciato ad assottigliare le tasche dei principali acquirenti dell'export cinese. Con il crollo della domanda la sovrapproduzione ha continuato a lievitare rendendo molte aziende statali (zoccolo duro dell'industria pesante) incapaci di ripagare i debiti contratti. Diversi impianti sono stati costretti a tagliare la produzione, ma non necessariamente a chiudere. Il legame perverso intrattenuto con banche e amministrazioni locali ha permesso alle compagnie di sopravvivere. Come spiega il Washington Post, i governi provinciali dipendono a tal punto dalla tassazione di alcune industrie che hanno preferito vederle trasformarsi in "zombie" piuttosto che lasciarle fallire. Sopratutto nelle aree fortemente caratterizzate da segmenti specifici, come la "città dell'acciaio" Tangshan, nei pressi di Pechino, dove la morte definitiva del settore comporterebbe un'erosione di posti di lavoro; qui si produce in un anno più acciaio che negli States. Allo stesso tempo, -nonostante la tanto sponsorizzata transizione da una crescita "quantitativa" ad una "qualitativa" - la performance economica del "proprio orticello" continua ad essere considerata dai funzionari locali un requisito determinante per fare carriera. Specie ora che l'economia nazionale procede al passo più lento da 25 anni.
Mentre dal ricambio al vertice (novembre 2012) ad oggi la nuova leadership non ha lesinato gli sforzi per ristrutturare l'esercito e ripulire il Partito comunista dagli elementi corrotti, la stessa risolutezza non si può dire sia stata adottata nell'implementazione delle riforme economiche, riassunte nello slogan "new normal": il nuovo paradigma di sviluppo che coniuga una crescita, non più iperbolica ma medio-alta, a criteri di sostenibilità. Qualcuno guarda con speranza al secondo mandato del presidente Xi Jinping; il quinquennio 2017-2022 potrebbe portare mosse più audaci in economia. Ma, avverte Wuttke, più passa il tempo e più la situazione rischia di peggiorare, innescando un effetto a catena oltre Muraglia. L'unica soluzione, spiega, risiede nel lasciare il controllo dell'economia alle forze di mercato, come più volte assicurato dalla leadership. D'altra parte, "se il governo costituisce parte del problema, come potrebbe esserne anche la soluzione?"
(Pubblicato su Gli italiani)
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