lunedì 27 gennaio 2014

Il ritorno alla terra


(Scritto per Asia Magazine/China Files)

"Quando si comincia a vendere la terra è la fine di una famiglia. Dalla terra siamo venuti, e alla terra dobbiamo tornare... Se conserverete la terra vivrete... Nessuno potrà mai portarvela via..."

Così il vecchio Wang Lung ammoniva i figli nelle battute conclusive del capolavoro "La buona terra", affresco sulla Cina rurale di inizio Novecento che valse a Pearl S. Buck il Premio Pulitzer nel 1931. La Buck, nata e cresciuta nel Celeste Impero, si è spenta nel '73 sull'altra sponda del Pacifico, perdendo per un soffio l'avvio delle riforme che avrebbero cambiato radicalmente il volto del Dragone.

Per il contadino cinese (nongmin) la terra rappresentava tutto: il benessere, l'unione con la famiglia, la tradizione, le virtù delle generazioni passate e le speranze di quelle future. Nel 1949, anno della fondazione della Repubblica popolare, l'80% dei membri del Partito era composto da contadini. Contemporaneamente alle riforme economiche fine anni '70, si ebbe un processo di proletarizzazione di massa innescato dalla migrazione forzata verso i centri urbani e dallo smantellamento del sistema delle comuni popolari, fino a quel momento autosufficienti nello sviluppo delle attività agricole, industriali e terziarie dei suoi abitanti.

Dall'inizio degli anni '80, milioni di lavoratori migranti si sono spostati dalle zone agricole verso le aree urbane in cerca di lavoro. Dove prima si estendeva la campagna sono state costruite le innumerevoli industrie che hanno valso alla Cina il titolo di "fabbrica del mondo". Il contadino di ieri è, in molti casi, l'operaio di oggi.

Nel 2011, mentre la popolazione urbana cinese superava per la prima volta quella rurale, il numero della manodopera migrante ha raggiunto le 250 milioni di unità. Di queste -secondo i dati dell'Istituto Nazionale di Statistica- soltanto il 10,5% ha ricevuto una formazione di tipo agricolo; il 26, 2% non ha conoscenza approfondita del settore e il 68,8% non ha seguito alcun genere di training professionale. E più giovane è il lavoratore, inferiore è la sua dimestichezza con zappa e aratro. "Questo cambiamento sociale è di fondamentale importanza perché la stessa infrastruttura agricola viene così distrutta. L'anello che collega l'uomo alla terra ereditato dagli antenati viene rotto" commenta l'agenzia di ricerca del Dragone.

A distanza di trent'anni, Pechino punta nuovamente sull'urbanizzazione. Allarmato dalla frenata dell'economia nazionale, lo scorso anno il governo cinese ha annunciato un piano colossale che, nella prossima decade, interesserà lo spostamento di 250 milioni di persone verso le città di seconda e terza fascia. Obiettivo: creare una nuova classe di consumatori in grado di alimentare la domanda interna, sopperendo al calo dell'export. Come fatto intendere più volte da fonti ufficiali, stavolta si tratterebbe di un'urbanizzazione "qualitativa" più che "quantitativa", che coniugata alla riforma dello hukou (il sistema di residenza che vincola i diritti dei cittadini al luogo d'origine) dovrebbe risolvere "i problemi di alloggio, istruzione, assistenza sanitaria e pensioni dei lavoratori rurali, concedendo loro lo stesso trattamento degli abitanti delle città". Non solo. Nei piani della leadership, la costruzione delle infrastrutture e la gestione delle varie attività relative all'urbanizzazione (vale a dire, la conduzione di scuole, ospedali, negozi...) darà un'occupazione ai cittadini in arrivo.

Secondo le proiezioni di Pechino, nel 2014 verranno creati altri 10 milioni di posti di lavoro; una misura con la quale la leadership spera di edulcorare gli animi dopo un'annata conclusasi con un tasso di disoccupazione del 4,1%, ma che, se si include il numero dei "lavoratori scoraggiati", ovvero di quanti hanno smesso di cercare un'impiego date le congiunture economiche avverse, potrebbe aggirarsi attorno al 9%.

Con 6,99 milioni di nuovi laureati, il 2013 si è rivelato un anno particolarmente duro per quanti si sono affacciati sul mercato del lavoro. Ma non per Chen e Du, una coppia di ventenni che -sfidando il "sogno urbano" del governo- appena conclusa l'università, lo scorso giugno, ha preso in affitto 1,5 ettari di terra coltivabile e ha avviato un'azienda di prodotti agricoli biologici. Con un investimento iniziale di 100mila yuan (poco più di 12mila euro) è possibile arrivare ad incassare un milione di yuan (122mila euro) alla fine del primo anno, racconta Chen sul forum d'attualità Club.kdnet.net. Il sistema è ancora poco noto, ma il ragazzo assicura che sono sufficienti sei mesi per padroneggiare le tecniche di coltivazione biologica australiana e fare un bel po' di soldi attraverso vari canali come il network marketing.

Ma non è stata solo l'allettante prospettiva economica a spingere la coppia a rivoluzionare la propria esistenza. "Se tutti i cinesi nati negli anni '80 e '90 abbandonassero la professione agricola, in futuro chi darebbe da mangiare alle persone?"

L'osservazione risulta un po' naive, ma il problema è concreto e ai piani alti sembrano saperlo bene. Basta dare un'occhiata al XII Piano Quinquennale (2011-2015) per notare i massicci investimenti destinati da Pechino alla robotica industriale e al settore delle macchine agricole. Quest'ultimo -secondo le stima ufficiali- crescerà dal 52% del 2012 al 60% del 2015, per poi lievitare dal 70% del 2020 all'82% del 2030. "L'aumento dei prezzi dei prodotti, del consumo di cibo, nonché del costo del lavoro, forniscono la principale spiegazione ai sussidi governativi nel comparto" spiega Jay Tang, analista con esperienza nel mercato dell'automazione.

Una prospettiva che non sembra comunque aver scoraggiato l'esercito di giovani adulti che, stufi di boccheggiare nella cappa di smog delle caotiche megalopoli cinesi, lasciano gli ormeggi per dirigersi in campagna. Chissà che l'agricoltura non offra maggiori chance rispetto ad un posto da colletto bianco, ora che proprio il settore impiegatizio risulta quello maggiormente colpito dalla crescente disoccupazione e i cui stipendi stanno registrando una crescita più lenta rispetto a quelli percepiti dalle tute blu.

Per molti viene ancora visto come un salto nel buio, ma in realtà la vita agreste, negli ultimi anni, sembra aver strappato alle città diversi talenti. Dong Liming, per esempio, dopo un dottorato in matematica è stata per un periodo alla direzione di ChinaAMC, una delle più importanti società cinesi di gestione del risparmio. Poi nel 2011 si è licenziata, ha lasciato Shanghai ed è tornata nello Shandong, sua provincia d'origine, per coltivare vegetali.

Zhou Yueya, invece, ha lavorato per nove anni nell'information technology, ma detestava i ritmi frenetici e i continui viaggi di lavoro. Così nel 2003 ha aperto una propria azienda agricola. All'inizio non è stato facile, racconta allo Shanghai Morning Post: oltre alla diffidenza di chi dubitava del pollice verde di un ex colletto bianco, si sono aggiunte le prime perdite economiche. Alla fine del 2004 la sua società era andata in rosso di 1,5 milioni di yuan (grossomodo 182mila yuan), una somma che comprendeva tutti i suoi risparmi più 500mila yuan (61mila euro) presi in prestito. Ma già a partire dal secondo anno l'azienda ha cominciato a fatturare in media oltre 1 milione di yuan al mese, e il suo vecchio stipendio da 250mila yuan (30mila euro) l'anno ora le sembra una miseria.

Nella piramide sociale il contadino si è sempre posto sull'ultimo gradino, e tutt'oggi viene spesso etichettato come rude e ignorante. Una sorta di cittadino di classe B, agli occhi dei beneducati cinesi urbanizzati. Eppure la scelta controtendenza di Chen, Du, Dong e Zhou si basa su una semplice constatazione: in Cina ci sono oltre 1,3 miliardi di bocche da sfamare. Bocche sempre più esigenti.

Guo Keijiang aveva raggiunto il punteggio più alto di tutta la provincia al gaokao (la maturità cinese), e si avviava verso una promettente carriera da banchiere presso la Industrial Bank di Pechino. Poi ha scelto di tornare al villaggio natio e avviare una eco-farm, tra le lacrime della madre che gli ricordava i sacrifici fatti per riuscire ad offrirgli un futuro nella capitale: "Ho lavorato i campi una vita per vedere mio figlio in città e lui improvvisamente mi dice che vuole tornare a casa per fare l'agricoltore. Ovviamente non sono d'accordo!"

Esaltati, invece, i compaesani che hanno ringraziato Guo per aver rivelato loro un tipo di coltivazione diverso da quello praticato per anni. Oltre alla preferenza per il "ritorno alle origini", infatti, ad accomunare quasi tutti i nuovi nongmin è la componente Bio. "Voglio capire se è veramente così difficile produrre delle verdure 'sicure'" ha spiegato Guo, il quale nella sua fattoria vieta severamente l'utilizzo di pesticidi e fertilizzanti.

Alla luce della lunga serie di scandali che ha funestato il mercato alimentare cinese, dal latte alla melamina al riso al cadmio, l'organic food comincia a riscuotere un certo successo, sopratutto nella fascia media. E' in particolare la nascente middle class urbana -che oggi costituisce il 10% della popolazione, ma che nel giro di alcuni anni potrebbe salire al 40%- a sentire l'esigenza di accompagnare il raggiunto benessere economico ad una maggior sicurezza a tavola.

Nel Regno di Mezzo il mercato dei prodotti biologici è quadruplicato nel giro di cinque anni, registrando una rapida crescita. Stando ai numeri di Biofach, leader nel settore, oggi si aggirerebbe sui 10 miliardi di yuan (all'incirca un miliardo di euro) e, sebbene la produzione e la vendita dell'organic food cinese sia stata inizialmente pensata per l'export, ormai la distribuzione avviene sempre più spesso entro i confini nazionali.

Attualmente, in Cina, circa 2 milioni di ettari di suolo sono destinati alla coltivazioni ecologica, mentre sarebbero grossomodo 1400 le aziende agricole biologiche certificate. Cifre che valgono al Dragone il terzo posto nella classifica mondiale per terreni agricoli organici (dopo Australia e Argentina) e che rinfrancano, considerato il recente annuncio del Ministero della Protezione Ambientale cinese: 3,3 milioni di ettari di terreni, un'area pari più o meno alla superficie del Belgio, risultano ormai troppo inquinati per la coltivazione. Ragione per la quale il Dragone, che è il primo produttore a livello globale di cotone, riso e carne di maiale, risulta anche essere il principale importatore al mondo di prodotti agricoli.

Ma, mentre il suolo viene intossicato dalle centrali elettriche a carbone e divorato dall'avanzare dei nuovi centri urbani, qualcuno ha trovato un modo per coltivare riso "incontaminato", pur vivendo in una città di 4 milioni di abitanti. Succede a Qilin, nella provincia orientale del Zhejiang. Peng Qiugen è un contadino senza terra -quella che aveva l'ha ceduta sette anni fa ad un'impresa di giardinaggio- disposto a fare qualsiasi professione in grado di migliorare lo standard di vita della sua famiglia, ma non per questo a sacrificare la propria passione per l'agricoltura. Così Peng ha lavorato per un periodo in fabbrica, sì, ma ha anche continuato a coltivare patate, riso, angurie e verdure di vario genere. Il tutto, comodamente, sul tetto di casa.



sabato 25 gennaio 2014

Pechino e la battaglia retorica contro la corruzione


(Domenica 26: Xu Zhiyong è stato condannato a 4 anni di carcere per il suo ruolo nell'organizzazione delle proteste anti-corruzione. Il legale Zhang Qingfang fa sapere che potrebbe ricorre in appello. Il verdetto è stato definito da Amnesty international "vergognoso")

Mentre a Pechino si teneva il processo a carico del leader del Movimento nuovi cittadini, nel resto del mondo cominciava a diffondersi l'ennesima inchiesta sulle ricchezze occulte degli inquilini di Zhongnanhai, il Cremlino cinese. 37mila cittadini di Cina, Taiwan e Hong Kong -tra i quali parenti stretti di pezzi grossi quali il presidente Xi Jinping, l'ex premier Wen Jiabao e il padre delle riforme Deng Xiaoping- avrebbero depositato i propri beni nei paradisi fiscali delle Isole Vergini britanniche, Samoa e altri atolli tropicali. Secondo alcune stime riportate dall'International Consortium of Investigative Journalism autore del China Leaks, dal 2000 a oggi, tra mille e 4 mila miliardi di dollari hanno lasciato il Paese facendo perdere le tracce.

Nulla di nuovo o illegale, a dire il vero. Molto era già stato portato allo scoperto dagli ottimi pezzi investigativi di Bloomberg e New York Times sulle famiglie di Xi Jinping, allora ancora vicepresidente, e dell'ex premier Wen Jiabao. Per quanto le inchieste facciano luce sul vincolo perverso che lega il mondo della politica "rossa" a quello del business, nessuna è finora riuscita a provare un'implicazione diretta dei leder cinesi negli affari di famiglia, che anzi, stando ad alcune fonti, avrebbero severamente condannato prendendo le distanze. Proprio pochi giorni prima delle ultime rivelazioni, Wen aveva respinto le accuse di corruzione e abuso di potere dichiarandosi "pulito" in una lettera inviata a un noto editorialista del Ming Pao di Hong Kong.

Per quanto riguarda i conti offshore, la stessa Xinhua nel 2005 aveva riconosciuto che, delle 80mila società registrate alle Virgin Islands, 20mila erano cinesi. E già nel 2012, prima ancora di pubblicare le indagini su Xi, Bloomberg aveva scoperchiato i torbidi affari della famiglia dell'ex segretario di Chongqing, Bo Xilai, nel settore delle energie alternative a Hong Kong. Proprio mentre la grancassa della propaganda accompagnava la sua clamorosa caduta dall'Olimpo dipingendolo come un corrottissimo. Non certo l'unico però.

La portata epidemica del fenomeno della corruzione in Cina è stata riconosciuta apertamente da Xi Jinping appena assunto l'incarico di Segretario generale del Partito, all'indomani del Diciottesimo Congresso. Da allora il nuovo numero uno ha dichiarato guerra a "mosche" e "tigri" (ovvero, quadri e alti funzionari) mietendo diverse vittime tra i colossi statali del petrolio e delle telecomunicazioni. La campagna di pulizia prevede la partecipazione dei cittadini, che attraverso il sito web ufficiale della Commissione Centrale per la Disciplina e il Controllo, sono invitati a suggerire i casi sospetti.
Pare che, soltanto nel 2013, siano stati recapitate 1,95 milioni segnalazioni da parte di whistleblower su presunti episodi di corruzione.

Eppure non sempre le soffiate sul web sono state accolte con favore da parte di Pechino, che in molte situazioni si presenta come un Giano bifronte agli occhi del popolo, alternando segni di apertura alla repressione più serrata. Così se per una soffiata dell'editorialista di Caijin, Liu Chanping, una tigre è finita in gabbia (Liu Tienan, ex-vice direttore della Commissione nazionale per le Riforme e lo Sviluppo) allo stesso tempo il giornalista Liu Hu è finito in manette con l'accusa di "creare e diffondere dicerie" sul suo microblog per aver invitato le autorità ad indagare sull'operato di Ma Zhengqi, vicedirettore dell'Amministrazione Statale per l'Industria e per il Commercio. Due casi che esemplificano al meglio la schizofrenia di cui soffre il regime cinese.

E qui si ritorna al Movimento nuovi cittadini e al processo del suo padre fondatore Xu Zhiyong, attivista anti-corruzione ben noto a Pechino. Una precisazione: Xu non è una testa calda. Anzi, "è stato ed è tutt'ora accusato dagli altri attivisti di essere eccessivamente moderato" racconta Nicholas Bequelin di Human Right Watch. Già finito agli arresti nel 2009 per sospetta evasione, poi rilasciato dopo un mese sotto le pressioni della comunità internazionale, mercoledì ha dovuto rispondere dell'accusa di "assembramento in luogo pubblico finalizzato al disturbo dell'ordine". Lo scorso anno la sua organizzazione aveva pubblicato un documento in cui venivano chieste uguaglianza nell'accesso all'educazione e alla sanità per tutti i cittadini, nonché una maggiore trasparenza da parte del governo, sopratutto proprio per quanto riguarda la pubblicazione dei patrimoni dei funzionari. Questioni sulle quali a Zhongnanhai si parla da tempo e che apparentemente sembrano essere in linea con la lotta alla corruzione di Xi Jinping e alcune delle riforme introdotte durante il Terzo Plenum. Sembrano, appunto.

Nel 2003 la Cina ha firmato (e ratificato nel 2006) la Convenzione delle Nazioni Unite contro la Corruzione (UNCAC), la quale all'articolo 52.5 stabilisce che i suoi aderenti "devono considerare la creazione" di sistemi informativi sulle finanze dei funzionari e di sanzioni appropriate in caso di inosservanza. Lo scorso maggio in un distretto di Chongqing 128 funzionari freschi di nomina hanno dichiarato il valore di tutti i loro assets (macchine, appartamenti e depositi bancari) in un progetto pilota volto ad incrementare la credibilità dei politici cinesi. I numeri sono stati stampati e appesi fuori dal posto di lavoro. Ma il China Daily ricorda anche che nel 2009 una simile iniziativa era stata adottata nella città di Altay, provincia dello Xinjiang, e archiviata quasi immediatamente dopo la sollevazione del 70% dei funzionari locali (solo il 10% si era dichiarato d'accordo). A dimostrare come nei ranghi del Partito vi sia ancora una forte resistenza da parte dei gruppi d'interesse.

Quello di Xu Zhiyong è stato definito il processo più importante a carico di un attivista cinese dai tempi di Liu Xiaobo, il premio Nobel per la pace in carcere dal 2009 per aver promosso un manifesto (la Charta 08) che sosteneva la necessità di riforme democratiche nel sistema politico, così come nella difesa dei diritti umani. In tutto pare siano almeno 20 i dissidenti presi in custodia nell'ambito della campagna per la pubblicazione delle ricchezze dei leader, anche se non tutti fanno parte del New Citizens' Movement.

Mercoledì la tensione palpabile fuori dall'aula del tribunale ha colto di sorpresa anche i giornalisti più esperti, brutalmente allontanati dalle forze dell'ordine. Già la settimana scorsa l'avvocato di Xu aveva pronosticato un processo opaco e in disaccordo con i regolamenti della Repubblica Popolare. Zhao Changqing e Hou Xin, gli altri due attivisti del Movimento messi alla sbarra in settimana con la stessa accusa, sono stati processati indipendentemente in violazione della legge che prevederebbe che gli imputati nell'ambito di un unico caso vengano ascoltati dallo stesso giudice. Inoltre le autorità hanno impedito ai testimoni e ai coimputati di intervenire, una procedura giuridica sulla quale di recente si era espressa positivamente anche la Corte Suprema del Popolo, mentre ad alcuni diplomatici dell'Unione europea è stato permesso di entrare nel tribunale ma non di presenziare all'udienza.

Si tratta di irregolarità che stridono ancora una volta con i buoni propositi di Xi Jinping, il quale nel corso dello scorso anno ha più volte sottolineato l'esigenza di rendere la giustizia "imparziale". Ragione per la quale Xu ha deciso di protestare mantenendo il silenzio, fatta eccezione per gli ultimi dieci minuti del processo in cui ha cercato di spiegare i principi su quali si basa il New Citizens' Movement. Un discorso che sarebbe dovuto durare 50 minuti, ma che è stato interrotto dalle autorità dopo i primi 10. La sentenza verrà resa nota domani, come preannunciato al suo legale ancora prima dell'inizio dell'udienza. Nella peggiore delle ipotesi, Xu potrebbe scontare 5 anni di prigione.

Intanto nella giornata di venerdì a Guangzhou, nel sud del Paese, un altro dissidente è stato processato per "sovversione dell'ordine pubblico". Liu Yuandong fondatore del movimento Southern Street, si era battuto per l'abolizione del sistema a partito unico che vede il Pcc detenere il monopolio politico. La sua organizzazione aveva manifestato al fianco dei giornalisti del Southern Weekly durante lo sciopero messo in atto all'inizio dello scorso anno in risposta alla censura di un editoriale a favore del costituzionalismo.

Il giro di vite ai danni di questi piccoli gruppi nati in seno alla società civile cinese per la tutela dei diritti (weiquan) e l'interesse pubblico (gongyi) mostrano l'atteggiamento intransigente di Pechino verso la formazione di movimenti organizzati, avvertiti come una minaccia per lo status quo. Insomma, come insegnava Deng Xiaoping: "Occorre strappare l'erba cattiva quando è ancora in germoglio".

(Per qualche osservazione in più: Xu Zhiyong un estremista democratico)

mercoledì 22 gennaio 2014

Da Chongqing a Singapore: le Società nere diventano "rosa"


(Scritto per Uno sguardo al femminile di febbraio)

14 ottobre 2009: Il volto impassibile non lasciava trasparire alcuna emozione. Avvolta nella tipico giubbotto arancione dei detenuti, Xie Caiping veniva condotta fuori dalla Quinta Corte Intermedia del Popolo scortata da due guardie. Il 3 novembre una controversa sentenza ha drasticamente fine a una delle carriere più brillanti del panorama criminale di Chongqing, megalopoli della Cina centro-meridionale. Una carriera da 2 milioni di yuan (243mila euro) che è valsa a Lady Mafia un posto nella top ten dei "boss più infami di sempre" stilata dal Time, di cui è anche l'unica donna.

Oggi Xie sta ancora scontando diciotto anni di carcere con le accuse di "gioco d'azzardo, associazione mafiosa, sequestro di persona, corruzione e di aver dato protezione e rifugio ai consumatori di droga". Attività, queste, che aveva portato avanti dal settembre 2004 con la connivenza delle autorità per via della sua parentela con il capo della polizia Wen Qiang, protettore delle gang locali per circa un decennio. Non è certo un caso che nel 2000 fosse riuscita a fuggire da una delle sue innumerevoli bische con una valigetta piena di soldi, soltanto dieci minuti prima che le forze dell'ordine facessero irruzione. Alcuni anni dopo uno sfortunato poliziotto, pizzicato a ficcare il naso dove non doveva, fu picchiato fino a perdere i sensi, infilato in una sacca e scaricato in campagna.

Gli affari sono andati a gonfie vele fino a quando, nel 2007, l'amministrazione della città non è passata nelle mani di Bo Xilai, politico dai natali illustri caduto in disgrazia, ma al tempo ancora in rapida ascesa verso i vertici del Partito. Due i capisaldi della strategia da lui messa in campo per guadagnarsi le simpatie del popolo: il revival maoista e la lotta alla mafia, come riassume lo slogan "canta il rosso e picchia il nero". Da quel momento in poi, Chongqing, anche nota come la Gotham City d'Oriente per l'alto tasso di criminalità, venne squassata da una maxi campagna anti-corruzione nelle cui maglie finirono 9mila persone. Veri malavitosi o semplici nemici politici di Bo. Tra questi anche Xie e Wen, condannato a morte nel luglio 2010 "per stupro, aver coperto bande criminali e per aver intascato tangenti per 12 milioni di yuan (1,4 milioni di euro)". Il bottino è stato ritrovato seppellito sotto uno stagno.

Al tempo dell'arresto la stampa cinese non risparmiò dettagli sulla vita lasciva condotta da Lady Mafia. Xie aveva ville lussuose e 16 giovani amanti, oltre ad un favorito di vent'anni meno a farle da autista e braccio destro nella gestione dei casinò illegali. Un atteggiamento sopra le righe che ha mantenuto persino alla sbarra, quel 14 ottobre, quando il giudice la bacchettò per via del suo linguaggio troppo scurrile. Fuori dal tribunale, ad attendere con impazienza l'esito del processo, c'erano diverse vecchie conoscenze. Come Chen Yaling, percossa da una banda di delinquenti dopo aver rifiutato la richiesta di un poliziotto corrotto di trasformare la propria sala da tè in una casa da gioco. La sentenza a 18 anni quel giorno lasciò l'amaro in bocca a quanti aspettavano da anni vendetta.

7 Dicembre 2011: Siamo ancora a Chongqing. Un'iniezione letale mette fine alla vita di Wang Ziqi, leader spietata di un giro di prostituzione che, tra il 1994 e il 2009, ha visto implicate oltre 300 donne. Le ragazze che si rifiutavano di lavorare per Wang subivano pestaggi, minacce e venivano private dei documenti d'identità e di ogni bene. Alcune, dopo essere state sottoposte a lunghi periodi di isolamento, hanno perso il senno. Sette sono morte in circostanze sospette. Una è rimasta paralizzata dopo aver tentato il suicidio buttandosi dall'ottavo piano di una case da tè. Wang non operava da sola, ma con l'appoggio della sorella, Wang Wanning, e sotto la protezione del suo influente amante: quel Wen Qiang, cognato di Xie Caiping e capo della polizia di Chongqing.

Xie e Wang rappresentano dei casi abbastanza insoliti nel panorama malavitoso della Repubblica popolare. Normalmente nella mafia cinese la donna ricopre il ruolo della vittima; risucchiata nel traffico di esseri umani o venduta come merce nei bordelli. Un topos che è stato ripreso in Shanghai Triad, pellicola del 1995 diretta da Zhang Yimou, che (tra lusso e atrocità) insiste sugli intrighi e la condizione femminile già visti in Lanterne rosse. Negli ultimi trentanni, episodi in cui giovani ragazze cinesi sono state condannate a morte per crimini commessi sotto costrizione di un uomo o in situazioni di disperazione hanno conquistato l'attenzione dell'opinione pubblica.

In generale, come evidenzia il noto giurista Giovanni Fiandaca in Women and the Mafia: Female Roles in Organized Crime Structures, spesso il ruolo della donna nei gangli mafiosi nasce da vincoli di tipo famigliare: mogli, sorelle, fidanzate di gangster ricevono compiti anche di notevole importanza pur di mantenere le varie attività criminali tra parenti. La figura maschile tende comunque ad esercitare sempre un forte potere di controllo sugli elementi femminili che, d'altra parte, per via della loro insospettabilità si sono spesso rivelati l'asso nella manica di molte bande malavitose. Stereotipi consolidati che associano la criminalità alla mascolinità hanno finito per regalare alle donne una sorta di immunità davanti alla giustizia. Così che nella maggior parte dei casi vengono ritenute soggetti passivi o addirittura vittime degli uomini del clan, pur essendo delle vere e proprie delinquenti.

E' capitato che, in alcuni periodi di crisi -come avvenuto in Brasile, Argentina e Giappone-, le donne abbiano assunto le redini di organizzazioni criminali, ma è difficile dire se l'ascesa "rosa" rilevata in queste circostanze sia da attribuire all'assenza di uomini capaci o se sia, invece, dovuta all'effettiva "pericolosità" di queste donne. Piuttosto sembra che la progressiva scalata della donna da posizioni accessorie a ruoli più attivi sia da inquadrare in una prospettiva allargata di emancipazione e rivalsa femminile che interessa tutto il contesto sociale in cui una determinata organizzazione opera.

Il ruolo duale (un po' vittima e un po' carnefice) della donna nelle Società nere lo ritroviamo nell'ambito della diaspora cinese. All'inizio del Novecento la scarsità di donne cinesi in America rese possibile la creazione di un losco traffico con l'Impero Celeste, dove giovani ragazze venivano rapite o vendute dalle famiglie in difficoltà ai mercanti che le portavano negli Stati Uniti per avviarle alla prostituzione. Si pensi che, fino al 1910, in California, il rapporto tra maschi e femmine cinesi era di dieci ad uno. Ma l’arrivo delle donne finì per innescare anche le prime guerre tra le varie società segrete clandestine sino-americane (tong). La prima disputa con grossi problemi d’ordine pubblico scoppiò proprio per via di un contenzioso su una prostituta tra membri di tong differenti. Sebbene fossero ricorrenti anche controversie per debiti di gioco e per questioni territoriali, le più gravi furono sempre quelle relative alle sing-song girl. Per togliere una ragazza dal giro della prostituzione era necessario riscattarla, ma colui che se ne innamorava generalmente non aveva soldi a sufficienza per farlo e si trovava così costretto a rivolgersi alle organizzazioni illegali.

Il problema principale incontrato da chi lasciava la mainland per costruirsi una vita oltreconfine era trovare un'occupazione. Questo rendeva gli immigrati, sopratutto quelli sbarcati nel Sud-Est asiatico, facili prede della malavita locale che offriva loro lavoro. E' quanto accaduto alla periferia di Singapore, dove gang giovanili si sono formate nel tentativo di sopperire ai bisogno delle comunità emarginate e ignorate dalla autorità. Si stima che nel 1954 nella città Stato vi fossero 368 società segrete per oltre 20000 membri.

Una di queste, attiva tra gli anni '60 e '70 era la Ang Hor Tiap, nota anche come Red Butterfly, unica gang di Singapore interamente al femminile. Come riporta lo Strait Times in un articolo del 1986, a farne parte erano sopratutto ragazze ventenni del cabaret, cameriere e hostess, tutte riconoscibile per le farfalle colorate tatuate in parti del corpo nascoste che rivelavano come avvertimento solo quando entravano in azione. Molte avevano aderito alla banda perché il loro ragazzo faceva a sua volta parte della malavita locale. "Erano molto maliziose e selvagge", spesso venivano coinvolte in combattimenti, estorsioni e aggressioni. Utilizzavano cinture per legare le vittime e indossavano un anello con una pietra estraibile come arma segreta. La loro tecnica di reclutamento era semplice: "unitevi a noi o vi sfregeremo corpo e viso". La cerimonia di iniziazione richiamava quella delle triadi dell'ex Celeste Impero: bevevano il sangue di un gallo e si ferivano per mischiare tra di loro il proprio sangue e diventare così "sorelle". Queste gang "rosa" avevano, sopratutto all'inizio, lo scopo di proteggere le ragazze che lavoravano nei bar e nei night club. Amavano ritrovarsi a Clifford Pier, Eu Tong Sen Road, Jalan Besar, Tanjong Katong, Geylang e nei pressi di Capitol Theatre.


mercoledì 15 gennaio 2014

Prostituzione minorile. L'attesa svolta legale


(Pubblicato su China Files)

Saranno processati per stupro i due quarantenni colpevoli lo scorso luglio di aver pagato una bambina di 13 anni in cambio di prestazioni sessuali. Lo ha deciso la corte di Qionglai, cittadina del Sichuan, come riportato dal Chengdu Business News il 3 gennaio. La data del processo non è ancora stata fissata.

Secondo i pubblici ministeri, la giovane sarebbe stata indotta a prostituirsi con l'inganno e senza possibilità di fuga a causa dei controlli ai quali era costantemente sottoposta. Quanto ai due uomini (agli arresti da agosto), il fatto di essere a conoscenza dell'età della ragazzina -rivelata da lei stessa al momento dell'incontro- costituisce un'aggravante sufficiente a motivare l'accusa di stupro.

La notizia battuta dal giornale di Chengdu è stata ripubblicata su un centinaio di siti web, innescando un acceso dibattito tra gli internauti cinesi. La società internet NetEase ha rilevato la partecipazione di quasi 20mila persone attraverso thread di commento, soltanto tra il 3 e il 4 gennaio.

Il caso della piccola Xiao Lan rappresenta una pietra miliare per la giustizia cinese, lasciando sperare in una migliore protezione dei minori. In passato episodi simili si sono conclusi con una pena tra i cinque e i quindici anni di carcere, termine previsto per chi "induce minorenni ad avere rapporti sessuali"; un reato introdotto con l'emendamento del codice penale, nel 1997, e accolto dalle critiche di quanti ne ravvisano la causa dell'aumento degli episodi di violenza. Di contro, lo stupro prevede, nelle fattispecie più gravi, l'ergastolo o la pena di morte.

Il nodo gordiano consiste nella distinzione di trattamento a seconda che la minorenne sia una prostituta o meno. Ma può una ragazzina di 13 anni avere la maturità per scegliere consapevolmente di vendere il proprio corpo? Con il montare dell'indignazione generale per una serie di abusi che hanno visto protagonisti funzionari e ricchi imprenditori, ai primi di dicembre la Corte Suprema del Popolo ha sollecitato l'abolizione del discusso articolo 360 del codice penale sulla prostituzione sotto i 14 anni, incontrando le forti riserve dell'Assemblea Nazionale del Popolo, il parlamento del Dragone.

Alla fine di ottobre il massimo tribunale cinese, il Procuratorato Supremo del Popolo, con i ministeri della Sicurezza Pubblica e della Giustizia, hanno emesso congiuntamente una lunga interpretazione giudiziale per cercare di implementare la tutela dei minori e fare chiarezza nell'ambiente giudiziario dopo l'emissione, a livello locale, di sentenze contraddittorie.

Secondo la nuova interpretazione, chi viene accusato di aver avuto rapporti con una bambina sotto i 12 anni non potrà più avanzare come pretesto il fatto di non sapere che questa fosse minorenne, una circostanza in passato spesso valutata come attenuante al momento della sentenza. "Questo farà sì che la maggior parte dei casi in cui sono coinvolte giovani tra i 12 e i 14 anni verranno trattati come casi di stupro, salvo 'circostanze eccezionali'", ha spiegato al Legal Daily Xue Shulan, giudice della Corte Suprema del Popolo.

Ma -per i critici- la clausola delle "circostanze eccezionali" potrebbero fare da salvagente ai clienti più facoltosi desiderosi di sfuggire alla condanna. Inoltre l'introduzione della soglia dei 12 anni ha indotto molti a temere che il governo stia tentando di abbassare l'età entro la quale viene garantita una "protezione assoluta". Anche per il codice penale cinese, l'età del consenso è fissata a 14 anni.

Gli esperti avvertono: il problema non è tanto nell'applicazione della legge quanto nella legge stessa. "C'è ancora dissenso circa il limite d'età più giusto e si sta cercando un compromesso; questo è l'errore" ha raccontato tempo fa al South China Morning Post Lu Xiaoquan, avvocato presso il Beijing Zhongze Legal Advice Centre for Women.

Un passato costellato di episodi riprovevoli, fino ad oggi, non sembra essere ancora essere riuscito a sbloccare l'impasse in cui vertono i legislatori cinesi.

Nel 2009 oltre dodici ragazze tra i 13 e i 18 anni sono state obbligate ad avere rapporti sessuali a Xishui, città nel sud-ovest del Paese. Le giovani erano state intimidite da altri due adolescenti e tenute a casa di una donna, dove sono state costrette a ricevere i clienti, tra cui un insegnante e diversi funzionari pubblici.

"Nonostante il rapido arresto degli organizzatori del giro di baby prostitute, ai clienti è stata comminata la pena detentiva minima, oltre a una multa di 2.000-5.000 yuan (300-600 euro circa) perché l’attuale legge penale del Paese non definisce questo crimine come violenza sessuale su minore. Al contrario specifica che, se c’è uno scambio di denaro, il caso dovrebbe essere classificato come 'induzione alla prostituzione minorile'", si legge sul sito di China Radio International.

Dopo un fallito insabbiamento da parte delle autorità locali, la storia ottenne risonanza nazionale grazie alla rete internet. Oltre mille persone, provenienti da ogni provincia del Paese, si radunarono fuori dal tribunale per protestare contro l'opacità delle istituzioni giudiziarie. Oggi il caso di Xiao Lan potrebbe rappresentare una svolta esemplare per la giustizia cinese.



mercoledì 8 gennaio 2014

Il NYT diventa cinese?


I dirigenti del New York Times non l'hanno nemmeno voluto vedere. Il viaggio nella Grande Mela, che avrebbe dovuto suggellare l'acquisto del noto quotidiano da parte del filantropo cinese Chen Guangbiao, si è concluso (per ora) con un buco nell'acqua. "Il livello di difficoltà [dell'affare] è alto" ha commentato Chen martedì attraverso un interprete. Intervistato dal Wall Street Journal, il businessman ha reiterato quanto promesso nei giorni passati; ovvero di voler comprare una società "con influenza a livello mondiale" nel campo dell'informazione.

Già in precedenza il colorato imprenditore -spesso immortalato in un completo verde mela- aveva fatto sapere di aver puntato il Wall Street Journal, in caso non dovesse venire raggiunto un accordo con la famiglia Sulzberger, che da oltre un secolo è proprietaria del Times. Chen ha ammesso di conoscere molto poco le modalità attraverso le quali operano i media sull'altra sponda del Pacifico. Ma ha anche aggiunto di voler "riferire come i ricchi possono aiutare i poveri", mostrando la volontà di perseverare nel suo obiettivo, meglio se affiancato da un imprenditore americano. Per le cose in cui crede investirà ogni bene, fino all'ultimo centesimo di quegli 810 milioni di dollari guadagnati riciclando materiali da costruzione: "sono venuto al mondo nudo e nudo morirò. Manterrò la promessa", ha dichiarato Chen, che i primi anni della sua vita li ha trascorsi in un villaggio del Jiangsu tra mille difficoltà.

Dopo le donazioni alle popolazioni colpite dai disastri naturali di Cina, Giappone e Pakistan; dopo aver venduto lattine di aria fresca ai connazionali soffocati dallo smog che avviluppa le città della Repubblica Popolare -e dopo molte altre stramberie rilanciate dalla stampa internazionale- l'ultima impresa di Chen si inserisce perfettamente nella visione del giornalismo patriottico del presidente Xi jinping. Il mondo conosce una Cina distorta, così come viene dipinta dalla stampa a stelle e strisce. C'è bisogno che qualcuno la racconti per bene -come la vuole il suo leader-: da grande potenza. Proprio in occasione del discorso per il Nuovo Anno, Xi aveva ricordato "ai media, ai gruppi e agli individui" che i loro sforzi sono necessari per "la costruzione di un'immagine nazionale della Cina."

Il denaro sembra essere per molti il motore trainante di questa rinascita mediatica. "C'è la convinzione emergente nella società cinese che se non ci piace il loro (dei media stranieri, ndr) punto di vista, allora dobbiamo comprarli",  ha commentato Jiang Ying docente dell'Università di Adelaide.
Non è la prima volta che i cinesi mettono gli occhi su un importante organo d'informazione Usa. Già alcuni anni fa il Southern Newspaper Media Group, media outlet con sede a Canton tra i più liberali della Cina, aveva puntato il Newsweek invano.

C'è una buona dose di orgoglio (quando non arroganza) in quel paese che nel giro di mezzo secolo ha attraversato ad ampie falcate gli anni della Grande Carestia e della Rivoluzione Culturale, arrivando a tallonare la prima economia globale. Quella stessa sicurezza ha spinto Pechino a giocare fino all'ultimo con i visti dei corrispondenti di Bloomberg e New York Times. Le due testate, responsabili di spinose inchieste sulle ricchezze dei leader cinesi, hanno rischiato di vedere i loro uffici nel Regno di Mezzo chiudere i battenti. Di oggi la notizia che il sito in lingua inglese del Guardian non risulta più consultabile all'interno della Repubblica Popolare, per ragioni non ancora chiare.

"I giornalisti stranieri ormai non hanno più lo scopo di raccontare una grandezza che è già stata raggiunta, ma diventano i corollari di una presenza occidentale che se è per business, viene sopportata, se è per informare, diventa un ostacolo (agli occhi dei cinesi)," scriveva tempo fa su East Simone Pieranni di China Files.

Ma, per quanto l'impresa di Chen Guangbiao dovrebbe essere motivo d'orgoglio nazionale, pare che invece nemmeno la stampa più oltranzista dell'ex Impero Celeste riponga grande fiducia in lui. Mentre ieri il quotidiano-bulldozer Global Times definiva l'acquisizione del New York Times "un'illusione", oggi l'agenzia di stampa ufficiale Xinhua si è focalizzata su un aspetto del viaggio di Chen ben poco inerente al mondo degli affari. In conferenza stampa il filantropo cinese ha annunciato di aver pagato personalmente le spese e gli interventi chirurgici per due praticanti della Falun Gong, la setta spirituale messa al bando da Pechino nel 1999. Madre e figlia, immolatesi nel 2001 in piazza Tian'anmen, sono ora ricoverate in un ospedale della Grande Mela per dei trattamenti estremamente delicati. Un'opera pia che a Chen costerà oltre 2 milioni di dollari. 

(Pubblicato il 5 gennaio)
Segue la traduzione di un articolo riassuntivo dei fatti pubblicato questa mattina dal Xinjing Bao.

"L'acquisto viene prima di tutto, presto partirò per New York!" La mattina del 3 gennaio l'imprenditore cinese Chen Guangbiao ha postato su Weibo il biglietto aereo per New York, annunciando di essere ufficialmente sul piede di partenza verso gli States dove verranno avviate le trattative per l'acquisizione del New York Times. A questo proposito il prestigioso giornale non ha rilasciato alcun nuovo commento, sebbene in precedenza avesse detto di non aver preso in considerazione alcuna vendita.
L'annuncio dell'acquisto, che ha suscitato grande clamore, era stato fatto da Chen prima dell'inizio del nuovo anno, in occasione di un evento da lui presieduto. In un articolo pubblicato sulla stampa cinese egli aveva detto che "pure di comprare il New York Times, non esiterò a spendere tutte le mie ricchezze". Accettata un'intervista dai media britannici Chen ha poi aggiunto che "tutto è acquistabile, basta trovare un prezzo giusto".
Al momento il giornale ha un valore di mercato di circa 2,4 miliardi di dollari, ma il businessman cinese ha dichiarato che potrebbe riuscire a comprarlo per 1 miliardo. Pare che Chen abbia già trovato un socio di Hong Kong -che ha chiesto di rimanere anonimo- in grado di investire nell'affare 600 milioni di dollari. Chen ha rivelato che il 5 gennaio incontrerà un azionista di riferimento nella Grande Mela per ultimare l'acquisizione.
Il New York Times, da parte sua, ha smentito tutto riportando le parole della portavoce Irene Murphy: "Non abbiamo mai sentito parlare di questo incontro". Allo steso tempo viene ripresa un'affermazione fatta dallo storico editore Arthur Sulzberger nel 2003, quando questi disse che la famiglia che controlla il quotidiano non aveva alcuna intenzione di vendere l'azienda.

Punti chiave della vicenda:
La prima volta che Chen ha pensato di comprare il New York Times è stato quando ha pubblicato sul giornale un pezzo in cui sosteneva la sovranità della Cina sulle isole Diaoyu.
"Per tradizione e stile il Times difficilmente può avere una posizione obiettiva sulla Cina. Nel caso in cui riuscissimo a comprarlo, potremmo cercare di cambiare questo tipo di approccio." 

Nel caso in cui l'affare non andasse in porto, punterà a qualche altra società
"Negli affari bisogna essere pronti alla vittoria così come alla sconfitta. L'importante è portare avanti le trattative con onestà e convinzione. Una volta dissi che tutto è comprabile ad un giusto prezzo. Negli ultimi anni le entrate pubblicitarie del giornale sono state tutt'altro che buone, per questo sono piuttosto fiducioso in questa acquisizione. Ma se dovesse andare male, cercherò un altro giornale americano di buona reputazione e con un forte influenza mediatica." 

In caso di successo avvierà grandi riforme
"Se riuscirò a comprare il New York Times avvierò alcune riforme necessarie. L'obiettivo finale è quello di implementare la veridicità e l'oggettività del quotidiano per rimodellarne la credibilità e l'influenza."

Chen non scherza
"Sembra uno scherzo, ma non è una cosa impossibile. Al tempo delle riforme e dell'apertura, in questo antico paese -in cui la gente lottava per raggiungere un sogno- abbiamo prima dovuto creare un varco nelle acque profonde della mente ed esplorare con coraggio e innovatività. Mi piacciono le cose curiose ma non gli inganni. L'acquisto del New York Times è tutt'altro che una barzelletta."

“行动高于一切,我马上要登机飞纽约了!”1月3日上午,中国企业家陈光标在其个人微博上晒出了飞往纽约的机票,表示已正式踏上赴美洽谈收购《纽约时报》的行程。《纽约时报》对此没有最新置评,但此前他们表示公司无意出售。
  新年前陈光标在出席活动时表示,他将收购《纽约时报》,一时引发舆论热议。他在中国媒体上撰文表示,“只要能收购《纽约时报》,我会毫不犹豫倾尽家产。”
  而在接受一家英国媒体采访时,陈光标说道,“只要价格合适,没有什么买不到。”
  按当前股价计算,纽约时报公司市值约为24亿美元。陈光标则称,他认为收购所需资金约10亿美元。他已说服一名不愿透露身份的香港老板投入6亿美元。
  陈光标透露,1月5日他将在纽约与一名“主要的股东”见面,洽谈收购事宜。
  《纽约时报》对此事进行了报道,同时援引该报女发言人艾琳-墨菲的话表示:“我们没有听说过此类会面。”
  《纽约时报》同时在报道中称,其出版人小阿瑟·苏兹伯格曾在2013年表示《纽约时报》的控股家族无意出售该公司。(高美)
  ■ 节选
  陈光标昨日在中国媒体上撰文表示,“只要能收购《纽约时报》,我会毫不犹豫倾尽家产。”
  第一次萌生收购念头
  我第一次在《纽约时报》刊登广告,声明中国对钓鱼岛的主权时,就萌生了收购这家报纸的念头。
  ……《纽约时报》的传统和作风,让他们很难对中国作出客观公正的新闻报道和评论分析。倘若我们能收购它,则可以推动其风气发生改变。
  如交易破裂将另寻一家
  既然是收购,成功和失败就都有可能,需要的是坦诚沟通和艰苦谈判。我也曾说过,只要价格合适,没有什么买不到。
  ……《纽约时报》近年广告收入并不十分理想……所以我对此次收购还是充满信心。如交易破裂,我会在美国寻找另一家信誉良好且有影响力的媒体,实现最终的收购目标。
  如收购成功
  将进行改革
  如果收购成功,我会对《纽约时报》进行一些必要的改革。最终目的就是增加这张报纸的真实度和客观性,重塑其公信力和影响力。
  不要当成一个笑话来听
  有些事看起来似乎是在开玩笑,但未必不可能。君不见……身处改革开放新时代,在这个人人为梦想而砥砺奋斗的古老国度,需要我们首先突破头脑里的“深水区”,多些大胆而新颖的探索实践。我喜欢出些怪招,但怪招不是花招。收购《纽约时报》,请不要当成一个笑话来听。

domenica 5 gennaio 2014

WeChat VS Weibo

(Aggiornato il 7 gennaio)

Se perla Cina il 2013 è stato l'anno del consolidamento della nuova leadership, delle riforme e di Xi Jinping, per l'Internet cinese è stato senza dubbio l'anno di WeChat (Weixin in mandarino), creatura della società d'oltre Muraglia Tencent. Accantonata la solita diffidenza verso il made in China -basta pensare al polverone sollevato dal colosso delle telecomunicazioni Huawei tacciato di spionaggio-, sembra che WeChat abbia ottenuto un certo successo anche alle nostre latitudini. E, ad oggi, è già la quinta applicazione per smartphone più utilizzata a livello mondiale.

Il suo trionfo in Cina è stato ufficialmente riconosciuto durante il forum "Come il governo può implementare la propria governance attraverso una migliore comunicazione", tenutosi lo scorso dicembre presso la Fudan University di Shanghai. Pare infatti che WeChat sia riuscita a soppiantare il famigerato Weibo, il Twitter in salsa di soia, come megafono dell'opinione pubblica.

Tra i vari mezzi d'informazione, il web è uno dei più popolari nel Regno di Mezzo, secondo soltanto alla televisione, riporta Global Voices. Si stima che in media i netizen cinesi spendano giornalmente 2,92 ore online, su chat, siti di notizie e motori di ricerca. La rete rappresenta ancora per i cinesi una fonte attraverso cui attingere a "news e prospettive irreperibili alla TV o alla radio"; "ottenere l'accesso a informazioni privilegiate"; "mantenere la propria cerchia di relazioni sociali".

Il processo di crescita di WeChat è direttamente proporzionale al grado di politicizzazione del concorrente Weibo. Come messo in risalto da Zhu Huanxin, direttore dell'Unità di monitoraggio dell'opinione pubblica del People's Daily, organo ufficiale del Partito, mentre le autorità e i portavoce del governo sono progressivamente approdati su Weibo (176,7mila gli account governativi nel dicembre 2012), Wexin si è affermata invece come tribuna virtuale preferita degli internauti. Cosa questo significhi in termini di stabilità lo si capisce dagli avvertimenti di Zhu, il quale ha sottolineato come una maggiore stretta repressiva su Weibo e le altre piattaforme pubbliche porterebbe ad una fuga verso quelle private -come WeChat- dove il malcontento sociale non può essere mitigato tanto facilmente. Stando a quanto reso noto dal China Internet Network Information Center, nel 2013 Weibo ha già perso 27,8 milioni di utenti,

Secondo gli ultimi dati di Tencent, nell'ottobre 2013 WeChat contava oltre 600milioni di utenti, di cui circa la metà attivi. 536 milioni invece quelli registrati su Sina Weibo nel febbraio scorso, ma con meno di 50milioni effettivi.

Il segreto del successo di WeChat risiede nella molteplicità di impostazione sulla privacy, dalla chat "peer to peer", ai gruppi segreti e aperti, fino alle piattaforme pubbliche, dove le persone possono sottoscrivere i web feed dei propri amici. Weixin, inoltre, offre un sistema di pagamento che collega i conti bancari degli utenti alle app per ogni tipo di transazione online e offline.

Come riportato a Radio Free Asia da Wang Zhang, fondatore di un noto forum online, su WeChat la censura è meno agguerrita; raramente capita di vedere i propri post volatilizzarsi, mentre su Weibo il monitoraggio e la rimozione dei messaggi sono pratiche regolari. Ormai Weibo -continua Wang- fa principalmente da cassa di risonanza ai meme patriottici ufficiali (qualcuno avrà sentito parlare del tormentone "Senza la madrepatria non sei niente") o ai messaggi propagandistici volti a promuovere la figura di Xi Jinping, immortalato "casualmente" di recente mentre faceva la fila da un venditore di baozi.

"Rispetto al flusso di notizie su Weixin, Weibo si sta praticamente trasformando in un programma d'informazione della CCTV (la televisione statale cinese, ndr)" ha commentato il venture capitalist Wang Ran.

Ma questo non vuol dire che WeChat sia un campione di trasparenza. Come rivelato su Twitter dall'utente Hua Chunhui, WeChat ha stabilito un sistema che riporta i "contenuti illegali", tanto che Hua ha visto sparire un post particolarmente sensibile dalla cronologia della sua chat di gruppo.

Proprio la privacy si rivela essere il punto di forza, nonché il tasto dolente del gioiellino di Tencent. Lo sa bene il noto dissidente cinese Hu Jia, che lo scorso anno ha visto i messaggi vocali, condivisi con gli amici su Weixin, finire nelle mani dei funzionari del Dipartimento di Sicurezza Interna.

Nonostante tutto, la possibilità di filtrare via dalle proprie conversazioni il "partito dei 50 centesimi" (l'esercito di smanettoni prezzolati di Pechino) e altre presenze sgradite rende Weixin particolarmente apprezzata nella cerchia degli attivisti cinesi. Sopratutto dopo che la battaglia ideologica lanciata lo scorso agosto dal governo ha dato come primi frutti una defezione degli assidui di Weibo e una maggiore attitudine verso l'autocensura. Nel mese di agosto Weiboreach, società che fornisce dati statistici sui social media, ha registrato -rispetto ad inizio 2013- un calo medio giornaliero dell'11,2% nella pubblicazione di post da parte delle star della rete cinese.

Il 2014 si è aperto con il commiato di He Weifang, professore di diritto presso la Peking University, in passato spesso attaccato sul web per via della sua difesa dei diritti costituzionali. Questo il suo messaggio: "Ringrazio e faccio i miei più sinceri auguri per il nuovo anno ai miei amici di Weibo (...) Ho provato turbamento nel vedere molti conoscenti scomparire gradualmente durante l'anno passato, quindi è giunto anche il mio momento di farla finita con Weibo. Addio!"








Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...