martedì 30 ottobre 2012
Cina: "I verdi" alzano la voce
Una nuova vittoria "verde" per i cittadini cinesi. Con un comunicato apparso nel pomeriggio di domenica 28 ottobre sul suo account Weibo, il governo municipale di Ningbo, provincia del Zhejiang, ha detto stop ai lavori per l'ampliamento di un impianto petrolchimico, per il quale il colosso Sinopec aveva stanziato l'equivalente di 8,9 miliardi di dollari.
Da giorni la popolazione locale era impegnata in una strenua resistenza al progetto, ritenuto pericoloso per la salute dei residenti. Alla fine dei lavori la capacità di raffinazione del petrolio avrebbe dovuto raggiungere le 15 milioni di tonnellate, mentre quella di etilene 1,2 milioni di tonnellate l'anno. Ma nonostante le autorità avessero promesso misure di revisione a livello ambientale, il timore per le emissioni di paraxilene (Px) -sostanza utilizzata per la produzione di vernici e plastica con effetti dannosi sul sistema nervoso centrale, fegato e reni- ha spinto la gente di Ningbo a non demordere. Dopo una petizione inoltrata da 200 firmatari al governo della città, le proteste sono sfociate, venerdì 26, in scontri violenti con le forze dell'ordine, le quali hanno risposto utilizzando contro la folla gas lacrimogeni e idranti. Il copione è quello ormai tristemente noto: come in occasione di manifestazioni analoghe, i rimostranti hanno lamentato pestaggi da parte della polizia, diffondendo persino la notizia dell'uccisione di uno studente universitario, subito smentita dalle autorità.
Fisiologica la diffusione di rumors quando media e social network vengono sottoposti al bavaglio del governo. Molte immagini e video pubblicati su Sina Weibo, il Twitter cinese, sono rimasti vittima della censura, mentre la notizia delle proteste è passata in sordina sulla maggior parte degli organi d'informazione ufficiali. Un breve annuncio sulla prima pagina del Ningbo Daily rendeva nota la sospensione del progetto per consentirne "il perfezionamento sulla base di analisi scientifiche", individuando la causa delle rimostranze in un "errore di comunicazione". "I leader si sono impegnati ad "aumentare il rilascio di informazioni (in futuro ndr), in modo da fornire spiegazioni e rimuovere dubbi e preoccupazioni tra le masse" si legge sul quotidiano locale.
Maggiori dettagli sul Qilu Wanbao, testata dello Shandong, particolarmente attento a sottolineare come l'esito della questione rifletta il rispetto delle "autorità per l'opinione pubblica". "Anche se questo problema è stato risolto, occorre capire come sia possibile prevenire in futuro episodi simili" scrive il Qilu Wanbao "A causa del Px, questo genere di incidenti di massa si sono già verificati a Xiamen, Dalian e in altre città ed è impensabile che a Ningbo non ne fossero a conoscenza. Questo evento ha appena ricordato a tutti i dipartimenti governativi la necessità di tenere in considerazione l'opinione pubblica attraverso un processo regolare e senza ostacoli."
Per il China Daily, invece, l'aumento delle proteste ambientaliste evidenzia l'ossessione dei funzionari locali per lo sviluppo economico: " i governi locali sono ancora troppo preoccupati per il prodotto interno lordo" si legge in un editoriale apparso lunedì 29.
Più pungente il Global Times, quotidiano-bulldozer del Partito e costola del People's Daily: "Alcuni dicono che il popolo di Ningbo ha vinto, ma a nostro avviso non ci possono essere vincitori in una situazione come questa, nella quale la resistenza delle masse in strada e nelle piazze decide il destino di un progetto petrolchimico tanto importante. Sembra piuttosto che tutta la Cina ne sia uscita perdente". Alcuni giorni prima il tabloid aveva già preso le parti dei cittadini spiegando come sia necessario investire di più sulla protezione ambientale, innalzando gli standard degli impianti. "Il metodo di approvazione per la costruzione di industrie chimiche pesanti è insostenibile. Questo tipo di conflitti cesserà solo nel momento in cui i progetti riceveranno l'approvazione pubblica".
Che quella di Ningbo non sia una vittoria a pieno titolo sembrano pensarlo anche i manifestanti, i quali hanno reagito con circospezione alla notizia dell'interruzione del progetto multi-miliardario, continuando a portare avanti una timida protesta di fronte agli edifici governativi. "Purtroppo è solo una tattica dilatoria" ha commentato Sha Shi Di Sao Zi, cittadino di Ningbo, sul suo microblog "il governo avvertiva la pressione ed era ansioso di chiudere questa storia. Non è una vittoria per noi".
A pochi giorni dal Diciottesimo Congresso nazionale -che l'8 novembre stabilirà il passaggio del potere ai nuovi leder- il compromesso deve essere sembrato la soluzione più indolore per Pechino, desideroso di mantenere una parvenza di "armonia sociale". Secondo voci circolanti su Weibo, dietro la sospensione dei lavori dell'impianto si nasconderebbe la lunga mano di Zhou Yongkang, lo zar della sicurezza cinese. Negli ultimi anni la nomenklatura cinese ha cercato di prevenire disordini aumentando la spesa per la "conservazione della stabilità", tanto che, ormai, il budget per il weiwen, l'apparato di sicurezza pubblica, ha superato quello destinato all'Esercito.
Dopo un trentennio di sviluppo economico a tappe forzate, l'inquinamento ambientale, negli ultimi anni, sembra essere diventata una preoccupazioni costante per la popolazione. A dimostrarlo sono i numeri crescenti delle "proteste verdi", molte delle quali terminate con un'apparente vittoria dei cittadini. Nel giugno del 2007 una marcia anti-Px mise fine alla costruzione di un impianto chimico tossico nella città di Xiamen. Nel 2008 è stata la volta degli abitanti di Shanghai, scesi in strada contro l'ampliamento del treno a lievitazione magnetica Maglev. Lo stesso anno a Chengdu si manifestò contro un impianto di etilene finanziato dalla PetroChina, mentre a Pechino i residenti dissero no alla più grande discarica di rifiuti della capitale, responsabile di inquinare l'aria con diossine pericolose. E se il 2011 viene ricordato per la chiusura dell'impianto chimico di Dalian -anch'essa in seguito a scontri tra cittadini e polizia- il 2012, ancora prima degli episodi di Ningbo, era già stato caratterizzato da proteste analoghe. Soltanto nel mese di luglio, infatti, le città di Shifang e Qidong sono state a loro volta teatro di agitazioni in chiave ambientalista.
Secondo Yang Chaofei, vice-presidente della Società Cinese per le Scienze Ambientali, tra il 2010 e il 2011, il numero delle "proteste verdi" è aumentato del 120%. In occasione di una conferenza sull'impatto sociale dei problemi ambientali organizzata dal Comitato permanente dell'Assemblea nazionale del popolo (Npcsc), Yang ha rivelato che i cosiddetti "incidenti di massa" sono cresciuti con una media annua del 29% tra il 1996 e il 2011; 927 quelli ai quali il ministero della Protezione Ambientale ha dovuto far fronte a partire dal 2005, di cui 72 classificati come "di grande rilevanza". Ormai da anni Pechino ha smesso di rilasciare le statistiche ufficiali, dopo che il numero annuo delle proteste violente ha superato la soglia delle 100mila. Ma -secondo Sun Liping, professore di sociologia presso l'Università Qinghua- solo nel 2010, gli incidenti di massa sarebbero stati circa 180mila.
E adesso a preoccupare è sopratutto la rilassatezza della giustizia: un esiguo 1% delle controversie in materia ambientale riesce a raggiunge le aule del tribunale. Come ha messo in evidenza un editoriale comparso recentemente sul Beijing News, urge una revisione della normativa vigente per dare una risposta a chi lamenta la mancanza di disposizioni che permettano di ricevere compensazioni in caso di danni ambientali.
(Scritto per Dazebao)
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