mercoledì 20 giugno 2018

In cina e Asia


Déjà-vu: Trump minaccia nuove sanzioni, ZTE ancora nel mirino

Torna a crescere la tensione tra Cina e Stati Uniti. Nella giornata di ieri in una controffensiva a tenaglia, il Senato statunitense ha approvato un disegno di legge che — in attesa di essere confermato alla Camera — minaccia di reintrodurre le sanzioni contro la società cinese ZTE, per la cui sopravvivenza si è speso il presidente Xi Jinping in persona. L’Act potrebbe anche rafforzare i poteri del Committee on Foreign Investment in the United States (CFIUS), la commissione preposta alla revisione degli accordi rischiosi per la sicurezza nazionale. Contestualmente, la giornata di lunedì ha visto Trump tornare all’attacco sul versante commerciale. Si parla di una nuova lista di prodotti per 200 miliardi di dollari da sottoporre a regime tariffario del 10%. Misura formalmente pensata per castigare la risposta di Pechino all’annuncio di dazi per un valore di 50 miliardi sull’import cinese, cui farebbero seguito dazi sul “made in Usa” per un importo analogo. Come spiegato da The Donald, “una volta completato il processo legale, queste tariffe entreranno in vigore se la Cina si rifiuterà di modificare le sue pratiche, e anche se insisterà sull’andare avanti con le nuove tariffe come recentemente annunciato.”

Le riforme di Pechino tra default e mancati stipendi

La banca centrale cinese definisce la liquidità nel mercato finanziario cinese “ragionevole e stabile”. Tuttavia, mentre la campagna contro il debito compie i suoi primi tre anni, gli sforzi per ridurre la leva finanziaria e la conseguente difficoltà di accesso al credito cominciano a dare i primi inattesi frutti. Secondo la Reuters, dall’inizio dell’anno ad oggi sono almeno 12 le aziende ad aver dichiarato default sul pagamento di bond per un valore di 17,4 miliardi di yuan. Chiaro segno che stavolta il Partito-Stato potrebbe non essere più disposto a lanciare il consueto salvagente. Mentre ad essere coinvolti sono vari comparti industriali, quasi tutte le società interessate sono società private, vero motore della crescita cinese che — nonostante la preponderante ingerenza statale — conta per il 60% del Pil nazionale. Ma non è solo il mondo degli affari a risentire della stretta sui capitali e la cosiddetta supply-side reform. Proprio lo scorso mese la cittadina di Leiyang, nota per le sue miniere di carbone, ha citato “una grave carenza di liquidità” come principale motivazione del ritardo nel pagamento degli stipendi ai funzionari statali.

Sospese le esercitazioni congiunte con Washington: Seul vuole la pace entro l’anno

Seul punta a una dichiarazione di pace entro la fine dell’anno. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri sudcoreano Kang Kyung Wha preannunciando la rimozione graduale delle sanzioni una volta che la Corea del Nord avrà intrapreso “sostanziali passi avanti verso la denuclearizzazione”. Mentre la dichiarazione di Panmunjom siglata tra le due Coree fa esplicitamente riferimento alla sostituzione dell’armistizio con un accordo di pace, il comunicato emerso dal vertice di Singapore è molto meno chiaro a riguardo. Ciononostante, secondo Kang e quanto confermato da Mike Pompeo, l’argomento non solo è oggetto di costanti consultazioni tra Seul e Washington, ma sarebbe anche stato discusso durante l’incontro a porte chiuse tra Kim Jong-un e Donald Trump. La conferma ufficiale da parte del Pentagono della sospensione delle esercitazioni congiunte di agosto Ulchi Freedom Guardian sembrerebbe ribadire la volontà di ripristinare la pace nella penisola. Al contempo, tuttavia, il riferimento della ministra alle sanzioni evidenzia un crescente allineamento da una parte tra la Corea del Sud e la Cina, dall’altra tra gli Stati uniti e il Giappone, ancora propensi a mantenere una linea intransigente in materia di concessioni economiche.

Intanto, secondo la stampa cinese, Kim Jong-un sarebbe nuovamente oltre la Muraglia per aggiornare Xi Jinping sul vertice di Singapore, terza missione cinese dal primo inaspettato viaggio di marzo.

La Corea del Nord riavvierà i “giochi di massa”

Pyongyang è in procinto di riavviare i cosiddetti “giochi di massa” a cinque anni dall’ultima edizione. Lo ha reso noto l’agenzia turistica con base a Pechino Koryo Tours, secondo la quale l’evento si terrà il 9 settembre e il biglietto base costerà l’equivalente di 80 euro. La manifestazione ha un nome traducibile come “Brilliant Fatherland” e si prospetta simile ai vecchi Arirang Games con decine di migliaia di partecipanti. Secondo un rapporto della commissione d’inchiesta dell’Onu sui diritti umani in Corea del Nord risalente al 2014, i giochi di massa sono “eventi di propaganda di massa obbligatori”, capaci di attirare “un gran numero di turisti, spesso inconsapevoli delle violazioni dei diritti umani subite dai bambini partecipanti, costretti a prendervi parte”.

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