giovedì 16 ottobre 2014

#HongKong: Il pressing democratico di Londra e le minacce di Pechino


L'amministratore delegato di Hong Kong, CY Leung, (ri)apre al dialogo con gli studenti in protesta dal 29 settembre per l'ottenimento di elezioni pienamente democratiche. Ma pone dei paletti: il 'suffragio universale' non è contenuto nella Dichiarazione congiunta sino-britannica del 1984, che invece richiede che "il chief executive venga eletto dal Governo centrale sulla base di elezioni o consultazioni tenute a livello locale". L'obiettivo dei colloqui, che si potrebbero tenere la prossima settimana, è quello di raggiungere un accordo su come rendere effettivo il principio 'un uomo, un voto' alle elezioni del 2017, rimanendo entro i limiti imposti dalla Basic Law e dal quadro normativo stabilito da Pechino. Il compromesso potrebbe arrivare soltanto per quanto riguarda la composizione del comitato (fino a oggi fortemente filo-regime) che si occupa di effettuare lo screening dei candidati.

Da Pechino continuano ad arrivare, a mezzo stampa, accuse contro l'Occidente e i suoi tentativi di 'rivoluzioni colorate' finalizzate a speronare la (quasi) prima economia del mondo. Proprio il 29 settembre il People's Daily, organo del Partito comunista cinese, ha pubblicato un editoriale dal titolo "Nessuno ha a cuore il destino di Hong Kong più del popolo cinese" in cui, in sostanza, si ricorda come, in 150 anni di colonizzazione, Londra abbia sempre rifiutato qualsiasi concessione democratica nei confronti di Hong Kong. E' soltanto con il ritorno alla madrepatria che si è cominciato a parlare di 'suffragio universale', puntualizza il quotidiano.
Eppure una serie di documenti 'segreti' rilasciati dal Governo britannico negli ultimi due anni (ripresi da Quartz) attestano il pressing con il quale le autorità cinesi hanno dissuaso Londra dall'assicurare la piena autonomia al Porto Profumato fin dagli anni '50. A partire da una conversazione avvenuta nel 1958 tra il tenente colonnello Kenneth Cantlie e Zhou Enlai in cui il Premier cinese afferma che concedere al popolo hongkonghese il diritto di autogovernarsi verrebbe considerato da Pechino un "atto molto ostile" ripagabile con un'invasione.

Nelle pagine ingiallite della storia compare l'ammissione che la vera ragione per la quale Mao Zedong non si è ripreso con la forza Hong Kong è da ricercare nei "vantaggi economici" derivanti dall'intermediazione del governo britannico con l'esterno. Letteralmente: "Attraverso Hong Kong possiamo commerciare ed entrare in contatto con altri popoli e paesi, ottenendo materiali di cui abbiamo estremamente bisogno. Per questo motivo fino a ora non abbiamo mai chiesto la restituzione di Hong Kong".


Allo stesso tempo, poco prima di riconsegnare la colonia alla mainland, Londra ha cominciato ad avvertire la necessità di proteggere i propri interessi finanziari a Hong Kong dal colpo di coda di un'eventuale crisi politica a Pechino (nell'81 è stata processata la Banda dei quattro), nonché da uno sconfinamento del sistema economico socialista sull'isola. Da qui l'intenzione di accelerare la transizione democratica nel Porto Profumato con il proposito di lasciare alla Cina una Hong Kong il più simile possibile a Singapore o alla Malaysia, ovvero il più possibile indipendente.










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