venerdì 8 giugno 2018
In Cina e Asia
Scandalo Facebook: Huawei si dichiara innocente
Huawei non ha mai memorizzato i dati personali degli utenti di Facebook in possesso dei suoi dispositivi. E quanto dichiarato ieri dalla compagnia a stretto giro dalla polemica innescata dalla notizia — confermata da Facebook — che il colosso delle telecomunicazioni cinese sarebbe tra le 60 aziende ad aver stretto accordi di “data sharing” con il noto social network, oltre alle cinesi Lenovo, Oppo e TCL. Le informazioni, tuttavia, sarebbero registrate nei singoli smartphone non nel sistema di Huawei, che pur essendo una società privata ha stretti legami con il governo di Pechino e l’esercito. La smentita è arrivata direttamente dalla compagnia, che al Global Times ha fatto sapere: “Come tutti i principali fornitori di smartphone, Huawei ha lavorato con Facebook per rendere i servizi di Facebook più convenienti per gli utenti, ma non ha mai raccolto o memorizzato i dati degli utenti”. Per gli esperti consultati dal tabloid cinese, la storia sarebbe stata politicizzata dai membri del Congresso appositamente per accrescere la tensione tra le due superpotenze già ai ferri sul versante commerciale. Huawei è già stato messo al bando dal Pentagono ed è sotto indagine per i suoi affari con Corea del Nord, Cuba, Iran, Siria e Sudan.
Aumentano le vittime americane degli “attacchi sonori”
Si estende il caso dei misteriosi suoni avvertiti dai dipendenti del consolato americano di Guangzhou, che hanno riportato lesioni celebrali minori. Secondo il dipartimento di Stato, “un numero di individui” è stato evacuato nella notte per accertamenti negli Usa. Si tratterebbe, tra gli altri, dell’ingegnere Mike Lenzi e della sua famiglia, i quali hanno associato una serie di disturbi avvertiti nell’ultimo anno a un suono paragonabile a quello prodotto da “biglie che rimbalzano e colpiscono un pavimento, poi rotolano su una pendenza con rumore statico”. Martedì, il Segretario di Stato Mike Pompeo ha annunciato il lancio della The Health Incidents Response Task Force, creata per rispondere ai disturbi inspiegabili avvertiti dai dipendenti e dalle loro famiglie. Ma secondo Lezi — che ha già chiesto le dimissioni dell’ambasciatore americano — il governo statunitense è responsabile per aver tentato di sminuire la portata del problema negando la presenza di altri casi simili. A maggio un altro funzionario aveva lamentato gli stessi sintomi così come un vicino di casa di Lenzi. L’incidente, che ricorda in tutto il mistero dei suoni avvertiti dai diplomatici statunitensi a Cuba nel 2016, rischia di inasprire il confronto tra Washington e Pechino, già ai ferri corti su più fronti.
Guerra alla droga: polizia bangladeshi incastrata da un audio clip
Una registrano telefonica sembra incastrare le forze dell’ordine bangladeshi, impegnate dall’inizio di maggio in una sanguinosa guerra alla droga sulla falsa riga della war of drugs di Duterte. Secondo quanto riporta il Guardian,prove audio fornite dalla moglie di Akramul Haque, ucciso il 27 maggio in un’operazione antidroga, smentirebbero clamorosamente la ricostruzione della polizia che colloca la morte dell’uomo nell’ambito dell’ennesima sparatoria notturna. Diverse registrazioni riportano chiaramente il rumore di spari e le dichiarazioni di innocenza di Akramul. Poi l’ordine da parte dei poliziotti di rimuovere i proiettili dal corpo e slegare le mani del morto. Nelle ultime tre settimane, secondo i media locali, la polizia bangladeshi ha già ucciso almeno 131 sospetti nel corso di presunti scambi a fuoco e arrestato 10mila persone in operazioni sfociate — ufficialmente — nella requisizione di armi illegali e anfetamine. Ma stando a un membro dell’opposizione circa 15 delle vittime sarebbero esponenti del Bangladesh National party, di cui è esponente Khaleda Zia, rivale dell’attuale premier Hasina.
Coree: i costi della denuclearizzazione
Mentre si avvicina la fatidica data del vertice tra Kime Trump, tra tutte le molte incognite irrisolte ne spicca una: chi pagherà il prezzo della denuclearizzazione? Secondo alcune stime, smantellare l’arsenale nordcoreano costa cinque volte quanto speso in Ucraina negli anni ’90. Ovvero circa 460 milioni di dollari, che sommati agli aiuti necessari a riportare in sesto l’economia del Regno Eremita fanno salire il conto a 20 miliardi nell’arco di diversi anni (almeno 10, stando al Centre for International Security and Cooperation), e se si aggiunge l’obiettivo di una pace duratura allora potremmo arrivare addirittura a quota 2 trilioni di dollari, secondo Eurizon SLJ Capital.
Mentre la denuclearizzazione rimane un traguardo lontano e incerto, resta da chiarire un quesito più immediato. Non è arrivata ancora nessuna conferma su chi pagherà il conto per il soggiorno singaporiano della delegazione nordcoreana. Una portavoce del Dipartimento di Stato ha smentito un coinvolgimento americano (preventivato invece dal Washington Post), mentre l’ International Campaign to Abolish Nuclear Weapons — che si era detta disposta — ha dichiarato che la sua offerta non è stata accettata. Qualcosa potrebbe mettercelo la città dei leoni per quanto riguarda la copertura logistica e gli aspetti legati alla sicurezza, ha fatto sapere il ministro delle Difesa.
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