lunedì 5 marzo 2012
a Wang Shu il Nobel per l'architettura
(Pubblicato su AgiChina)
Pechino, 5 mar.- Il premio Pritzker 2012 parla mandarino. La più prestigiosa onorificenza nel campo dell'architettura verrà assegnata il prossimo 25 maggio a Wang Shu, padre del museo storico di Ningbo e icona della bioarchitettura d'oltre Muraglia. Lo ha annunciato la scorsa settimana Thomas J. Pritzker, presidente della fondazione Hyatt nonché patron di quello che viene considerato l’Oscar del settore. “La nomina di Wang Shu rappresenta un passo significativo nel riconoscimento del ruolo che giocherà la Cina nello sviluppo degli ideali architettonici. Inoltre, nei prossimi decenni il successo ottenuto nel campo dell'urbanizzazione cinese sarà importante non solo per la Cina, ma anche per il mondo intero. Quest'urbanizzazione, intesa a livello globale, deve necessariamente essere in armonia con le esigenze e la cultura locale” ha commentato Pritzker.
Sostenibilità ambientale e rispetto della tradizione, dunque, sono i due pilastri sui quali il Dragone dovrà puntellare la pianificazione urbana del prossimo futuro, mentre l'accento posto dalla giuria sulla dicotomia presente-passato risulta quantomai tempestiva in un momento in cui la cementificazione forsennata e le demolizioni incontrollate stanno riplasmando la silhouette delle metropoli cinesi. “Il processo di urbanizzazione degli ultimi anni invita inevitabilmente a domandarsi se l'architettura debba rimanere radicata alla tradizione o debba piuttosto protendere verso il futuro. Ma come tutte le grandi opere, l'arte di Wang Shu è in grado di trascendere il dibattito, realizzando un'architettura senza tempo, profondamente radicata nel contesto che la circonda e allo stesso tempo universale” ha dichiarato il presidente della commissione Peter Palumbo.
Wang Shu, nativo di Urumqi, nello Xinjiang, vanta una formazione tutta cinese. Nel 1997 ha fondato insieme alla moglie lo studio Amateur Architecture con sede ad Hangzhou. Fervente sostenitore della “green architecture”, miscela il rispetto per le tradizioni locali con “l'arte del riciclo” dove l'utilizzo di materiali naturali quali legno e pietra si sposa perfettamente con calcestruzzo, vetro e laterizio. Una vita dedicata alla ricerca architettonica culminata nel 2011 con l'assegnazione del Gold Medal conferitagli dall'Accademia di Architettura Francese. “Artista, artigiano, dilettante,” così ama definirsi Wang, per il quale il fine ultimo del proprio lavoro non consiste nel raggiungimento di un compenso economico quanto piuttosto nella realizzazione della propria passione.
Ammirazione ed entusiasmo all'estero, molti dubbi e perplessità in patria. Il plauso dei decani dell'architettura internazionale non viene condiviso pienamente dai cinesi, che nella nomina del loro connazionale sembrano rintracciare connotazioni tutt'altro che di ordine artistico. E come sempre più spesso accade nel Regno di Mezzo, a dare voce ai pensieri dei cittadini è Weibo, sorta di Twitter in salsa di soia sul quale da giorni il nuovo “Nobel dell'architettura” sembra essere uno dei topic più ricorrenti. Nel coro di commenti ispirati da un più che comprensibile orgoglio nazionalista, molti i “cinguettii” stonati che, prima di cadere vittime della cesoia governativa o di un ripensamento dell'autore stesso, hanno lasciato tracce di scetticismo sul web.
“Per una volta i media cinesi hanno veramente ragione? Qualcuno mi può dire se Wang Shu è il reale vincitore???” chiede al popolo di internet uno dei netizen incredulo, mentre un altro più incauto, si lascia andare avanzando qualche dubbio sulle capacità di valutazione della giuria: “E' davvero possibile paragonare Wang ai suoi predecessori?” Un terzo animato da un groviglio di emozioni contrastanti riassume in un post i sentimenti condivisi da molti sui connazionali: “Ahimè, la notizia della vittoria di Wang mi rende felice e depresso allo stesso tempo”.
La reazione contradditoria degli internauti cinesi sembra richiamare alla mente l'ormai lontano 2000, quando l'attribuzione del premio Nobel per la letteratura a Gao Xinjian, primo cinese ad ottenere l'ambito riconoscimento, oltre a suscitare l'ira di Pechino, non mancò di attirare le critiche dell'opinione pubblica. Al tempo, quei pochi che avevano sentito parlare di lui -commenta sarcasticamente China Digital Times- considerarono Gao il fortunato beneficiario di una decisione basata su necessità di natura politica piuttosto che fondata su giudizi di valore.
Gao scrittore dissidente esiliato all'estero, Wang residente e operante nella mainland; due figure che, seppur in modo differenti, incarnano perfettamente le ansietà culturali serpeggianti nella comunità artistica cinese forse ancor più che brillare per propri, d'altra parte indiscussi, meriti. Ed ecco che in molti sembrano chiedersi quanto sia sinceramente sentita o piuttosto strumentalizzata l'ovazione dell'Occidente per i nuovi talenti cinesi. Un Occidente sempre più critico verso quel Paese che, quanto a violazione di diritti umani e urbanizzazione rampante, continua registrare record tutt'altro che encomiabili. Forse in quest'ottica la nomina del nuovo “architetto dell'anno” potrebbe essere letta come un suggerimento a chi di dovere, un messaggio più o meno velato indirizzato ai vertici della macchina politica cinese per mettere un freno alle deturpazioni ambientali e alla voracità delle ruspe che ogni giorno divorano quel poco di tradizione ancora sopravvissuto.
“Materiali da costruzione riciclati...è una grande idea, ma non è forse troppo difficile da realizzare su vasta scala nel contesto di un'urbanizzazione a ritmi serrati? La nomina di Wang non è piuttosto un modo per chiedere al nostro Paese di 'rallentare'?” si chiede un cittadino del web. “Il significato principale dell'assegnazione del premio a Wang Shu” scrive un altro internauta sul proprio microblog “risiede nella sua ribellione contro l'educazione architettonica cinese, nella sua critica serrata contro le mode e le correnti più popolari che oggigiorno caratterizzano il settore. In questo senso il riconoscimento dell'onorificenza a Wang non ha nulla a che fare con l'architettura né con gli architetti cinesi”.
Eppure, quella scrupolosa attenzione per il rispetto della tradizione, rigorosamente all'insegna dell' “ecological correct”, ha esattamente lo scopo di dare nuovo vigore ad una concezione del rapporto uomo-natura che affonda le sue radici in secoli di storia. La fase di progettazione- ha raccontato Wang in un'intervista alla CNN- parte dallo studio dell'ambiente, degli spazi e delle sue caratteristiche geografiche. Esattamente come nella pittura cinesi tradizionale, il progetto prima si sviluppa e prende forma nella mente per poi solo alla fine materializzarsi in inchiostro.
“In questi ultimi anni è come se avessimo raso al suolo tutte le nostre più grandi città,” ha raccontato il designer al Southern People Weekly, “nulla è rimasto della tradizione, tutto è stato occidentalizzato. Ora è giunto il momento di ricostruire ciò che abbiamo demolito, è giunto il momento di ricostruire la nostra cultura”.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Hukou e controllo sociale
Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...
-
Mentre al 38° parallelo tutto tace, la battaglia tra le due Coree si consuma sul web. Più esattamente su Sina Weibo, clone cinese di Twitte...
-
Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...
-
Combattute tra i sensi di colpa per aver abbandonato i propri figli in Cina e il timore di venire emarginate nel loro nuovo paese di ado...
Nessun commento:
Posta un commento