[AGGIORNAMENTI
- 22 GENNAIO: La presidente sudcoreana Park Geun-hye ha proposto la ripresa dei colloqui sul nucleare nordcoreano in un format 6-1. Ovvero escludendo Pyongyang dai "six-party talks".
- 15 GENNAIO: La Cina supporterà il Consiglio di Sicurezza dell'Onu in ogni azione "necessaria" contro la proliferazione nucleare nella penisola coreana. Lo ha affermato Wang Yi, ministro degli Esteri cinese venerdì al termini di colloqui di alto profilo tra Pechino e Seul.
- 14 GENNAIO: La Corea del Sud riprende in considerazione l'adozione del sistema di difesa anti-missile americano THAAD (Terminal High Altitude Area Defense). Il progetto è stato al centro di un accesso dibattito nel corso del 2015.]
Nella questione nordcoreana tutto ruota intorno alla Cina. O almeno questo è quanto credono Washington e Seul a pochi giorni dall'annuncio del quarto esperimento nucleare a nord del 38° parallelo. Il primo -stando alle dichiarazioni di Pyongyang- ad aver coinvolto una bomba all'idrogeno "miniaturizzata", ovvero ovvero in grado di essere installata nell'ogiva di un missile.
Mentre permangono molti dubbi sulla reale natura del test (in molti avanzano la probabilità che si sia trattato di un'atomica come nei precedenti casi), l'evento di per sé costituisce una violazione delle precedenti risoluzioni Onu e apre la strada a nuove sanzioni.
Dal momento che Pechino è l'unico governo a conservare un certo ascendente politico-economico sul Paese, non stupisce venga considerato una sorta di ago della bilancia.
Nella giornata di ieri la presidente sudcoreana Park Geun-hye ha chiesto alla Cina di assumere una posizione più dura nei confronti del "Regno Eremita", dopo la mancata risposta alla richiesta d'aiuto inoltrata dal Ministero della Difesa alla controparte cinese attraverso una hotline di recente istituzione. Altrettanto risoluta la reazione degli Stati Uniti, che legati a Seul da una vecchia alleanza oggi -in tempi di contese territoriali tra Cina e vicini- più che mai si sentono investiti del ruolo di "gendarme" dell'Asia-Pacifico (sono circa 29mila i soldati americano su suolo sudcoreano con l'intento conclamato di difendere l'alleato e quello mai ammesso di contenere l'assertività cinese). In segno d'avvertimento, un bombardiere a stelle e strisce ha sorvolato i cieli sudcoreani verso il 38° parallelo, poco dopo la riattivazione degli altoparlanti con cui la Corea del Sud inonda i cugini a nord di K-Pop e propaganda denigratoria. Quanto alla Cina, "le cose non possono continuare andare andare avanti come al solito"; è quanto il Segretario di Stato americano John Kerry ha intimato al suo omologo cinese Wang Yi durante una conversazione telefonica all'indomani del test nucleare. Letteralmente: "We cannot continue business as usual". Dove per "business" si può tenere buona l'accezione più comune del termine.
Pechino rappresenta praticamente l'unica fonte di petrolio per la Corea del Nord, un Paese frequentemente colpito da carestie, in barba agli 1,1-3,2 miliardi di dollari stanziati per il proprio programma nucleare (stime del governo sudcoreano). Fino ad oggi le sanzioni imposte dalla comunità internazionale non sono riuscite a smorzare la passione per l'atomo del giovane leader nordcoreano Kim Jong-un. Di natura prevalentemente militare più che economica, le sanzioni imposte dall'Onu -con l'appoggio del Dragone- sono più soft di quelle adottate contro l'Iran "in parte per evitare il rischio di colpire aziende e banche cinesi che intrattengono affari redditizi con la Corea del Nord", scrive la Reuters. Dal momento che Stati Uniti e Repubblica popolare sono commercialmente interconnessi "sarebbe come puntare una pistola economica alla testa della Cina, quindi alla nostra", commenta ai microfoni dell'agenzia britannica Joseph DeThomas, ex diplomatico americano.
Potenzialmente, Pechino ha a disposizione diversi lacci e lacciuoli con cui tenere a freno Pyongyang: potrebbe chiudere i rubinetti energetici, limitare gli acquisti di minerali (la specialità nordcoreana) colpendo il settore minerario. Oppure azzoppare il commercio informale transfrontaliero fino addirittura a valutare un cambio di politica nei confronti dei rifugiati nordcoreani che ogni anno scappano dal regime di Kim, venendo rispediti al mittente dalle autorità cinesi. Nel 2013, il gigante asiatico aveva reagito all'ultimo esperimento nordcoreano riducendo drasticamente le esportazioni petrolifere. E' poi seguito un raffreddamento dei rapporti diplomatici, che vede tutt'oggi Kim a quota zero incontri ufficiali con i leader d'oltre Muraglia, fatta eccezione per la presenza del numero 5 della nomenklatura cinese, Liu Yunshan, al 70esimo anniversario della fondazione del Partito dei Lavoratori, a Pyongyang (sei sono invece i faccia a faccia tra il presidente cinese Xi Jinping e la Park). Che le cose si stessero mettendo male lo si era intuito con l'esecuzione di Jang Song-taek, zio del giovane dittatore nonché fautore di riforme economiche alla cinese. Poi, lo scorso dicembre, la cancellazione improvvisa della tournée oltre Muraglia della band nordcoreana Moranbong ha messo il cappello ad un periodo di incertezze per le relazioni bilaterali. Ma mai si è avuta l'impressione di una rottura irreparabile.
"Se dalla prospettiva cinese le armi nucleari nordcoreane sono una brutta cosa, il collasso del regime potrebbe anche essere peggio", spiega DeThomas. Sfollati da sfamare a parte, la Repubblica popolare si troverebbe anche con una nutrita presenza statunitense appena alle porte (quei 29mila soldati di stanza in Sud Corea).
Fin'oggi, Pechino ha mantenuto un atteggiamento di condanna al pari dei vicini regionali. "La Repubblica Popolare Democratica di Corea ha effettuato un altro test nucleare nonostante il divieto della comunità internazionale. Il governo cinese si oppone fermamente", ha scandito il Ministero degli Esteri cinese, dicendosi completamente all'oscuro delle intenzioni di Pyongyang, "intimiamo alla Corea del Nord di rispettare il suo impegno nel processo di denuclearizzazione della penisola evitando la proliferazione nucleare e mantenendo la pace e la stabilità in Asia".
Molti gli editoriali piccati apparsi sulla stampa di Stato. Il Global Times, considerato il quotidiano-bulldozer della politica estera cinese si è prodotto con un articolo dal titolo eloquente: "Il test nucleare rovina i rapporti con la Cina e acuisce le tensioni". Tensioni che, come spesso dimostrato in situazioni di crisi, il Dragone spera di sgonfiare attraverso l'arma del dialogo.
Nella fattispecie nordcoreana la soluzione auspicata starebbe nella ripresa dei colloqui a sei (tra Corea del Nord, Corea del Sud, Cina, Giappone, Russia e Stati Uniti), interrotti nel 2008 con l'espulsione dal nord degli ispettori internazionali incaricati di verificare l'andamento del processo di denuclearizzazione. Stando a fonti della Reuters, il "Regno Eremita" starebbe cercando la mediazione cinese per ottenere un "vero" accordo di pace con Stati Uniti e Corea del Sud (la semplice firma di un armistizio alla fine della Guerra di Corea rende la penisola formalmente ancora in guerra), precondizione necessaria alla rinuncia di qualsiasi velleità nucleare. Un punto sul quale la diplomazia d'oltre Muraglia ha preferito non rilasciare dichiarazioni, salvo fare presente che "la causa e il nocciolo della questione nordcoreana non è la Cina, né la Cina è la chiave per risolvere il problema".
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