C'è "un'organizzazione separatista radicale" dietro i tafferugli andati in scena il primo giorno del Nuovo Anno lunare a Mong Kok, il quartiere popolare di Hong Kong già noto alle cronache per aver fatto da sfondo alle proteste democratiche degli "Ombrelli". Ne è convinto il Ministero degli Esteri cinese che giovedì scorso ha tentato di minimizzare la portata della "Fishball Revolution", questo il nome con cui il web ha battezzato gli scontri tra le forze dell'ordine e un pugno di riottosi scesi in campo per spalleggiare i venditori ambulanti di polpette di pesce.
Secondo la versione fornita dal Segretario di Hong Kong per la Sicurezza, Lai Tung-kwok, alcuni funzionari del Food & Environment Hygiene Department stavano perlustrando l'area per effettuare controlli sulle licenze dei venditori di street food quando sono stati circondati da una cinquantina di persone armate di mattoni divelti sul momento dai marciapiedi, bottiglie e scudi rudimentali. La guerriglia si è conclusa con oltre 100 feriti da ambo le parti e diverse macchine della polizia danneggiate, mentre nel tentativo di sedare la rivolta i funzionari della sicurezza hanno sparato in aria due colpi di avvertimento, una misura quasi senza precedenti nella regione amministrativa speciale. Una sessantina le persone arrestate, di cui 45 perseguite formalmente per "rivolta", un'accusa avanzata raramente dalle autorità locali, ma che il Segretario alla Giustizia, Rimsky Yuen, ritiene motivata dalla gravità degli eventi. Ulteriori capi d'imputazione potrebbero fare seguito nelle prossime settimane una volta concluse le indagini.
Mentre l'opinione pubblica si spacca sulla natura delle proteste (eccessive per molti, giustamente motivate per altri), le autorità centrali e locali fanno quadrato attorno al motto "un Paese, due sistemi", il modello grazie al quale - dall'handover del 1997 a oggi- il Porto Profumato ha goduto di una notevole libertà di iniziativa economica e autonomia amministrativa sulla base di una mini-Costituzione di stampo anglosassone chiamata Basic Law. Una situazione che, al momento della riconsegna alla madrepatria, Londra e Pechino stabilirono sarebbe durata fino al 2047, lasciando diversi interrogativi insoluti sul periodo successivo a tale scadenza. Nel frattempo, questioni più incombenti animano l'agone politico hongkonghese: nei prossimi mesi si terranno le votazioni per il Legislative Council (Legco), il Parlamento di Hong Kong, mentre nel 2017 verrà eletto il nuovo Chief Executive, la massima carica nella gerarchia del potere locale scelta da un collegio elettorale composto da notabili vicini a Pechino, ma che stando a quanto accordato nel '97, da lì a vent'anni sarebbe dovuta essere nominata a "suffragio universale". Un punto quest'ultimo su cui la mainland ha cercato di tergiversare imponendo una riforma elettorale bocciata dal Consiglio Legislativo lo scorso giugno, in quanto avvertita da molti come un affronto ai principi democratici che animano il Porto Profumato in contrapposizione al regime comunista della terraferma. Occupy Central e il Movimento degli "Ombrelli" sono nati in risposta alla crescente ingerenza di Pechino sugli affari di Hong Kong. Nondimeno, una una serie di fattori interni sembra alimentare la mobilitazione popolare, ricordando che il rapporto controverso con la mainland non è l'unico fattore di instabilità nella Greater China.
Per quanto risulti difficile accostare le proteste democratiche (complessivamente pacifiche) ai più recenti disordini di Mong Kok (le rimostranze più cruente dai tempi delle manifestazioni anti-britanniche del 1967), alcune lamentele ritornano come una costante nelle varie mobilitazioni locali. Con il rischio che una mancata risposta dall'alto alimenti una progressiva radicalizzazione tra le frange più giovani e disagiate (alla "Fishball Revolution" sono seguiti almeno due incendi dolosi, sebbene non necessariamente collegati fra loro). Le nuove generazioni sono l'anima del dissenso, e Pechino lo sa bene. Mentre gli ex leader studenteschi dell'Umbrella Movement si apprestano a partecipare alle prossime legislative con i colori di un nuovo partito politico che promette di spingere per un referendum sul futuro di Hong Kong dopo il fatidico 2047, nuove linee guida pubblicate a gennaio dal Ministero dell'Educazione cinese mirano ad "accrescere l'educazione patriottica tra i giovani di Hong Kong, Macao e Taiwan". Seconda operazione propagandistica dopo quella fallimentare che nel 2012 vide deragliare il progetto di "educazione morale e nazionale" nelle scuole,
dopo accese polemiche.
Per Pechino è di prioritaria importanza circoscrivere la portata degli ultimi disordini affibbiando la paternità delle violenze a pochi elementi destabilizzanti. "Condanniamo fermamente questi separatisti radicali diventati sempre più violenti, che si sono anche resi responsabili di attività legate al terrore", ha dichiarato Zhang Xiaoming, Direttore dell'ufficio incarico di rappresentare il governo cinese nell'ex colonia britannica. "La giustizia prevarrà sul male", ha puntualizzato Zhang assicurando che il governo di Hong Kong gestirà la situazione "in accordo con le leggi locali". Un'affermazione quantomai inquietante se si considera che la legge locale è quella stessa che recentemente ha permesso a quattro librai specializzati in testi scandalistici sulla nomenklatura cinese di sparire da Hong Kong (un quinto dalla Thailandia) in condizioni misteriose per ricomparire nella Cina continentale. Quattro dei cinque in manette.
La natura variegata delle recriminazioni legate alla "Fishball Revolution" parrebbe trovare fondamento nel fermo di Ray Wong Toi-yeung, leader dell'Hong Kong Indigenous, che -con Civic Passion- guida la nuova cordata dei gruppi "localisti" sorti sulla scia del fallimento di Occupy Central per rivendicare maggiore autonomia dalla madrepatria, in alcuni casi persino l'indipendenza. Ma non solo. Se la conservazione dell'identità hongkonghese è il cavallo di battaglia dei "localisti", allo stesso tempo l'inettitudine delle autorità arricchisce di sfumature tutte locali le rivendicazioni delle neonate forze politiche.
Come ricorda una lettera indirizzata al South China Morning Post, in questi anni "sono state avanzate richieste legittime affinché venisse rivisto il nostro sistema educativo e sanitario, affinché venisse introdotto un sistema pensionistico universale e affrontato il problema dei mini-appartamenti e dei box gabbia. Queste richieste sono state sistematicamente ignorate. Nel frattempo a dominare l'agenda del Legco sono state 'cattedrali nel deserto', come la ferrovia ad alta velocità che raggiunge il Guangdong e il ponte Hong Kong-Zhuhai-Macao (sostenuti da Pechino). Non c'è da stupirsi se la sensazione di esclusione si è esplicitata in alcune espressioni estreme. La responsabilità è prima di tutto del Chief Executive, che ha ignorato gli appelli degli hongkonghesi e non è stato in grado di riconoscere i sentimenti. In secondo luogo, dobbiamo biasimare quei ministri e segretari che nei loro uffici e dipartimenti che avrebbero dovuto ascoltare e capire cosa stava accadendo. Non vi sono riusciti e hanno fallito. Le prime crepe sono cominciate ad emergere sotto l'amministrazione di Donald Tsang Yam-kuen e Tung Chee-hwa, ma il presente Chief Executive, Leung Chun-ying, li ha sorpassati sottomettendosi al volere di Pechino e degli interessi costituiti."
L'allargamento della forbice ricchi-poveri - di cui la marginalizzazione dei venditori ambulanti di Mong Kok è cartina di tornasole - domina l'elenco dei fattori di malcontento. Un malcontento che è arrivato a contagiare le forze dell'ordine, risentite dai limitati mezzi a disposizione per mantenere l'ordine pubblico davanti all'escalation del Capodanno cinese. Mentre la gravità dei fatti ha riaperto il dibattito sulla possibile (al momento smentita) introduzione di una legge anti-sovversione già presa al vaglio nel 2002 e bloccata l'anno successivo in seguito alle proteste in piazza di quanti vi intravedevano il rischio di un'ondata di repressione in stile tipicamente pechinese - il tutto accade a pochi mesi dalla revisione della Security Law cinese, che per la prima volta include anche Hong Kong e Macao stabilendo che "salvaguardare la sovranità e l'integrità territoriale della Cina è un obbligo comune di tutto il popolo cinese", regioni amministrative speciali comprese.
Proprio i cortei del 2003 sono stati presi ad esempio da Alex Lo, editorialista del South China Morning Post, per affermare la superiorità dei mezzi pacifici sulle rimostranze violente. Un pensiero condiviso non sono soltanto dai politici con il pallino della "stabilità a tutti i costi". E non è difficile capire perché. Quest'anno, durante le vacanze per il Capodanno cinese, il numero dei turisti in arrivo dalla Cina continentale ha registrato un calo su base annua del 10 per cento, mentre quello dei gruppi è sprofondato addirittura del 70 per cento. Allo stesso tempo, la sorte incerta in cui verte il modello "un Paese, due sistemi" -che durante le riforme anni '80 ha permesso a Pechino di beneficiare dell'impostazione capitalistica lasciatagli dall'amministrazione britannica proprio nel cortile di casa- rappresenta un altro fattore di preoccupazione per gli investitori. Anche per uno del calibro di Li Ka-shing. Da tempo l'uomo più ricco d'Asia (secondo il Bloomberg Billionaires Index 2014) si sta liberando a poco a poco dei propri asset in Cina e nel Porto Profumato. Mentre appena alcuni giorni fa, HSBC ha ufficializzato la volontà di mantenere il proprio quartier generale nella City di Londra, nonostante gli analisti abbiano pronosticato un risparmio di 14 miliardi di dollari in caso di trasferimento a Hong Kong.
(Pubblicato su Gli Italiani)
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