Nel 2009 la Cina ha superato gli Stati Uniti diventando il primo consumatore di energia al mondo; lo scorso anno il sorpasso cinese è avvenuto per le importazioni di petrolio, con uno scarto tra consumo e produzione di 6,3 milioni di barili al giorno. E' l'altra medaglia della vertiginosa crescita cinese, quella che Pechino considera una 'debolezza' dal punto di vista strategico. Mentre i fornitori energetici del Medio Oriente fluttuano tra periodiche crisi politiche e fiammate terroristiche, gli Stati Uniti -con una popolazione un terzo di quella cinese eppure ancora primi consumatori di petrolio e altri combustibili liquidi- si stanno lentamente affrancando dalla schiavitù dell'import. Se è vero che le esportazioni di greggio a stelle e strisce sono ancora limitate, la crescita della produzione nazionale ha già fatto calare le importazioni dall'Africa Occidentale, Europa e altre regioni. Allo stesso tempo il boom registrato negli Usa dall'olio di scisto ha depresso i prezzi e sta costringendo i produttori a concedere nuovi sconti per non perdere quote di mercato.
Da parte sua la Cina, che acquista all'estero quasi la metà dell''oro nero' che utilizza, sta cercando di risolvere la sua dipendenza da fornitori esterni accumulando riserve strategiche. Un meccanismo cominciato un decennio fa e che sta avendo ripercussioni a livello mondiale. Stando ai media statali, entro il 2020 la Cina dovrebbe riuscirà a mettere da parte un quantitativo sufficiente a tagliare 100 giorni di importazioni, che ai ritmi attuali corrisponde a minimo 600 milioni di barili di greggio. Al momento, il Dragone importa ed estrae più crudo di quanto non ne raffini, fattore che, in assenza di dati ufficiali, ha comunque permesso all'IEA (International Energy Agency) di tirare un bilancio approssimativo. Pare che nel secondo trimestre del 2014 il programma Strategic Petroleum Reserve abbia assorbito il 12% delle importazioni effettuate dal Dragone, per scorte comprese tra i 120 milioni e 260 milioni di barili.
Come fa notare il 'Wall Street Journal', tale sistema sembrerebbe spiegare almeno parzialmente perché dal 2010 a oggi i prezzi del petrolio sono scesi solo raramente sotto i 100 dollari al barile. E' quello che in gergo tecnico si chiama contango: si compra quando il prezzo è più basso e si vende quando sale. Funziona bene finché i costi di deposito rimangono abbastanza convenienti.
Se per il momento il greggio domina le scorte cinesi, lo scorso anno si era ipotizzata addirittura l'introduzione di prodotti petroliferi per rispondere all'interruzione di approvvigionamenti sul breve termine. Ma le prospettive per il futuro sono ricche di incognite. Gli analisti ritengono che la Cina potrebbe non riuscire a trovare sufficiente spazio per continuare le operazioni di stoccaggio con la velocità mantenuta sino a oggi. La svolta potrebbe venire dal mare. Secondo quanto riportato giorni fa dalla 'Reuters', Unipec, sussidiaria del colosso statale cinese Sinopec, avrebbe ingaggiato la petroliera più grande del mondo: TI Europe, lunga 380 metri e con una capacità di 3,2 milioni di barili, è una tra le poche ULCC (Ultra Large Crude Carrieres) ancora in servizio. Fu costruita una decade fa insieme ad altre tre per l'operatore Tankers International LLC; due sono ormai adibite a tempo pieno ad operazioni di stoccaggio. Stando ad alcune fonti dell'agenzia britannica, Unipec starebbe pensando di trasferire e conservare petrolio europeo a bordo dell'ULCC in acque singaporiane. Una manovra che conferma il ruolo leader delle società statali cinesi a livello mondiale, già suggerito dallo sbarco di Unipec e PetroChina in hub prestigiosi quali Londra e Singapore. (Segue su L'Indro)
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