mercoledì 26 febbraio 2014

Il peso della storia


Una data rimbalza da una parte all'altra dell'Asia: 1937. L'anno in cui, per l'improvviso allontanamento di un incauto soldato nipponico nei pressi di Wanping, prese il via la seconda guerra sino-giapponese. Alcuni mesi più tardi, la capitale della Cina nazionalista Nanchino cadeva nelle mani delle truppe dell'esercito imperiale giapponese divenendo scenario di violenze, stupri, saccheggi e incendi per sei settimane. Secondo le stime del Tribunale Militare Internazionale per l'Estremo Oriente, il numero complessivo di civili e prigionieri di guerra assassinati in quel breve arco di tempo supererebbe le 200.000 unità.

In Cina il massacro non è mai stato perdonato, e tutt'oggi il ricordo dell'efferatezza nipponica pesa sulle relazioni tra Pechino e Tokyo più di quanto non lo facciano le dispute territoriali. Le Diaoyu/Senkaku, un pugno di isolotti localizzati nel Mar cinese orientale conteso da Cina e Giappone, sembra rappresentare la scintilla di un rancore più profondo, che cova sotto le ceneri da decenni. Le motivazioni storiche sono più radicate della semplice brama per le risorse naturali nascoste nei fondali circostanti. "Sarebbe un'idiozia se i due Paesi stessero sollevando un tale polverone soltanto per un paio di scogli disabitati. Chiunque potrebbe avanzare pretese simili, senza in realtà rischiare poi molto, penso a Taiwan o agli Stati Uniti. Credo che la componente storica sia fondamentale, così come il riposizionamento nello scacchiere estremo-orientale " spiega all''Indro' Hans van de Ven, professore di storia moderna cinese presso l'Università di Cambridge "E' vero che nelle aree limitrofe vi sono ingenti risorse, ma è pur vero che potrebbero essere effettuate esplorazioni congiunte senza troppi problemi".

Negli ultimi tempi le vecchie ferite di guerra sono tornate a 'sanguinare' dopo che una serie di manovre nell'Asia-Pacifico hanno rischiato di far precipitare la situazione, innescando una tenzone verbale che -a colpi di accuse di nazismo/fascismo- ha visto partecipi i principali attori della regione: Cina, Giappone, ma anche Corea del Nord e Filippine. In principio fu la dichiarazione "unilaterale" da parte di Pechino di una ADIZ (Zona di identificazione aerea) nel Mar cinese orientale, che va ad abbracciare anche le isole contese. Poi la scena è stata tutta del Sol Levante: a dicembre la visita del Premier giapponese, Shinzo Abe, al controverso santuario Yakusuni -in cui riposano le spoglie degli eroi della patria, ma anche quelle di individui rubricati come 'criminali di classe A'- ha attirato sul Tokyo le critiche dei vicini asiatici, così come quelle dell'alleato americano, sempre più insofferente verso le prese di posizione dell'estrema-destra nipponica. Tra le iniziative ventilate dal governo giapponese vi sarebbe quella di rivedere il decennale divieto sull'export di armi e di modificare, a partire dal 2020, la Costituzione adottata al termine della Seconda Guerra Mondiale, che prevede il solo utilizzo di forze di Difesa Nazionale negando al Giappone il diritto di 'guerra' e di 'belligeranza'. A ciò si aggiunge la recente approvazione ad una revisione dei libri di testo con lo scopo di riabilitare alcune questioni storiche che fino ad oggi hanno dipinto il Sol Levante come il brutale perpetuatore di indicibili violenze; ed è così che il massacro di Nanchino e lo sfruttamento delle 'comfort women', schiave sessuali per i soldati imperiali, verrà riscritto ad uso e consumo del pubblico nipponico.

La posizione revisionista è stata abbracciata da diverse figure di spicco, tra le quali Hyakuta Naoki, membro del board dell'emittente giapponese NHK, responsabili di aver negato apertamente le devastazioni messe in atto dai giapponesi nella capitale della Cina nazionalista nel '37. Nonostante la posizione ufficiale sia quella di ammettere che «molte nazioni, sopratutto in Asia, hanno sofferto grandi pene per colpa nostra e che il governo riconosce ciò, così come lo ha fatto in passato, e continuerà a farlo in futuro», sono in molti a ritenere che il tempo delle scuse sia finito. Gli stretti sodali di Abe condividono un'agenda nazionalista che preme per una maggiore autonomia da Washington sul piano della difesa, e che rigetta l'interpretazione apologetica del peccato originale che incombe sul Giappone dai tempi della Seconda guerra mondiale.

Si tratta di una rinascita della Nazione per certi versi similare a quella racchiusa nel 'Sogno cinese' di Xi Jinping. Il cavallo di battaglia dell'uomo forte di Pechino, per quanto ancora vago, è per l'appunto quello di una palingenesi; o meglio un ritorno al passato glorioso dopo le umiliazione subite nell'800 ad opera delle potenze coloniali. In entrambi i Paesi, però, le direttive ufficiali rischiano di degenerare in pericolose interpretazioni personalistiche. Nel caso della Cina, le istanze più patriottiche hanno trovato terreno fertile tra le fila dell'esercito, da cui soffiano veri e propri venti di guerra, con il generale Liu Yazhou che in una recente intervista ha incitato a combattere per riportare i territori contesi sotto l'egemonia cinese. "Penso che i militari giochino un ruolo fondamentale nel revival nazionalista e che la leadership stia cercando di trovare una via d'uscita dal caos che si è creato", commenta van de Ven, il quale mette in dubbio la piena capacità di Xi -che è Presidente della repubblica polare, Segretario del Partito comunista ma anche Capo della Commissione militare centrale- di tenere a bada le frange più oltranziste.

L'afflato patriottico, in Cina, si è tradotto in una politica estera energica, nonché in una spesa per la Difesa seconda soltanto a quella americana; in Giappone, in un revisionismo storico dubbio e in un atteggiamento provocatorio che rischia di irritare Washington, legato a Tokyo da un 'Trattato di sicurezza' e la cui presenza nell'Asia-Pacifico si prevede andrà intensificandosi di pari passo con il ritiro dal Medio Oriente. Se, però, fino a poco tempo fa erano le manovre di Pechino a preoccupare maggiormente i Paesi limitrofi, coinvolti nelle varie controversie per la sovranità di alcuni territori nel Mar cinese (sopratutto Filippine, Malesia, Vietnam, Taiwan, Brunei), adesso le posizioni revisioniste della dirigenza nipponica potrebbero tramutarsi in una debacle d'immagine per il Sol Levante. Così, nonostante in occasione dell'Economic Forum di Davos Abe abbia cercato danneggiare la reputazione della Cina accostandola alla Germania guglielmina (già nel 2010 il Premier giapponese aveva tacciato Pechino di nazismo), il recente annuncio di una possibile revisione della Dichiarazione di Kono, contenete le scuse formali fatte dal Tokyo alle 'donne di conforto' nel 1993, non fa altro che tratteggiare l'immagine di un Giappone sempre più aggressivo. (Segue su L'Indro)


Nessun commento:

Posta un commento

Hukou e controllo sociale

Quando nel 2012 mi trasferii a Pechino per lavoro, il più apprezzabile tra i tanti privilegi di expat non era quello di avere l’ufficio ad...