venerdì 31 ottobre 2014

Anche l'arte deve 'servire il popolo'


Anche l'arte deve servire il popolo. O meglio, il Partito. Un nuovo dogma va ad arricchire il 'Xi Jinping pensiero': tutte le opere d'arte debbono «incarnare i valori socialisti in modo vivido e brillante», «sostenere lo spirito cinese» e «ridare forza alla Cina». L'industria dell'entertainment deve colorarsi di 'rosso' e il patriottismo diventare il principio ispiratore dei professionisti della cultura. «Le belle opere dovrebbero essere come il sole in un cielo azzurro e una brezza di primavera che ispiri le menti», ha scandito il Presidente. Vietato, invece, «diventare schiavi dell'economia di mercato» e del dio denaro.

Le nuove direttive sono state annunciate da Xi Jinping in occasione di un simposio sulle arti tenutosi due settimane fa a Pechino che ha riunito nella Grande Sala del Popolo firme autorevoli quali il premio nobel per la Letteratura, Mo Yan, il regista di Addio mia concubina, Chen Kaige, e decine di altri decani del panorama artistico d'oltre Muraglia. Dopo un cenno ai maestri francesi Degas e Cézanne, e un elogio ai classici occidentali di Hemingway, Tolstoj e Hugo, l'arringa ha assunto note 'pop'. Xi si è abbandonato ai ricordi di gioventù raccontando quando, ai tempi delle restrizioni imposte sotto la Rivoluzione Culturale, una volta aveva dovuto percorre quasi quindici chilometri per prendere in prestito da un amico il "Faust" di Goethe.

Il messaggio del Presidente cinese arriva a oltre settant'anni dai discorsi sulle arti e la letteratura tenuti da Mao Zedong a Yan'an con l'intento di dettare un modello socialista nelle creazioni letterarie e artistiche. Tra Xi e Mao intercorrono esattamente 72 anni così come 72 erano anche i presenti al forum del 15 ottobre; chi conosce bene la Cina sa che i numeri da queste parti hanno un certo peso. Era il maggio 1942 e il Grande Timoniere incitava 'il fronte culturale' ad affiancare la controparte militare nella battaglia combattuta dal Partito comunista contro i Nazionalisti per il controllo del Paese: alle arti veniva chiesto di «diventare una componente della macchina rivoluzionaria...operare come armi capaci di riunire ed educare il popolo, attaccare e distruggere il nemico». Il destinatario del prodotto artistico era la classe operaia; il suo obiettivo riprodurre il più fedelmente possibile la vita quotidiana per raggiungere le masse.

La Conferenza di Yan'an rientra tra quelle pagine della storia cinese che il potere costituito ama celebrare, tanto che due anni fa 100 artisti e letterati si sono occupati di riscrivere a mano i 'discorsi'. Un lavoro che è costato al su citato Mo Yan -tra i calligrafi incaricati dell'opera- le critiche di quanti lo giudicano uno 'scrittore di regime'.

Con l'avvio delle riforme e dell'apertura fine anni '70 il controllo sulla cultura venne parzialmente allentato. Aderendo alla linea staliniana, Deng Xiaoping riteneva che gli scrittori e gli artisti dovessero porsi come «ingegneri dello spirito umano» attraverso lo studio di Marx, Lenin e Mao. Come scrive Austin Ramzy sul 'New York Times', sebbene nessuno lo abbia fatto con la stessa enfasi di Mao, anche i suoi successivi hanno continuato a cercare di direzionare la cultura nazionale. L'ex Presidente Hu Jintao (2002-2012), ha spianato la strada a Xi Jinping spostando il focus sull'arte come «veicolo di prestigio nazionale» e soft power. Il leader in pensione non si dava pace all'idea che una Cina seconda economia mondiale venisse ancora considerata un «nano culturale». Si devono proprio a lui i primi appelli incalzanti per una riforma del sistema culturale a fronte di un patrimonio valoriale scricchiolante. A seguire, alcuni ritocchi dei palinsesti televisivi per ripulire il piccolo schermo dagli spettacoli 'volgari' e diseducativi a tutto vantaggio di programmi utili al rilancio di un'agenda politica ben precisa. Si pensi all'improvviso entusiasmo per i film anti-giapponesi in concomitanza con il rinfocolare delle belligeranze per le isole Diaoyu, o alla recente miniserie su Deng Xiaoping fatta uscire mentre Xi sta cercando di passare alla storia come un nuovo Piccolo Timoniere promettendo riforme epocali.

Quello che ancora serve al gigante asiatico è il grande salto dall'import dell'entertainement Made in Usa all'export di un Made in China non più low cost ma di qualità. Un concetto di fondo che perdura nell'era Xi Jinping, dove l'arte viene concepita in termini di «competizione culturale». «L'arte cinese raggiungerà un nuovo sviluppo soltanto quando riusciremo a utilizzare le creazioni straniere per servire la Cina», ha affermato Xi. L'obbligo morale del letterato sta nel «diffondere i valori cinesi, incarnare la cultura tradizionale ed esprimere i canoni estetici cinesi». (Segue su L'Indro)

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