Vivono ai margini della società, in condizioni di povertà e senza un lavoro. Sono i rifugiati di Hong Kong, cittadini perlopiù fuggiti da altri Paesi asiatici lacerati dalla guerra o stremati dalla carestia. Spesso vittime di torture, hanno raggiunto il Porto Profumato nella speranza di rifarsi una vita in uno dei paradisi economici d'Asia; il riparo amorevolmente dei perseguitati politici post-Tian'anmen. Ad accoglierli, invece, hanno trovato una doccia gelata.
Dopo la Seconda guerra mondiale, i rifugiati costituivano un terzo della popolazione dell'ex colonia britannica. L'isola fu più tardi scelta come riparo da centinaia di migliaia di reduci della guerra del Vietnam; un'invasione di massa ricordata tutt'ora con timore dagli hongkonghesi per le ripercussioni che ha avuto a livello sociale. Secondo le stime di UNHCR (L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), nel 2006 a Hong Kong vi erano ancora 1473 richiedenti asilo in attesa di un resposno, di cui 24,7% donne e il 23,9% bambini. Il 90% proviene dall'Asia meridionale (India, Pakistan, Sri Lanka, Indonesia, Filippine e Nepal), il 9% dall'Africa (Congo, Liberia..) e l'1% da altre parti del mondo.
Nonostante la Cina sia tra i Paesi firmatari della Convenzione di Ginevra del 1951, l'ex colonia britannica, in virtù della sua Basic Law, è rimasta svincolata dall'accordo anche dopo il ritorno alla madrepatria nel 1997. Il che di fatto la libera dall'obbligo legale di dover concedere asilo ai profughi. Il più delle volte il governo locale passa la patata bollente a l'UNHCR, affinché sia questo a occuparsi di trovar loro una sistemazione altrove. Il processo di reinsediamento può durare anche oltre un decennio. Stando a quanto riportato da RSD Watch, nel 2004, dei 798 casi passati in esame dal braccio locale dell'agenzia delle Nazioni Unite, soltanto il 18% è terminato con successo. E sebbene sia talvolta possibile presentare reclamo, la lunga fila d'attesa fa sì che a volte siano necessari parecchi anni perché un caso venga riesaminato.
Lo scorso luglio le autorità hanno dichiarato di voler cominciare ad affrontare personalmente il problema. 440 milioni di dollari di Hong Kong è il budget 2013-2014 stanziato per creare un sistema di gestione unificato, con l'intento di velocizzare i tempi d'attesa. Il denaro verrà utilizzato anche per i servizi e l'assistenza legale ai rifugiati. L'iniziativa, lodata dalla comunità internazionale, non è invece andata giù ai residenti, che, come emerge da un sondaggio realizzato dall''Oriental Daily', si sarebbero detti per la maggior parte contrari (uno schiacciante 76%). A pesare sarebbero ancora i ricordi vividi dell'esodo vietnamita, sostengono gli esperti.
In realtà, già nel 2004, costretto da una disposizione del tribunale, il governo locale aveva acconsentito a gestire direttamente i casi in cui i richiedenti avessero subito torture nel Paese di provenienza, sebbene nella realtà dei fatti sia avvenuto raramente. Nel 1992 Hong Kong ha sottoscritto la Convenzione contro la tortura ma, come mostrano i dati ufficiali, nel 2009 sono stati approvati soltanto nove casi del genere sui 3504 esaminati, ovvero lo 0,3%.
Intanto, mentre le autorità tentennano sul da farsi, i fuggiaschi continuano a vivere nella miseria, stipati nelle baracche alla periferia della città. Senza uno status giuridico, sopravvivono grazie ai sussidi il governo, che provvede alla distribuzione periodica di alimenti e a un indennizzo per l'affitto da 1500 dollari di Hong Kong (140,7 euro); una cifra irrisoria se si considerano i prezzi proibitivi dell'immobiliare locale. Ma ciò che è più allarmante, gli esuli sono privati del diritto al lavoro. Tecnicamente, l'amministrazione locale permette ai rifugiati di ottenere un impiego, previa approvazione del Dipartimento sull'Immigrazione. Ma ancora una volta i fatti smentiscono le buone intenzioni, con un'unica pratica accolta negli ultimi anni.
Proprio un paio di settimane fa, l'alta Corte di Hong Kong ha respinto all'unanimità un ricorso per il diritto al lavoro presentato da quattro fuggiaschi, andando a confermare la sentenza emessa nel 2012 da un tribunale di grado inferiore. Secondo quanto reso noto da Daly & Associates, lo studio legale incaricato di assisterli, tre dei quattro richiedenti soffrono di depressione o schizofrenia a causa dei traumi subiti in passato e per via dello stato indefinito in cui si trovano a vivere nella regione amministrativa speciale. Nel caso in cui venissero pizzicati a intraprendere un qualsiasi lavoro senza permesso, verrebbero sbattuti dietro le sbarre. (Segue su L'Indro)
lunedì 24 febbraio 2014
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