martedì 3 novembre 2015

Vertice commerciale tra Cina, Giappone e Corea del Sud per ricucire gli antichi strappi. Ma gli Usa sorvegliano


Cina, Giappone e Corea del Sud si impegnano a rafforzare gli scambi commerciali e a ricucire gli strappi provocati dalle storiche incomprensioni, nonché dalle più recenti dispute territoriali. E’ quanto emerso dal vertice trilaterale andato in scena nella giornata di domenica a Seul, che ha visto il premier cinese Li Keqiang incontrare la presidente sudcoreana Park Geun-hye e il primo ministro giapponese Shinzo Abe.

 I leader dei tre giganti regionali hanno regolarmente condotto incontri annuali dal 2008 al 2012, anno in cui le relazioni bilaterali tra il Dragone e il Sol Levante sono precipitate ai minimi storici in seguito alla nazionalizzazione da parte di Tokyo delle Diaoyu/Senkaku, un pugno di scogli del Mar Cinese Orientale rivendicati da entrambi i Paesi per via delle risorse naturali nascoste nei fondali ad essi circostanti. Non da meno, quello stesso anno veniva marcato da un ricambio al vertice che avrebbe visto affermarsi alla guida dei due vicini asiatici leadership animate da una forte spinta muscolare in politica estera.

 Da quanto dichiarato in conferenza stampa, i tre parrebbero aver trovato un accordo per la ripresa del summit con scadenza annuale (nel 2016 sarà ospitato da Tokyo), al fine di dare nuovo smalto alla cooperazione commerciale.

Cina, Giappone e Corea del Sud rappresentano le tre principali economie dell’Asia Orientale con un volume di scambi da 690 miliardi di dollari. Nel 2012, sono stati avviati i negoziati per un accordo di libero commercio (FTA), ma l’andamento ondivago dei rapporti diplomatici ha finora ritardato i lavori.

 Mentre la Repubblica popolare continua a rappresentare per Seul il partner commerciale di punta e la principale fonte d’importazione con un giro di affari che quest’anno dovrebbe raggiungere i 300 miliardi di dollari, la reticenza del governo di Abe nel riconoscere le violenze inflitte dal Giappone nell’abito della seconda guerra mondiale ha portato ad un calo dell’8 per cento nei commerci con la Corea del Sud rispetto ai valori del ’91, quando il Sol Levante contava per il 22 per cento delle transazioni sudcoreane con l’estero. In particolare, la questione delle “comfort women”, le donne asiatiche (in maggioranza coreane) costrette alla prostituzione durante l’occupazione nipponica tra il 1910 e il 1945, continua ad essere la principale fonte di frizioni tra Tokyo e Seul. Così come lo è per la Cina il ricordo del “Massacro di Nanchino”, termine con cui sono passati ai posteri i crimini di guerra perpetrati dal Giappone nel Regno di Mezzo tra il 1937 e il 1938. Se per Shinzo Abe le scuse ufficiali rilasciate nell’ambito della Dichiarazione Kono (1993) sarebbero più che sufficienti a buttarsi alle spalle il passato una volta per sempre, per Seul un mea culpa trasparente è precondizione necessaria a dare nuovo vigore alla partnership.

 “Spero che questo summit possa guarire le ferite provocate dalla storia in maniera più completa e che possa dimostrarsi un’importante opportunità per lo sviluppo delle relazioni tra i due Paesi,” ha scandito Park lunedì all’apertura del suo primo faccia a faccia con Abe da quando la “Lady di ferro” si è insediata alla Blue House.

 La trilaterale è stata, infatti, preceduta e seguita da meeting “two-way” tra i rispettivi leader. Nella giornata di sabato, Park e Li hanno siglato 17 accordi di cooperazione bilaterale, dal commercio alla protezione ambientale, passando per gli scambi people-to-people e l’IT. Ciliegina sulla torta dopo l’annuncio, lo scorso luglio, della raggiunta intesa per un FTA Cina-Sud Corea e, sopratutto, dopo l’ingresso di Seul nell’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), la superbanca lanciata da Pechino per sopperire al deficit infrastrutturale del continente Asia. Il nuovo istituto, additato sull’altra sponda del Pacifico come concorrente ufficioso di World Bank e Fondo Monetario Internazionale, risulta ancora “incompleto” a causa dell’assenza di Stati Uniti e Giappone.

 Nonostante un tiepido disgelo avviato con l’incontro tra il presidente cinese Xi Jinping e Abe a margine del summit Apec dello scorso novembre, i rapporti tra Pechino e Tokyo continuano ad essere percorsi da tensioni alimentate in buona parte dalla storica alleanza che lega il Sol Levante agli Stati Uniti e che non di rado è arrivata a intaccare questioni che il Dragone considera di propria esclusiva pertinenza. Un esempio: le inedite esercitazioni congiunte tra Washington e Tokyo nel Mar Cinese Meridionale, tratto di mare in cui Pechino è ai ferri corti con un’altra manciata di Paesi limitrofi.

 “La Cina continuerà a procedere fermamente sul sentiero dello sviluppo pacifico e spera che il Giappone faccia lo stesso”, ha dichiarato Li, stando al resoconto del meeting bilaterale con Abe diramato alla stampa. Un’ennesima velata condanna alla controversa revisione della costituzione pacifista adottata dal Giappone al termine della seconda guerra mondiale (revisione, tuttavia, auspicata da Washington fautore di una politica estera più responsabile e proattiva tra i propri sodali). Le due parti si sono impegnate a implementare i meccanismi di comunicazione tra le rispettive forze armate e a riavviare i colloqui sullo sviluppo dei giacimenti di gas e petrolio in prossimità delle aree contese nel Mar Cinese Orientale. Ma è improbabile che questo basti a scongiurare definitivamente l’intrusione a stelle e strisce nell’area, che la si voglia chiamare “pivot” o “rebalance to Asia”.

 Sono circa 80 mila i soldati americani ancora ripartiti tra Corea del Sud e Giappone, con l’intento conclamato di mantenere la stabilità nel quadrante minacciato dalle ricorrenti provocazioni nordcoreane, e quello meno strombazzato di contenere lo slancio assertivo del Dragone sullo scacchiere Asia-Pacifico. Proprio domenica, il Segretario alla Difesa Usa, Ashton Carter, in visita nella zona demilitarizzata tra le due Coree, ha rinnovato l’impegno americano a difendere Seul dalle imprevedibili mosse di Pyongyang, lo “Stato canaglia” di cui la Cina è principale alleato e benefattore. Carter non ha mancato di far notare come i toni rodomonteschi utilizzati da Pechino per difendere la propria sovranità a discapito dei vicini asiatici stiano progressivamente spingendo i Paesi più indifesi sotto l’ombrello statunitense. Un’eventualità che il Dragone spera di schivare giocando la carta commerciale. Non a caso, durante il summit di domenica, Li Keqiang ha spronato Giappone e Corea del Sud a velocizzare le trattative per l’istituzione della Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), mega accordo di libero scambio regionale in cui molti intravedono una risposta cinese alla Trans-Pacific Partnership (TPP) a trazione americana.

(Pubblicato su Gli Italiani)

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