mercoledì 1 ottobre 2014

Cina e Giappone quasi amici?


Se non si può ancora parlare di pace, quello tra Cina e Giappone sembra quantomeno essere un 'armistizio'. L'approssimarsi del summit APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation) ha spianato la strada alla ripresa dei colloqui tra i due rivali asiatici: in cima all'agenda sicurezza nel Mar Cinese Orientale, rapporti commerciali e un primo meeting bilaterale tra il Presidente cinese Xi Jinping e il Premier nipponico Shinzo Abe. Ma andiamo per ordine.

La scorsa settimana, Pechino è tornato a bacchettare Tokyo. Parlando all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha ricordato che «la storia non deve essere distorta e l'aggressione non deve essere negata (...) Soltanto in Cina l'attacco dei militari giapponesi ha fatto 35 milioni di vittime tra soldati e civili, morti e feriti». Le cifre del massacro perpetrato dal Sol Levante riempiono di quando in quando i comunicati ufficiali; figuriamoci con l'avvicinarsi del primo giorno dei martiri (30 settembre), new entry nel calendario delle festività con le quali Pechino si impegna a ricordare quanti sono morti servendo la Nazione tra le Guerre dell'oppio e la seconda guerra sino-giapponese.

Nell'ultimo anno, un'escalation di eventi ha squassato l'Asia-Pacifico in un botta e risposta che ha visto protagonisti sopratutto Pechino, Tokyo e gli strascichi della Seconda Guerra Mondiale. Lo scorso febbraio, Abe ha ordinato un riesame della dichiarazione Kono del 1993 sulle 'comfort women', come vengono chiamate le donne asiatiche costrette a lavorare nei bordelli dell'esercito imperiale giapponese tra gli anni '30 e '40 del secolo scorso. La mossa ha scatenato le ire di Cina e Corea del Sud, che accusano il Governo nipponico di militarismo a causa della dibattuta revisione dell'Art. 9 della Costituzione Pacifista.

Di pochi mesi prima la visita di Abe al controverso santuario di Yasukuni, dove riposano le spoglie di criminali di Classe A condannati per crimini contro la pace durante la Seconda Guerra Mondiale. L'iniziativa aveva spinto anche Washington ad esprimere una severa condanna, contravvenendo all'abituale predilezione americana per il compromesso al fine di calmare le acque nel Mar Cinese Orientale: gli Stati Uniti sono legati al Giappone da un trattato di cooperazione e mutua sicurezza che «copre tutti i territori sotto amministrazione giapponese, comprese le isole Senkaku», rivendicate da Pechino con il nome di Diaoyu. Vale a dire che, nel caso in cui Pechino e Tokyo passassero dalle frizioni verbali alle armi, Washington si troverebbe costretto a intervenire in favore del vecchio alleato. Un'ipotesi tutt'altro che auspicabile per l'amministrazione Obama, divisa tra la volontà di affermare a propria assertività nell'Asia Orientale e la necessità di mantenere cordiali rapporti con la seconda economia del mondo.

Ma è proprio riguardo le dispute marittime che, a sorpresa, Wang Yi ha adottato una linea più morbida rispetto al suo predecessore. Se nel 2012, l'allora Capo della diplomazia cinese Yang Jiechi si rivolse alle Nazioni Unite bollando la nazionalizzazione giapponese delle isole Diaoyu/Senkaku come un 'furto', stavolta Wang ha invitato al «rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale» astenendosi dal citare nello specifico i casi che vedono la Cina fronteggiare alcuni vicini asiatici per difendere i propri diritti nel Mar Cinese Orientale (da Giappone e Taiwan) e in quello Meridionale (sopratutto, da Filippine e Vietnam). Appena un paio di giorni prima, il Ministro degli Esteri cinese aveva avuto un incontro informale con il suo omologo nipponico Fumio Kishida «su espressa richiesta della parte giapponese». Si tratta del secondo faccia a faccia tra i rispettivi dicasteri da quando Abe ha assunto l'incarico di Premier nel dicembre 2012; il primo aveva avuto come sfondo il summit Asean tenutosi quest'estate a Naypyidaw, in Birmania. Il prossimo passo potrebbe essere un meeting ai massimi vertici. (Segue su L'Indro)

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