sabato 7 novembre 2015

La lunga stetta di mano tra Pechino e Taipei



(Update: Taiwan proverà a ripresentare domanda per entrare nell'Asia Infrastructure Investment Bank con il nome di "Chinese Taipei". Lo scorso aprile, Pechino aveva rifiutato la richiesta lasciando aperta l'ipotesi di un'ingresso nel nuovo soggetto bancario "in futuro", ma soltanto dopo aver raggiunto un'intesa su un "nome appropriato". Appena pochi giorni fa, durante lo storico incontro con Ma, Xi Jinping si era detto favorevole all'inclusione di Taiwan nella membership "in presenza di condizioni appropriate".

A distanza di 66 anni, ricominciano con una lunga stretta di mano (durata oltre 1 minuto!) i rapporti tra la Repubblica popolare e Taiwan. Il presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo taiwanese Ma Ying-jeou si sono incontrati sabato a Singapore, primo faccia a faccia tra i vertici dei rispettivi Paesi da quando nel 1949 la fine della guerra civile tra i comunisti di Mao e i nazionalisti (del Guomindang) di Chiang Kai-shek vide questi ultimi riparare, da perdenti, sull'isola oltre lo Stretto di Formosa. Da quel momento le due leadership hanno governato sotto regime antitetici (di tipo democratico a Taiwan, monopartitico in Cina) raggiungendo nel 1992 un'intesa non priva di criticità: quell'anno Pechino e Taipei si accordarono sul riconoscimento dell'esistenza di "una sola Cina" continuando tuttavia, ognun per sè, a interpretare la formula a proprio piacimento.

Entrambi i governi si definiscono i legittimi rappresentanti di quella "sola Cina", con la differenza sostanziale che la maggior parte della comunità internazionale oggi riconosce Pechino come proprio interlocutore. Questo comporta per Taipei un isolamento diplomatico di cui -stando al comunicato stampa rilasciato da Ma Ying-jeou- i due leader hanno avuto modo di discutere a porte chiuse.
Per il Dragone, Taiwan è una "provincia ribelle" da riannettere alla madrepatria anche a costo di passare alle maniere forti (nel 2005 Pechino ha varato una legge anti-secessione che autorizza l’uso delle forze armate qualora l’isola si dovesse dichiarare formalmente indipendente. Concetto costantemente ribadito dai 1500 missili balistici tutt'oggi rivolti verso l'ex Formosa).

"Niente può separarci. Siamo un'unica famiglia", ha dichiarato Xi Jinping, invitando i popoli su entrambi le sponde dello Stretto a non lesinare gli sforzi per "la grande rinascita della nazione cinese", "siamo come due fratelli tenuti ancora insieme dalle nostre carni mentre le nostre ossa sono rotte". Un'unica famiglia in cui, tuttavia, "entrambe le parti debbono rispettare reciprocamente i valori e lo stile di vita dell'altro", ha risposto Ma Ying-jeou alludendo al sistema liberale in vigore sull'isola, fonte di non pochi grattacapi per il regime a Partito unico di Pechino.

Sebbene i rapporti tra i due cugini asiatici siano nettamente migliorati a partire dal 2008, anno in cui la leadership è passata nelle mani di Ma e del Guomindang, lo scorso anno l'opinione pubblica ha puntato i piedi all'annuncio di un nuovo accordo bilaterale sui servizi che, secondo molti, rischia di penalizzare le piccole e medie imprese taiwanesi. Le proteste, sfociate nell'occupazione studentesca del parlamento di Taipei (la Rivoluzione dei Gelsomini), sono riuscite a posticipare la ratifica del trattato, ma hanno finito per innalzare il livello di guardia a Pechino, particolarmente occhiuto quando a levare gli scudi sono le periferie dell"Impero" (leggi: Taiwan, Hong Kong, Tibet e Xinjiang).

Come preannunciato alla vigilia del meeting, l'incontro di sabato non ha portato alla firma di nuove intese commerciali. Né ha visto un reale upgrade qualitativo nei rapporti diplomatici: sebbene Xi e Ma si siano accordati per l'istituzione di una hotline tra le due agenzie semigovernative fin'oggi incaricate di gestire le relazioni nello Stretto (il Consiglio per gli Affari Continentali e l’Ufficio per gli Affari di Taiwan del Consiglio di Stato), i due leader si sono rivolti l'un l'altro con il generico termine di "mister" al fine di evitare quello ufficiale di "presidente". Da escludere, quindi, un ammorbidimento cinese per quanto riguarda il riconoscimento formale di Taiwan come entità statale autonoma (ben indottrinati in proposito i media governativi cinesi non hanno esitato a pixellare la spilletta con i colori di Taiwan appuntata sulla giacca di Ma e a tagliare il suo intervento in conferenza stampa). Inoltre, secondo il quotidiano hongkonghese South China Morning Post, Taipei avrebbe gradito che lo storico faccia a faccia venisse ospitato dalle Filippine nel contesto più formale del summit Apec (Asia Pacific Economic Cooperation) in agenda nei prossimi giorni a Manila. Richiesta respinta dai compagni di Pechino, che hanno optato per Singapore, location neutra già sede, nel 1993, di un primo inedito incontro tra il Consiglio per gli Affari Continentali e l’Ufficio per gli Affari di Taiwan.

Decisamente più indicativo il tempismo scelto per il meeting, di poco successivo al passaggio di una nave militare americana a 12 miglia nautiche da alcune isole artificiali del Mar Cinese Meridionale che Pechino considera entro i suoi confini territoriali, e a un paio di mesi dalle elezioni presidenziali taiwanesi. Da una prospettiva macro, il vertice (del tutto inatteso) avrebbe avuto quindi due funzioni principali: innanzitutto quella di rassicurare uno dei vicini regionali sulle intenzioni pacifiche del Dragone nelle acque contese (Pechino e Taipei avanzano rivendicazioni incrociate su alcuni degli atolli del Mar Cinese). Rassicurazione da leggersi, nondimeno, come un messaggio subliminale diretto a Washington, dal momento che gli Stati Uniti sono ancora blindati a Taipei dal Taiwan Relation Act, un lascito della Guerra Fredda. In secundis, l'incontro serve a riaffermare la fiducia del gigante asiatico al Partito nazionalista e assicurare il mantenimento dello status quo in un momento in cui la politica interna dell'ex Formosa si fa via via più magmatica. Se infatti il candidato del Democratic Progressive Party (DPP), Partito di orientamento filo-indipendentista e "amico" dei Gelsomini, viene dato in testa ai sondaggi, il Guomindang si è trovato a dover sostituire in extremis il proprio con l'attuale capo del partito, Eric Chu, a causa dell'impopolarità ottenuta dalla sua prima scelta. In questo contesto, pertanto, l'incontro al vertice -mal digerito dal DPP- avrebbe lo scopo di cementare l'elettorato taiwanese intorno al presidente uscente e ai suoi uomini. Seppure la scarsa simpatia nutrita da una consistente fetta della popolazione verso l'ingombrante vicino rischi di innescare un effetto boomerang. Secondo un sondaggio della Cross Strait Policy Association rilasciato all'indomani dello storico meeting, il 48,6 per cento dei 1.014 intervistati si è detto a favore della candidata del DPP, Tsai Ing-wen, solo il 21,4 per cento sostiene Chu.

"Il Guomindang ha una più lunga tradizione di rapporti con i funzionari cinesi. Si avvale di tutta una serie di canali privilegiati e viene visto come il Partito di Taiwan in grado di evitare una guerra nello Stretto e rafforzare contatti amichevoli tra le due sponde", spiega al Guardian Michael Cole, senior officer presso il think tank Thinking Taiwan Foundation. Da quando Ma Ying-jeou ha assunto il suo incarico, Pechino e Taipei hanno siglato 23 accordi di cooperazione, mentre il volume dei commerci tra le due Cine ha superato i 170 miliardi di dollari annui. Ecco che scongiurare un'inversione a U nella politica di buon vicinato coltivata dai nazionalisti risulta di importanza primaria per il Dragone.

Alla fine come ha dichiarato Ma Ying-jeou in conferenza stampa: "A me restano soltanto sei mesi [di governo], ma Xi ha ancora davanti a sé almeno altri sette anni".

(Pubblicato su Gli Italiani)

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