giovedì 14 giugno 2018
In Cina e Asia
Pechino vuole il controllo delle forniture elettriche mondiali
E’ stata definita il piano Marshall del nuovo millennio. Ma la Belt and Road potrebbe diventare molto più. Infatti, oltre a iniettare finanziamenti in progetti strade e ferrovie, Pechino sta sviluppando parallelamente altre due “vie della seta”: una che coinvolge il cyberspazio, la cosiddetta “digital Silk Road” — che prevede l’export di nuove tecnologie — l’altra basata sulla costruzione di una rete di trasmissione elettrica a voltaggio ultra alto (UHV ), capace di collegare continenti diversi e arrivare ad abbracciare il Sahara. Un piano che Jonathan Hillman, del Center for Strategic and International Studies, ritiene possa dare alla Cina la stessa capacità di controllo esercitata a livello mondiale dalla Russia attraverso il monopolio delle risorse energetiche. Non è certo un caso che proprio ieri l’Australia abbia annunciato che sostituirà la compagnia cinese Huawei nella costruzione di cavi sottomarini pensati per collegare le isole Salomone e la Papua Nuova Guinea alla rete australiana.
Pechino controllerà ogni automobile con un chip
La Cina, il più grande mercato automobilistico del mondo, è in procinto di avviare il sistema elettronico per il controllo della circolazione più esteso al mondo. A partire dal 1 luglio — prima su base volontaria e dal prossimo gennaio obbligatoria — le nuove automobili al momento della registrazione saranno obbligate a istallare un chip in grado di trasmetterne gli spostamenti al ministero della Sicurezza Pubblica. Il sistema registrerà informazioni quali il numero di targa e il colore dell’automobile o quando i veicoli superano un checkpoint. Secondo un documento del 2014, il piano ha lo scopo di risolvere il problema del traffico e prevenire gli attacchi terroristici per mezzo di veicoli, un fenomeno in crescita che “ha posto serie sfide e minacce alla vita sociale ed economica, in particolare alla sicurezza pubblica”. Ma, secondo i detrattori, si tratterebbe dell’ennesimo sintomo della psicosi cinese da controllo, tanto più che il monitoraggio del traffico non necessita misure tanto intrusive.
Dietro la pesca ci sono sovvenzioni statali e sfruttamento
Generose sovvenzioni statali continuano a tenere in vita la pesca in alto mare, mettendo a rischio le risorse ittiche. Lo rivela uno studio apparso su Science Advances, secondo il quale i governi di Cina, Giappone e Spagna sono i principali finanziatori del saccheggio delle acque internazionali. Le operazioni, spesso in perdita, sarebbero rese possibili anche dallo sfruttamento della manodopera. Nel 2014, la Cina ha contato per 1,5 milioni di tonnellate di pescato in acque oceaniche e prevede di raggiungere quota 2,3 milioni di tonnellate entro il 2020. Gran parte di quanto catturato viene processato in Cina per poi essere esportato in Europa e negli Stati Uniti. Tuttavia, il maggiore fornitore di sussidi è il Giappone (841 milioni di dollari), seguito dalla Spagna (603 milioni), mentre la Cina è solo terza (418 milioni), anche se rimane numero uno per intensità delle attività. Negli ultimi anni Pechino ha cominciato a limitare la pesca all’interno delle proprie a acque spingendo flotte di pescatori cinesi vero le coste africane e del Sud America. L’atteggiamento predatorio dei pescatori cinesi è in questi giorni fonte di ulteriori attriti con Manila, preoccupata dal livello di danneggiamento riportato dalla barriera corallina presso lo Scarborough Shoal, conteso con Pechino.
Gli eserciti delle due Coree a colloqui dopo 10 anni
Le due Coree hanno cominciato la prima tornata di colloqui militari in dieci anni. Come sempre è il villaggio di Panmunjeom a ospitare il meeting, presieduto per parte sudcoreana dal generale maggiore Kim Do-gyun e dal tenente generale nordcoreano An Ik-san. Come spiegato da Kim Do-gyun, “progettiamo di discutere questioni come l’allentamento delle tensioni militari tra le due Coree e l’organizzazione di una riunione ministeriale della Difesa come parte degli sforzi per attuare quanto concordato nel settore militare all’interno della Dichiarazione Panmunjom” siglata da Kim Jong-un e Moon Jae-in il 27 aprile. Si parla inoltre di ripristinare una linea di comunicazione militare transfrontaliera, tenere regolarmente colloqui militari e stabilire una linea diretta tra i leader militari. La ripresa dei contatti tra i due eserciti arriva a stretto giro dalla decisione — annunciata a sorpresa da Trump — della sospensione delle esercitazioni congiunte tra Washington e Seul. L’iniziativa è stata accolta con preoccupazione non solo dalla Corea del Sud e dal Giappone, i principali alleati asiatici degli Usa, ma persino dal Pentagono.L’iniziativa è stata accolta con preoccupazione non solo dalla Corea del Sud e dal Giappone, i principali alleati asiatici degli Usa, ma persino dal Pentagono. Secondo gli esperti, un ripiegamento statunitense dall’Asia-Pacifico rischia di lasciare campo aperto alla Cina e accelerare la corsa agli armamenti di Tokyo, squassando gli equilibri regionali.
Appena atterrato a Seul il segretario di Stato Mike Pompeo ieri ha fatto alcune precisazioni su quanto emerso dal vertice di Singapore, affermando che le operazioni con il Sud riprenderanno al primo cenno di tentennamento di Pyongyang in materia di denuclearizzazione.
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