giovedì 5 aprile 2018

In Cina e Asia



Guerra dei dazi: chi vince e chi perde

La guerra dei dazi tra Cina e Stati Uniti rischia di avere — nel bene e nel male — ricadute sul resto del mondo. Chi vince e chi perde? A risentire dell’onda d’urto saranno soprattutto i partner commerciali asiatici. Secondo gli esperti, i primi a venire penalizzati saranno quei paesi — come Corea del Sud, Taiwan, Vietnam e Malaysia — che esportano oltre Muraglia componenti elettroniche e industriali per prodotti made in China destinati al mercato americano. A rischio anche il Giappone, che ogni anno esporta quasi 700 miliardi di articoli tra automobili, computer, materiale elettrico, ferro e acciaio, e Hong Kong, attraverso cui passa buona parte del flusso commerciale estero diretto verso la mainland. C’è tuttavia anche si si sfrega le mani. Sono i produttori di soia, come Brasile e Argentina, i primi a poter sfruttare il rincaro dell’export statunitense sottoposto a dazi per incrementare le proprie forniture al gigante asiatico. Mentre le tariffe sulla carne di maiale e al’industria aerospaziale aprono la strada ai competitor europei, quali Danimarca, Germania, Spagna e Russia. Se Boeing è fuori dai giochi, Airbus avanza.

Pechino rimuove la Bibbia dai siti online

Mentre le negoziazioni per una riconciliazione tra Pechino e il Vaticano continuano tra indiscrezioni e smentite, la Bibbia è silenziosamente sparita dai principali siti di e-commerce — compresi Taobao, JD.com, and Amazon China — dove fino a un anno fa era ancora reperibile. Una sorte beffarda per il paese primo produttore al mondo per copie stampate. Secondo un rivenditore, l’ordine sarebbe arrivato direttamente da Taobao senza spiegazioni. Lunedì, una direttiva non necessariamente legata alla sparizione delle Bibbie, aveva richiesto a JD di rimuovere tutti i testi “illegali” dalla propria piattaforma online. Da qualche tempo, chi vuole ottenere le sacre scritture è costretto ad affidarsi al contrabbando hongkonghese, conferma un fedele della comunità cattolica del Zhejiang. Soltanto un paio di giorni fa Pechino ha rilasciato il primo libro bianco sulla libertà di religione in oltre vent’anni, volto a riaffermare protezione per ogni culto, purché in accordo con i valori socialisti. Stando alle stime ufficiali in Cina ci sono 200 milioni di credenti in cinque religioni riconosciute, di cui solo sei milioni cattolici. Stime che non includono la comunità “sotterranea” fedele al Papa.

Pechino e Mosca riaffermano la propria partnership militare

La prima visita a Mosca del nuovo ministro della Difesa cinese ha uno scopo ben preciso: “far sapere agli americani quanto siano stretti i rapporti tra le forze armate di Cina e Russia”. A dirlo è lo stesso Wei Fenghe giunto a Mosca insieme al ministero degli Esteri Wang Yi in un momento di profondo isolamento diplomatico per il governo di Putin. L’intento è quello conclamato di “mostrare al mondo l’alto livello di sviluppo delle nostre relazioni bilaterali e la ferma determinazione delle nostre forze armate nel rafforzare la cooperazione strategica”. Secondo gli esperti la duplice presenza di Wei e Wang potrebbe segnare l’ufficializzazione di “incontri ministeriali 2+2”, ovvero dove la parte diplomatica e la difesa dei due paesi collaborano in sincronia. Ma a colpire è sopratutto la partecipazione degli Usa in qualità di “convitato di pietra”. Mentre venti di guerra commerciale infuriano tra le due superpotenze, a Delhi si teneva un summit trilaterale tra gli alleati dell’Indo-Pacifico: Stai Uniti, India e Giappone. Ecco che l’alleanza sino-russa acquista anche più rilevanza negli equilibri regionali.

Boracay chiude al turismo


L’isola filippina di Boracay resterà chiusa ai turisti per sei mesi. L’ordine, che entrerà in vigore il 26 aprile, ha lo scopo di tutelare lo stato di salute della nota località balneare filippina. Lo scorso anno l’isola ha accolto 2 milioni di visitatori grazie alle sue oltre 500 attività turistiche. Un business che ha fruttato oltre 1 miliardo di dollari di entrate, ma che stando a quanto denunciato dallo stesso presidente filippino, è alla base del rapido degrado ambientale. Il dito punta contro gli operatori commerciali, colpevoli di scaricare acque reflue direttamente in mare. “Vi accuserò di grave negligenza del dovere per aver trasformato Boracay in un laghetto o in una fogna”, aveva detto tempo fa Duterte.

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