(Scritto per Uno sguardo al femminile)
Soffocato tra le colate di cemento del business district di Pechino, il Today Art Museum (Jinri yishuguan) dà un tocco di colore nel grigiore della capitale cinese ed è il primo museo privato non-profit del Regno di Mezzo.
Fondato nel 2001 da Zhao Bao Quan, dopo tre anni si è conquistato la sua attuale posizione: uno spicchio del distretto di Chaoyang, incastonato tra negozi di design e coffee shop, sembra avere l’ambizione di una 798 -ex area industriale oggi quartiere artistico- su scala minore, miscelando all’arte il fascino della “Pechino da bere”.
Il gusto occidentale all’insegna del minimal persegue la ricerca dell’essenziale, senza rinnegare la matrice sinica sulla quale si innesta. Scambi culturali e cooperazione artistica viaggiano lungo il doppio binario della ricerca accademica e della sperimentazione, dando nuovo vigore a quell’asse est-ovest sul quale si snoda gran parte della produzione artistica cinese contemporanea.
Il Today Art Museum è stato il primo in Cina ad ospitare un’esposizione personale di Jannis Kounellis – un decano del movimento italiano dell’arte povera – e il primo museo privato a realizzare una mostra collaterale della Biennale di Venezia.
Grazie alla promozione dell’iniziativa “Today Art Lectures”, negli ultimi anni ha poi aperto le porte a menti creative provenienti da ogni parte del globo; un modo per condividere esperienze e prospettive di artisti di fama internazionale con tutti gli amanti dell’arte dell’ex Impero Celeste.
Dal 15 aprile al 5 maggio, il museo ha ospitato l’esposizione di Shao Yan, uno dei maggiori calligrafi dei nostri giorni: un salto nel mondo monocromatico della pittura ad inchiostro, dove tradizione e innovazione si fondono indissolubilmente.
Classe ’62, Shao è originario di Wendeng, cittadina dello Shandong, una delle provincie costiere della Repubblica popolare cinese. Si è formato presso la Shandong Laiyang School e il laboratorio calligrafico del China Central Fine Art College. Oggi vive a Pechino come artista freelance, lavora per la Rong Bao Academy ed è vice presidente dell’Istituto di ricerca calligrafica della Chinese Painting Academy della regione del Jiangsu.
Shao non è uno qualunque. Lo confermano le sue radici familiari. Il padre, Shao Bingshan, fu un noto calligrafo specializzato nello stile yan (yanti), codificato ai tempi della dinastia Tang (618-907) e caratterizzato dalla statuaria solidità dei caratteri, lo zio Shao Bingyan, invece, un ritrattista e grande maestro della pittura ad inchiostro (bai miao renwu).
Il giovane Shao subisce l’influsso di entrambi, sperimenta, coltiva il sostrato familiare con esiti eclettici. Scarabocchia, smonta e riassembla giocattoli ed elettrodomestici; a 24 anni vince il Gold Award in occasione della National Calligraphy and Seal Carvings Exhibition for Young and Middle-aged Artists. Ma non si ferma. La sua vena creativa lo trascina in un virtuale “viaggio verso Occidente”: si avvicina all’espressionismo, all’astrattismo, trae ispirazione dalla pop art.
Nel 1990 ripercorre il sentiero in senso inverso riapprodando alla pittura ad inchiostro, ma senza mai cadere nella banalità. Rifugge l’arte concettuale e visionaria che caratterizza gran parte dei calligrafi cinesi e ribadisce fermamente la necessità di integrare l’arte contemporanea con l’eredità della tradizione.
Dal “Regno di yi” al mondo reale
La produzione di Shao Yan nasce entro i confini del “Regno di yi” (yi jing), una dimensione che nella cultura cinese ha due accezioni differenti ed è associabile sia ad uno stato mentale di tranquillità e rilassatezza, sia – in ambito più strettamente artistico – ad uno stile libero, naturale ed irrefrenabile. Una caratteristica, questa, che, completamente estranea all’estetica occidentale, affonda le radici nella pittura dei letterati che ha marchiato per secoli l’arte d’oltre Muraglia.
Nella sua insaziabile versatilità, Shao ha declinato il concetto di yi in tutte le forme possibili, realizzando opere calligrafiche su carta, istallazioni e performance, rifuggendo da concettualismi e aggirando i paletti imposti dalla tradizione.
Ma, da oltre un ventennio, una costante non lo abbandona mai: le linee vigorose, piene di luce richiamano alla mente il consueto paragone che accosta la calligrafia all’arte della spada, rievocando la pittura zen (chan in cinese).
Poi, nel 2008 un incontro ravvicinato con la morte lo conduce ad una nuova comprensione della labilità della vita umana. In seguito ad un intervento cardiaco, Shao sostituisce il pennello con una siringa; quella che lo ha tenuto in vita dopo l’operazione. Ma la sua esperienza trasborda dai confini dell’individuale per abbracciare l’umanità intera. Ora spara inchiostro denso come sangue, si accosta al mondo reale e grida i mali della società. La sua arte diventa critica e investigativa, traendo ispirazione da catastrofi naturali e ingiustizie sociali, varca i confini del “Regno di yi” per catapultarsi nel mondo, quello della Cina di oggi.
Il crescente interesse per la dimensione reale lo ha portato a compiere un ulteriore passo avanti: nel 2011 la sua sperimentazione si concentra sull’elemento “acqua”, fonte di vita. Non più semplice diluente ma vera protagonista, rimpiazza l’inchiostro, lo trasforma in “fumo” e “cenere”, lo anima.
Effetti originali scaturiscono da un nuovo processo sperimentale: i fogli già dipinti vengono immersi nell’acqua per lungo tempo, in alcuni casi 24 ore.
“Il movimento dell’acqua lascia tracce d’inchiostro sulla carta, poi evapora, si trasforma in nuvole nutrendo le creature” ha spiegato Shao “Il mio lavoro è il risultato dell’idratazione di me stesso e dell’acqua. L’idratazione lascia tracce d’inchiostro sulla carta di riso, e allo stesso tempo, in una forma artistica cooperativa, da parte mia aiuto l’acqua a completare il suo viaggio sulla Terra“.
Le opere di Shao Yan aspirano all’universale, oltrepassando confini geografici e barriere culturali.
“Nel 1999 la moglie del rappresentante di un gruppo bancario del nord-est d’Italia, acquistò una delle mie opere – ci ha raccontato l’artista – mi disse che in esse rivedeva il mare del suo paese natale, rivedeva la schiuma, le reti da pesca, le spiagge, vi scorgeva le conchiglie e riusciva persino a distinguere suo fratello surfare sulle onde. Italiani e cinesi hanno ricordi comuni riconducibili al mare. Io fin da piccolo ho vissuto vicino alla costa e inevitabilmente quei luoghi ancora suscitano in me profondi sentimenti. In questo i nostri popoli sono molto simili, pertanto le sue parole mi elettrizzarono; sembrava come se fossimo dello stesso paese. A partire da quel giorno ho cercato di intensificare i miei contatti con gli italiani. Al centro delle mie opere vi è l’acqua, e sono convinto che questo elemento possa essere un mezzo di comunicazione tra i nostri due Paesi.”
Ma cosa vuol dire “calligrafia” nell’arte contemporanea? E’ ancora possibile parlare di calligrafia anche quando un carattere, il cui scopo primario è quello della comunicazione, si libera dai lacci della semiotica perdendo qualsivoglia riferimento con la realtà concreta? La domanda si era già fatta strada verso la metà degli anni ’90, dando luogo ad un acceso dibattito tra gli esponenti del movimento d’Avanguardia sino a quando nel 1995 Zhang Qiang, artista rivoluzionario e professore presso la Shandong Academy of Fine Art, risolse la questione con una semplice osservazione: se un dipinto non figurativo rimane pur sempre un dipinto, un’opera calligrafica rimarrà tale anche se composta da segni grafici privi di significato.
Chiamiamola pure “astrattismo”, ma “con caratteristiche cinesi”: secondo Zhang è possibile attraverso l’utilizzo degli strumenti artistici tradizionali – ovvero pennelli, inchiostro e carta di riso – raggiungere effetti irriproducibili per mezzo dei loro omologhi occidentali. Un carattere, seppur illeggibile, può trasmettere un messaggio dai profondi richiami sociali e culturali, riflettendo le impressione che un artista nutre nei confronti del proprio Paese e della propria epoca.
E allora, cosa pensa Shao della Cina del 2012?
“La mia arte è incentrata sulla comunicazione e sulla coscienza. Il mio scopo è quello di tutelare la libertà d’espressione ed ogni diritto essenziale, pertanto, per me attivismo e arte sono inseparabili,” aveva dichiarato lo scorso autunno l’artista-dissidente Ai Weiwei, noto in Occidente per aver dato vita allo stadio che ha ospitato le Olimpiadi di Pechino 2008. Oggi Shao Yan non è ancora arrivato a tanto, ma la crescente disparità tra le classi sociali gonfiata dalla comune venerazione per il dio denaro, quella ci dice, è una delle piaghe della Nuovissima Cina che la sua arte vorrebbe curare.
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