venerdì 30 maggio 2014

Il Dragone guarda all'energia marina


Con l'ambizioso obiettivo di raggiungere i 2000 megawatt entro il 2020, al momento la Gran Bretagna è il motore trainante del settore dell'energia marina a livello mondiale. La Cina la insegue con un progetto che ha, non a caso, 'proporzioni cinesi': una Grande Muraglia subacquea del costo di 30 miliardi di dollari, lunga 30 chilometri e con una potenza installata di 1 gigawatt. La struttura a forma di T, nel Mar Giallo, è dotata di turbine a pale che generano energia sfruttando le correnti di marea e progettate in modo da consentire alla fauna marina di nuotargli attorno senza rischi. Come scrive il 'Wall Street Journal', Pechino ha già speso 3 milioni di dollari in studi di fattibilità, ma i tempi di costruzione si aggirerebbero sui dieci anni, nonostante il piano abbia ricevuto il sostegno del Governo dell'Aia e di otto compagnie olandesi. Nel caso in cui andasse tutto per il verso giusto, l'impianto sarebbe in grado di fornire elettricità superiore a quella generata da 2 reattori nucleari di grandi dimensioni.

Non solo. La Cina sta anche lavorando in joint venture con la statunitense Lockheed Martin per sviluppare al largo della costa meridionale un impianto per la conversione dell'energia termica oceanica da 10 megawatt, che dovrebbe costare tra i 300 milioni e i 500 milioni di dollari. Funziona così: come, nella maggior parte dei sistemi OTEC (Ocean Thermal Energy Conversion) l'ammoniaca -che ha un basso punto di ebollizione- viene vaporizzata grazie all'acqua calda di superficie e utilizzata per mettere in moto una turbina. L'acqua fredda è utilizzata per raffreddare l'ammoniaca affinché ritorni liquida, cioè si condensi. Questo restituisce ammoniaca alla fase iniziale del ciclo e spinge il vapore attraverso la turbina (quando l'ammoniaca condensa si crea un vuoto) rendendo il ciclo più efficiente. Se l'energia così prodotta venisse poi usata per potenziare auto elettriche o produrre idrogeno, sarebbe sufficiente per eliminare 1,3 milioni di barili di petrolio all'anno e ridurre le emissioni legate al carbone di mezzo milione di tonnellate.

Il punto è proprio che, dopo trent'anni di crescita a tappe forzate, l'ex Impero Celeste oggi si ritrova avvolto quasi quotidianamente da una fitta coltre grigia a causa della sua dipendenza cronica dal carbone, il mezzo più economico e più facilmente reperibile di cui Pechino dispone per produrre energia. La Cina è ancora alle prime armi, ma le prospettive future rendono l'energia pelagica particolarmente 'ghiotta', sopratutto in virtù dei suoi 14500 chilometri di costa, a cui si aggiungono 6900 isole con superficie maggiore ai 500 metri quadrati. Il 1 aprile 2010, la Repubblica popolare ha emendato la Legge sull'Energia Rinnovabile, compiendo un 'grande balzo in avanti' nella ricerca e nello sviluppo delle rinnovabili. Nello stesso anno la capacità teorica di energia oceanica off-shore era superiore a 2750 gigawatt, tre volte la capacità elettrica installata nel 2009, si legge in un rapporto del PECC (Pacific Economic Cooperation Council). La capacità attualmente sviluppabile è concentrata per il 50% nella provincia meridionale del Zhejiang, che vanta 37 corsi d'acqua lungo la sua linea costiera, mentre Fujian e Liaoning messi insieme contano per un 42%. (Segue su L'Indro)

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