lunedì 30 ottobre 2017

In Cina e Asia



Xi jinping è ufficialmente lingxiu

La prima riunione plenaria del politburo si è conclusa con con l’ufficializzazione di Xi Jinping a leader, termine che in cinese può essere tradotto con il convenzionale lingdao o per l’appunto con il più “spirituale” lingxiu, onorificenza concessa soltanto a Mao (grande lingxiu) e al suo immediato successore Hua Guofen (saggio lingxiu). L’annuncio arriva a un anno dalla pubblicazione di un articolo del Peoples’ Tribune, affiliato al Quotidiano del Popolo, in cui si auspicava l’ascesa di un lingxiu in grado di riportare la Cina alla grandeur di un tempo. Il meeting di venerdì ha inoltre stabilito che la “leadership centralizzata e unita del comitato centrale” è il principio fondante del partito. Una mossa che spazza via decenni in cui a dominare sono stati i concetti di “leadership collettiva” e “centralismo democratico”. Enfatizzare la nomina di Xi a lingxiu viene citato come il principale obiettivo della propaganda nella promozione dello “spirito del Congresso”,

Il weekend ha anche sancito il passaggio del testimone ai vertici provinciali. Li Xi, boss del partito del Liaoning è stato messo a capo della fiorente regione del Guangdong al posto di Hu Chunhua, che verrà probabilmente promosso a vicepremier. Li Qiang, ex segretario del Jiangsu, è invece il nuovo leader di Shanghai, a sostituzione di Han Zheng, elevato nel comitato permanente del politburo, il ghota del potere. Li, considerato un liberale, appartiene alla cosiddetta New Zhijiang Army, una cerchia di funzionari cresciuti politicamente nel Zhejiang dove Xi Jinping è stato segretario dal 2003 al 2007. Cai Qi, boss di Pechino, e Chen Miner, recentemente posizionato al vertice di Chongqing, sono a loro volta membri dell”Armata” inseriti tra i 25 potenti del Politburo. Secondo gli esperti, almeno 10 delle new entry dell’ufficio politico avrebbero legami professionali o personali stretti con Xi.

Trump in Cina: più energia e meno hi-tech

Ci sarà molta energia al centro dell’imminente visita di Trump in Cina. Secondo una lista preliminare visionata dalla Reuters, la delegazione commerciale guidata dal segretario al Commercio Wilbur Ross — che affiancherà il presidente americano — vede una marginale partecipazione di aziende tecnologiche e finanziarie a vantaggio del comparto energetico e delle commodities. Una reticenza spiegabile alla luce delle investigazioni commerciali avviate da Washington contro Pechino e dalle recenti norme adottate dal governo cinese sull’archiviazione dei dati nel paese asiatico. La lista Reuters comprende Archer Daniels Midland Co (ADM), DowDuPont, GE, SolarReserve e Delfin Midstream, società che opera nel gas naturale liquefatto. Sarebbero ben dieci le compagnie energetiche pronte a fare i bagagli compresa Cheniere Energy Inc, la società che gestisce l’unico terminal per l’export di gnl di tutti gli Stati Uniti. Stando a fonti Bloomberg, la maggior parte degli accordi in corso di contrattazione assumeranno la forma di memorandum d’intesa. Tra questi ci sarebbe un piano d’investimento da diversi miliardi di dollari (e migliaia di nuovi posti di lavoro) di China Petroleum e Chemical Corp in Texas e nelle Virgin Islands. Se tutto andrà come sperato, una volta rimpatriato, Trump avrà dalla sua una serie di accordi a sostegno di quanto promesso in campagna elettorale: un ritorno di capitali negli Usa e nuovi posti di lavoro per gli americani.

Intanto, venerdì, le due superpotenze hanno raggiunto un’intesa sul riconoscimento delle reciproche misure di sicurezza per gli aeromobili.

Taiwan aumenterà la spesa militare


Taiwan aumenterà la sua spesa militare del 2% l’anno per colmare il divario con la Cina. Lo ha affermato questa mattina la leader filoindipendentista Tsai Ing-wen rispondendo alle preoccupazioni di James Moriarty, direttore dell’American Institute in Taiwan (AIT), davanti all’avanzata cinese. Tsai ha aggiunto che, nel caso in cui Taiwan acquistasse armi da un altro paese, la spesa per la difesa dell’isola potrebbe aumentare fino al 3% ogni anno o addirittura incrementare ulteriormente sulla base di un bilancio speciale in “caso di acquisti significativi”. L’annuncio acquista sostanza se si considerano location e contingenze temporali: Tsai si trova alle Hawaii — malgrado i ripetuti ammonimenti cinesi — per una pausa tecnica sulla strada che la porterà a visitare tre paesi alleati del Pacifico. E’ la seconda volta dall’inizio dell’anno che la presidente atterra su suolo americano. La scorsa settimana il ministro della difesa taiwanese Feng Shih-kuan ha rivelato che il prossimo mese funzionari militari di Taipei incontreranno la controparte americana per discutere l’acquisto di nuove armi, prima volta dall’insediamento di Tsai Ing-wen che l’isola sottopone all’attenzione di Washington la propria lista dei desiderata. Da parte cinese permane il sospetto che Taipei stia cercando di sfruttare l’ambiguità di Trump per cementare l’alleanza con Washington.

Xi Jinping potenzia il Fronte Unito

“Un’arma magica”. Così il Financial Times definisce il misterioso United Front Work Department del partito comunista cinese, l’ufficio incaricato di veicolare il soft power cinese nei rapporti una serie di interlocutori sensibili: organizzazioni religiose (compreso il Vaticano); minoranze etniche; Hong Kong, Macao e Taiwan; membri di altri partiti politici; nuove classi sociali. Xi lo ha definito cruciale nella realizzazione della “grande rinascita del popolo cinese” tanto che tra il 2014 e il 2015 ne ha potenziato lo status aggiungendo ex novo un dipartimento dedicato esclusivamente allo Xinjiang (la regione musulmana interessata da una serie di attacchi terroristici contro civili e stazioni di polizia) e ponendo i funzionari del Dipartimento in ruoli statali chiave. La lunga mano del Fronte Unito si percepisce sempre più all’estero dove Associazioni studentesche e di amicizia lavorano a livello locale per veicolare il messaggio politico di Pechino.

Pechino renderà il Xinjiang “la California di Cina”

Pechino sta testando nuove tecniche utilizzabili per la realizzazione di un tunnel idrico lungo 1000 km in grado di trasportare acqua dal Tibet all’arida provincia dello Xinjiang, come avvenuto all’inizio del 20esimo secolo in California. L’opera, che diventerebbe la più maestosa nel suo genere, prende le mosse da un progetto simile ma più contenuto (“solo” 600 km) lanciato ad agosto nello Yunnan con un budget stimato di 11 miliardi di dollari. Oltre ai costi esorbitanti, il progetto — vagheggiato fin dal 19esimo secolo — si scontra con le usuali resistenze del vicinato asiatico in materia di controllo delle acque. Il fiume in questione è il Yarlung Tsangpo, che lungo il suo corso finisce per nutrire altri corsi come il fiume Giallo, lo Yangtze, il Gange e il Mekong. La deviazione di 10–15 tonnellate d’acqua dall’altopiano tibetano al deserto del Taklamakan rischia di alterare l’approvvigionamento idrico in paesi quali India e Bangladesh, già indispettiti dal pallino per le dighe di Pechino.

Myanmar in strada per sostenere l’esercito


Domenica decine di migliaia di persone hanno manifestato per le strade in Yangon in sostegno dell’esercito birmano (Tatmadaw), additato dalla comunità internazionale come il principale responsabile della crisi umanitaria in cui verte lo stato Rakhine. Ad inizio settimana Rex Tillerson ha comunicato la propria preoccupazione per il trattamento cui è sottoposta la minoranza musulmana rohingya non riconosciuta formalmente dal governo birmano e tanto gli Usa quanto l’Ue avrebbero al vaglio sanzioni contro i militari. Ma a livello popolare il Tatmadaw, al potere per 50 anni, riscuote ancora largo sostegno. Sono in pochi a credere che i militari si siano realmente macchiati di stupri e altre violenze, mentre l’esercito è sempre stato visto come il difensore della stabilità, minacciata dall’incremento demografico dei musulmani. Secondo un diplomatico intervistato dal Guardian, “la mancanza di capacità governativa [di Aung San Suu Kyi] e la popolazione scarsamente educata aumentano il rischio che i militari, ancora l’unica istituzione veramente efficace, ritornino e siano ancora ben accolti in alcuni settori”.

(Pubblicato su China Files)

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