mercoledì 6 gennaio 2016

L'esercito cinese cambia pelle


(AGGIORNAMENTI
11 gennaio: la Cina ha riorganizzato i suoi quatto comandi (staff, affari politici, logistica e armamenti) in 15 nuove agenzie direttamente controllate dalla CMC. La nuova struttura comprende tre commissioni (ispezione disciplinare, legge e politica e scienza e tecnologia), un ufficio generale e altri cinque: amministrazione; auditing; cooperazione internazionale, riforma e struttura organizzativa; pianificazione strategica. Sono stati istituiti anche sei nuovi dipartimenti: personale congiunto, lavoro politico, supporto logistico, sviluppo delle apparecchiature, formazione e difesa nazionale.)


La Cina ha dotato il proprio esercito (PLA) di tre nuove unità, compiendo un primo balzo in avanti nel processo di trasformazione delle proprie forze armate annunciato lo scorso settembre. Per il PLA si tratta dell'operazione di restyling più complessa dagli anni '50 ad oggi. Il Comando Generale per l'Esercito Popolare di Liberazione (PLA), il Corpo Missilistico (PLA Rocket Force) e il Corpo per il Supporto Strategico (PLA Strategic Support Force) hanno visto ufficialmente la luce il 31 dicembre, quando il Presidente cinese Xi Jinping ha consegnato ai rispettivi leader le bandiere militari in una cerimonia scandita dall'inno nazionale. Secondo quanto riportato dalla televisione di Stato, il PLA Rocket Force andrà a sostituire il Secondo Corpo d'Artiglieria nel controllo dell'arsenale nucleare e dei missili convenzionali "con scopo difensivo", mentre il PLA Strategic Support Force, probabilmente, si occuperà delle minacce cibernetiche.

La rinascita nazionale passa per l'esercito

Xi ha affermato che le tre unità rientrano in un processo di modernizzazione finalizzato al "raggiungimento del sogno cinese di un esercito forte", con chiari rimandi ad un altro concetto introdotto appena assunto l'incarico di Segretario generale del Partito comunista (Pcc): quello di una "grande rinascita della nazione cinese" dopo gli anni dell'oblio iniziati con l'invasione da parte delle potenze occidentali sotto la dinastia Qing. Se ad oggi il PLA continua ad essere l'esercito più numeroso al mondo, allo stesso tempo permangono moti dubbi sulla sua capacità difensiva a causa della lunga assenza dai campi di battaglia. L'ultima volta che la Cina ha combattuto in guerra risale al 1979, anno in cui Pechino tentò di dare una lezione al Vietnam incassando una pesante sconfitta e trovandosi costretto a far cadere qualsiasi rivendicazioni sul territorio vietnamita. Un ricordo che pesa sugli attuali contenziosi territoriali che vedono il Dragone reclamare alcuni tratti lungo il confine sino-indiano e ampie porzioni del Mar Cinese Meridionale e Orientale, contese con i vicini rivieraschi. Non a caso la riforma punta a sostituire il vecchio sistema incentrato sulle truppe di terra con un comando congiunto in cui l'esercito, la marina e l'aviazione siano ugualmente rappresentati. Una manovra che arriva contestualmente a massicci investimenti nello sviluppo di sottomarini, mentre appena alcuni giorni fa il Ministero della Difesa ha confermato l'inizio della costruzione della seconda portaerei cinese, la prima completamente "Made in China" sebbene ispirata alla Liaoning, la portaerei di seconda mano acquistata dall'Ucraina nel 1998 e sottoposto a ristrutturazione.

Cinque nuove "zone strategiche"

La notizia ha raggiunto le pagine del South China Morning Post lo scorso settembre senza tuttavia ricevere conferma: è atteso nei prossimi giorni l'annuncio dell'accorpamento dei sette comandi regionali in cinque unità. La principale novità starebbe nell'istituzione di una gigantesca zona occidentale, pari a oltre metà del Paese e al 22 per cento della popolazione cinese. L'area, che dovrebbe riunire più di un terzo delle forze di terra, comprende Tibet e Xinjiang, due regioni instabili non soltanto per via degli storici attriti tra le minoranze e l'etnia maggioritaria Han, ma anche a causa della loro prossimità ad Afghanistan, Pakistan e Asia Centrale, possibili basi d'addestramento per gli aspiranti terroristi residenti oltre Muraglia. Sono poi previste una zona centrale a protezione della capitale, una zona settentrionale competente per Mongolia, Russia e Corea del Nord, mentre le zone a est e a sud -che non a caso ospitano basi navali strategiche- saranno responsabili della sicurezza a Hong Kong e nel Mar Cinese Meridionale/Orientale.

Un esercito più "snello"

Stando a quanto riportato dai media statali, la riforma è finalizzata a "ottenere progressi e risultati concreti entro il 2020 nell'amministrazione militare e nel comando operativo congiunto, ottimizzando la struttura militare, potenziando i sistemi politici e l'integrazione della sfera civile-militare e dando vita a un esercito moderno con caratteristiche cinesi in grado di vincere una guerra nell'era dell'informazione." Mentre nel 2015 si è assistito ad un'implementazione del management della leadership e alla riforma del comando operativo congiunto -spiega l'agenzia Xinhua-, il 2016 sarà perlopiù dedicato allo snellimento e al miglioramento del personale, nonché alla riforma delle accademie militari e delle forze di polizia. Si parla di tagliare le truppe di 300mila unità da 2,3 milioni a 2 milioni entro il 2017 (di cui il 70 per cento appartenenti alle unità di terra), come preannunciato da Xi Jinping in occasione della parata militare svoltasi lo scorso settembre a Pechino per commemorare il 70esimo anniversario della resa giapponese. L'evento aveva fornito anche l'occasione per uno sfoggio di muscoli attraverso la presentazione dei più sofisticati sistemi d'arma della tecnologia bellica cinese. Il disimpiego di armamenti obsoleti e lo sviluppo di nuovi sistemi d'arma risultano, infatti, tra gli obiettivi primari della riforma.

Secondo Antony Wong Dong, analista militare con sede a Macao, il PLA sta seguendo le orme degli eserciti americano e russo per rimpiazzare le tradizionali strutture divisionali con un sistema di corpi organizzati più agile ed efficiente, in cui ogni gruppo di combattimento risulta formato da circa 4.500 unità anziché 15.000. "Se il PLA vuole attenersi agli standard internazionali, è necessario che tutti i gruppi militari esistenti siano ulteriormente riorganizzati in divisioni", ha spiegato Wong al South China Morning Post, precisando che è dal 1998 che Pechino si muove in questa direzione.
Allo stesso tempo, norme più severe richiedono ai soldati di conservare una forma fisica "a prova di guerra", negando la promozione a quanti sovrappeso. Non è infatti insolito che, in tempi di pace, le truppe eccedano nei piaceri della buona tavola e altre pratiche disdicevoli, che dal 2012 allo scorso agosto hanno condotto all'incarcerazione di 39 generali con l'accusa di corruzione. Tra questi spiccano i nomi di Guo Boxiong e Xu Caihou, due sodali del presidente in pensione Jiang Zemin, eminenza grigia della politica cinese. Molti arresti eccellenti girano intorno al General Logistic Department, l'agenzia incaricata di amministrare le risorse del PLA in cui si annidano pericolose sacche di potere. Dal momento che, come insegna l'Unione Sovietica di Nikita Khrushchev, perdere il controllo dell'esercito può costare un colpo di Stato, pare che il dipartimento sarà tra i primi a cadere nella sforbiciata volta a snellire la burocrazia interna.

Una "corretta direzione politica" contro corrotti e detrattori

Alla luce di quanto sopra, non stupisce, quindi, che tra le direttive cardine della riforma compaia il mantenimento di una "corretta direzione politica", di cui è presupposto "l'assoluta leadership del Partito sulle forze armate". E non potrebbe essere altrimenti dal momento che il PLA è l'esercito del Pcc non dello Stato. Una distinzione resa quantomai nebulosa dalla sovrapposizione delle tre sfere di potere: Xi Jinping, oltre a ricoprire il ruolo di Presidente della Repubblica popolare e capo del Pcc, siede anche alla direzione della Commissione Militare Centrale (CMC), l’organismo istituzionale preposto alle decisioni nazionali in campo militare; un incarico assunto con netto anticipo rispetto al suo predecessore Hu Jintao. Ma se l'autonomina, nel marzo del 2014, a direttore del gruppo di lavoro per le riforme sembrerebbe confermare il pieno controllo di Xi sulle truppe, tuttavia, le recenti dimissioni del generale Liu Yuan, personaggio chiave nelle lotta contro la corruzione personalmente vicino al presidente, suggeriscono cautela. "Xi si trova ad affrontare nell'esercito più opposizioni di quanto non credano la maggior parte degli analisti", commenta Peter Mattis, autore di "Analyzing the Chinese Military: A Review Essay and Resource Guide on the People’s Liberation Army", avanzando l'ipotesi che il ritiro di Liu non sia stato del tutto volontario. D'altronde, non è un mistero che la ristrutturazione delle milizie goda di scarso favore nell'ambiente. Ancora prima dell'ufficializzazione del piano di riforma, il PLA Daily aveva messo in guardia dalle possibili ricadute che il ventilato licenziamento di 300mila soldati potrebbe avere sulla stabilità sociale. Una preoccupazione a cui Pechino ha risposto ordinando alle aziende statali di assicurare un 5 per cento annuo delle proprie assunzioni ai veterani dell'esercito.






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