martedì 10 aprile 2018

In Cina e Asia



Le solite promesse di Xi Jinping


Pechino ridurrà le tariffe sulle importazione, specialmente nel settore automobilistico. Lo ha dichiarato Xi Jinping nel suo discorso inaugurale al Boao Forum, il Davos d’Asia, in corso sull’isola di Hainan, promettendo una maggiore apertura del mercato interno agli investitori esteri. Si parla di concedere ai capitali stranieri una maggiore partecipazione nei settori finanziario e dell’automotive, quest’ultimo più vole citato da Trump come cartina tornasole del protezionismo cinese. “Miglioreremo l’allineamento con le regole economiche e commerciali internazionali, aumenteremo la trasparenza, rafforzeremo la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, sosterremo lo stato di diritto e incoraggeremo la concorrenza opponendoci al monopolio”, ha aggiunto il presidente cinese, accennando alla ristrutturazione degli apparati amministrativi che ha visto la creazione ex novo di una nuova agenzia per la regolamentazione del mercato. Solo pochi cenni all’istituzione di nuovi porti di libero commercio per la sperimentazione economica, che stando a indiscrezioni del Scmp avrebbero dovuto rappresentare il fulcro del nuovo piano economico con cui appagare le aspettative della comunità internazionale nel 40esimo anno dall’avvio delle riforme denghiane. Nessun riferimento diretto nemmeno alla guerra dei dazi in corso con gli Stati Uniti, sebbene ogni singola parola pronunciata dal leader cinese paia rispondere alle bordate di Trump. “La Cina non desidera rovesciare l’ordine internazionale esistente né cerca un surplus commerciale; abbiamo un genuino desiderio di aumentare le importazioni e raggiungere un maggiore equilibrio dei pagamenti internazionali”, ha dichiarato Xi. Ma considerata l’assenza di dettagli sulle modalità e i tempi di implementazione di quanto annunciato difficilmente sono promesse sufficienti a disinnescare la tensione tra le due sponde del Pacifico.

Rinnovabili: la Cina contribuisce per circa il 50% degli investimenti

Secondo un rapporto realizzato congiuntamente dal United Nations Environment Programme (UNEP), Bloomberg New Energy Finance e la Frankfurt School of Finance and Management. nel 2017 gli investimenti nelle rinnovabili a livello mondiale sono aumentati del 2% raggiungendo quota 279,8 miliardi di dollari. La Cina da sola conta per il 45% del totale, con una quota particolarmente consistente nel solare. Lo scorso anno Pechino ha destinato al fotovoltaico 86,5 miliardi di dollari, un +58% su base annua che si è tradotto in una capacità istallata di 53 gigawatt, più di quanto generato a livello globale nel 2014. Proprio ieri i media di stato hanno annunciato che la prima autostrada solare al mondo — che si trova nello Shandong — ha prodotto 90mila kWh nei primi 100 giorni dall’apertura. Numeri che non bastano a occultare il lampante paradosso: la Cina continua ad essere anche il principale esportatore di impianti a carbone in giro per il mondo.

Ombre cinesi sul Pacifico

Pechino starebbe progettando la sua prima base militare permanente nel Pacifico, la seconda a livello mondiale dopo Gibuti. A riferirlo sono fonti di Fairfax Media, secondo le quali sono già in corso consultazioni preliminari per l’istituzione — graduale — di un avamposto militare a Vanuatu. L’arcipelago, situato a 2000 km dalle coste australiane, fornirebbe a Pechino una strategica base d’appoggio in un momento di crescenti rivalità regionali con gli Stati uniti e i suoi alleati, di cui Camberra è tra i più fidati. Tra i pochi paesi a sostenere l’espansionismo di Pechino nel Mar cinese meridionale, Vanuatu è già da tempo nell’orbita cinese almeno da un punto di vista commerciale: Pechino conta per metà del debito estero contratto dal governo di Port Vila (400 milioni di dollari). Proprio di recente il gigante asiatico ha stanziato i capitali necessari alla costruzione di una serie di edifici ministeriale, scuole e una nuova residenza per il presidente.

Una fortunata storia di “made in Africa”

Nemmeno l’instabilità politica dell’Etiopia è riuscita a frenare l’inarrestabile avanzata di Transsion Holdings, società pressoché sconosciuta — proprietaria del marchio Tecno Mobile — divenuta negli ultimi dieci anni leader nella vendita di dispositivi mobili in Africa. Oggi un africano su sei utilizza prodotti realizzati dall’azienda di Yu Weiguo, che ha scelto la periferia di Addis Abeba per costruire la sua prima fabbrica nel continente. Entro luglio Transsion spera di riuscire a vendere 2 milioni di telefoni al mese. La ricetta del suo successo sta nell’aver compreso le esigenze del mercato locale. In Cina Tecno Mobile non è nemmeno nella top 10 dei principali produttori di smartphone; in Africa è prima con in mano il 30% del mercato locale, seguita da Samsung (20%). Nato come brand economico, Tecno Mobile ha puntato su una serie di funzioni ritagliate su misura per la clientela africana: cellulari multi sim, fotocamere in grado di rilevare meglio la carnagione scura e batterie più durevoli per sopperire alla mancanza di infrastrutture elettriche. Un’affinità che si ripercuote anche sulle sue politiche di assunzione: dei 5000 dipendenti impiegati nel continente il 90% è composto da gente del posto. Alla faccia di chi accusa Pechino di esportare manodopera cinese a discapito della popolazione locale.

Accademici boicottano università sudcoreana attiva nel settore bellico


Oltre 50 ricercatori provenienti da 30 paesi diversi hanno firmato una lettera aperta per condannare la partnership tra il Korea Advanced Institute of Science and Technology (Kaist) e Hanwha Systems, uno dei più grandi produttori di armi della Corea del Sud. Lo scopo della collaborazione è dichiaratamente quello di adattare l’intelligenza artificiale al settore militare. Ma secondo quanto affermato dal preside dell’università sudcoreana il progetto verterebbe soltanto “sullo sviluppo di algoritmi per sistemi logistici efficienti, sistemi di addestramento senza pilota per la navigazione e l’aviazione” non per la fabbricazione di “armi autonome letali”. Il professor Il Prof Noel Sharkey, che dirige la Campagnaper fermare i Robot Assassini, ha accolto con sollievo le affermazioni del collega ma ha chiarito che prima di interrompere il boicottaggio i firmatari hanno bisogno di altro tempo per discutere la relazione tra l’istituto e la Hanwha. Fino a quel momento sono sospesi tutti i rapporti accademici con l’università. La polemica infuria mentre le Nazioni Unite riunite a Ginevra esaminano la proposta avanzata da 22 paesi di vietare lo sviluppo di robot assassini e armi autonome letali.


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