mercoledì 3 settembre 2014

La Cina e il dilemma dell'Unione Eurasiatica


Molti la considerano una pezza a colori per coprire la debacle diplomatica di Putin in Ucraina. Ma l'EEU (Unione economica eurasiatica) è sopratutto un ambizioso piano di ricomposizione economica che mira a ricreare sulle rovine dell'ex Unione Sovietica un'entità transnazionale in grado di rendere la Russia un centro di interazione e stabilità politica tra Asia, Europa e America. Il tutto grazie alla sua posizione geografica e ad un bagaglio ideologico eurasista opportunamente alleggerito dei suoi contenuti più oltranzisti.

Lo scorso maggio, trattato di Astana ha rafforzato le basi dell'Unione doganale che dal 2010 annovera tra i suoi membri Russia, Bielorussia e Kazakistan e dal 1 gennaio 2015 prenderà le sembianze di un'Unione economica eurasiatica con il probabile ingresso di Armenia, Kirghizistan e Tajikistan. Un'organizzazione che aspira, senza giri di parole, a rivaleggiare con i grandi blocchi internazionali quali Unione europea, Stati Uniti, Cina e APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation) e dovrebbe garantire (almeno sulla carta) la libera circolazione di beni, servizi, capitali e forza lavoro fra i Paesi aderenti. Calcolando soltanto Russia, Kazakistan e Bielorussia si parla già di 170 milioni di consumatori, 2.700 miliardi di dollari di Pil aggregato, 20% delle riserve di gas mondiale e 15% di quelle petrolifere.

Se i numeri sembrerebbero suggerire una rimonta russa nel tradizionale 'cortile di casa', Mosca tuttavia prosegue la ricostruzione eurasiatica orba della sua pietra angolare: il divorzio dall'Ucraina, ormai sempre più 'europea', probabilmente implicherà uno spostamento del baricentro dell'EEU verso Oriente -l''idea di trovare un posto sotto il cappello moscovita parrebbe non dispiacere nemmeno a Vietnam, Nuova Zelanda, Turchia e Israele- mentre le regioni asiatiche della Russia, ancora poco sfruttate per mancanza di infrastrutture, potrebbero fare da volano alla crescita del Paese, da luglio ufficialmente in recessione. Proprio lunedì è stato dato il via ai lavori per la costruzione della China-Russia East Route, gasdotto che stando all'agenzia di stampa cinese 'Xinhua' «possiede un grande significato per il ringiovanimento della base industriale tradizionale della Cina nordorientale e lo sviluppo dell'Estremo Oriente russo». Buoni proposito contro i quali tuttavia remano una serie di gruppi liberali filoccidentali, ultranazionalisti e burocrati del Far East russo ostinatamente contrari a un'eccessiva dipendenza dalla Cina.

Se a prevalere tra i due giganti regionali sarà una comunione d'intenti o una sovrapposizione d'interessi è ancora tutto da vedere. Per Andrej Grosin del Russian Instituite for CIS Countries, non ci sarebbe alcuna rivalità tra Mosca e Pechino, giacché l'espansione cinese in Asia Centrale finora è costato più all'Occidente che alla Russia. Proprio l'Occidente sembrò essere il target del discorso con cui, nel 2011, Putin annunciò il progetto per un'Unione eurasiatica, giusto a ridosso da un fallimentare summit Ue tenutosi a Varsavia con lo scopo di attrarre sei ex Repubbliche Sovietiche (Armenia, Arzebaijan, Georgia, Moldavia, Ucraina e Bielorussia) nell'orbita di Bruxelles. La famosa 'Eastern Partnership' nell'ambito della quale Kiev, Tbilisi e Chisinau hanno recentemente siglato Accordi di Associazione. (Segue su L'Indro)

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