giovedì 31 marzo 2016
State Grid, dall'Artico all'Equatore
Il metodo più efficace per risolvere il problema della scarsità delle risorse, limitare l'inquinamento e contrastare i cambiamenti climatici? Liu Zhenya, presidente di State Grid, la più grande società elettrica al mondo con sede a Pechino, non ha dubbi: costruire una rete elettrica globale in grado di sfruttare il vento artico e la luce solare dell'Equatore. Se tutto andrà come da programma, il progetto dovrebbe essere completato per il 2050, quando a pieno regime il sistema genererà migliaia di terawattore all'anno. Costo complessivo: 50 trilioni di dollari.
Il piano, così come proposto da State Grid, prevede tre fasi: la prima, di breve periodo, prevede l'implementazione di un'interconnessione a lungo raggio in territorio cinese (prerequisito è che la seconda economia mondiale colmi le proprie mancanze) e allo sviluppo della tecnologia necessaria per la trasmissione delle risorse rinnovabili. Poi, si procederà a collegare la rete cinese con quella dei paesi vicini. A tal proposito mercoledì è stato siglato un memorandum d'intesa per la realizzazione di un network in Asia Nord-Orientale con il coinvolgimento della giapponese Soft Bank Corp, la russa Rossetti e la coreana Korea Electric Power Corp. Infine, si passerà alla costruzione di basi ad energia solare e parchi eolici nell'Artico, da cui partiranno linee di alimentazione a lungo raggio in direzione delle aree più bisognose.
Insomma, un progetto che s'inserisce a pieno nella tradizione dei virtuosismi ingegneristici cinesi (dalla Grande Muraglia alla famigerata Diga delle Tre Gole), proiezione della grandeur faticosamente riconquistata dopo gli anni bui in cui la Cina veniva additata come la malata d'Asia. Oggi ne è il traino e non solo in termini di Pil. Secondo un recente studio ripreso dall'Economist, Pechino ormai investe nelle rinnovabili più di America e Giappone cumulativamente, mentre il Tredicesimo Piano Quinquennale (2016-2020) - approvato pochi giorni fa dal parlamento cinese - preannuncia un lustro all'insegna della "green economy".
"Attraverso reti veloci speriamo di assicurare una fornitura a livello mondiale promuovendo l'integrazione dell'energia pulita", ha scandito Liu in occasione dell'International Conference on Global Energy Interconnection tenutasi mercoledì a Pechino. Come spiega il China Daily, l'inadeguatezza delle infrastrutture costituisce il fattore numero uno all'origine di sperperi e inefficienza. Secondo fonti ufficiali, lo scorso anno circa il 15 per cento dell'energia elettrica è andata sprecata, mentre il 12 per cento di quanto generato dal solare è rimasto indistribuito. La realizzazione di linee elettriche ad altissima tensione dovrebbe facilitare l'erogazione dell'energia inutilizzata verso le regioni più sprovviste, chiarisce Liu.
Inutile dire che, aldilà delle belle parole, la State Grid tira acqua al proprio mulino. Il titanico progetto non solo si inserisce nel processo di "go global" intrapreso dalla società negli ultimi anni (ricordiamo l'accordo con Cassa Depositi e Prestiti da 2,1 milioni di euro), ma mette anche a frutto l'esperienza maturata dalla compagnia nello sviluppo della tecnologia necessaria alla trasmissione su lunga distanza. Un'operazione "win-win", come direbbero nei palazzi del potere in piazza Tian'anmen. Ma di non facile realizzazione.
Resta, infatti, da vedere chi sarà disposto a sborsare la somma necessaria, che è pari a quasi due volte la produzione di Cina e Stati Uniti messi insieme. Calcoli economici a cui si aggiungo grattacapi relativi alla sicurezza nazionale. Come fa notare il Wall Street Journal, oltre alla possibilità che la rete diventi facile vittima di cyber-attacchi, c'è da chiedersi quanti saranno disposti a mettere in mani cinesi la gestione di un'utility tanto cruciale.
A Liu, tuttavia, tutto questo non sembra preoccupare. E' un po' come costruire il "world-wide web", dice: si inciampa in ostacoli di natura politica, cionondimeno "questa è la direzione giusta da intraprendere".
Compagno presidente è ora di dimettersi
"Chiediamo per il bene del Partito, per la salvezza a lungo termine della Nazione, per il tuo bene e per quello della tua famiglia, di dimetterti da ogni incarico statale e di Partito. Di lasciare nelle mani del popolo cinese e del Partito la scelta di un'altra persona capace che possa guidarci attivamente verso il futuro." Firmato: "I membri fedeli del Partito".
E' una bomba a orologeria la lettera comparsa il 4 marzo sul sito specializzato in diritti umani Canyu.org e ripresa nel giro di poche ore da altre piattaforme online, compreso il filo-governativo Watching.cn. Lo è davvero dal momento che il destinatario della missiva è nientemeno che il presidente cinese Xi Jinping, l'uomo che dal novembre 2012 guida il gigante asiatico sullo scivoloso sentiero delle riforme economiche con pungo di ferro e tolleranza zero verso le voci del dissenso politico.
L'appello comincia con un plauso dei successi ottenuti dal leader (campagna anti-corruzione e implementazione delle riforme economiche) per poi degenerare in un'aspra critica contro l'erosione dell'indipendenza degli organi statali, l'aggressività inconcludente della politica estera, e l'incapacità gestionale manifestata di fronte all'altalena dei mercati finanziari, al problema disoccupazione e alla svalutazione dello yuan, la moneta locale.
Come spesso accade in caso di contenuti sensibili, la lettera è stata fatta sparire dal web in un tardivo ripensamento dello staff di Watching.cn. Il problema è che a sparire non è stata soltanto la lettera.
Il 15 marzo, il giornalista Jia Jia (87mila follower su Twitter) scompare nel nulla mentre si trova all'aeroporto di Pechino in viaggio verso Hong Kong. Di lui si perdono le tracce per giorni fino a quando domenica scorsa è arrivata la conferma del suo avvocato: Jia è stato trattenuto per "un'indagine", non è ben chiaro se come sospettato o per collaborare alle ricerche. Ma i bene informati non hanno dubbi sul fatto che esista un collegamento tra la sua sparizione, quella di un'altra quindicina di persone e la lettera, sulla cui pubblicazione Jia aveva espresso molti timori. La notizia del suo rilascio, circolata venerdì e confermata dal suo legale, per il momento non basta a fare luce sul caso. Chi ha scritto veramente la lettera? E sopratutto, come è finita su un sito finanziato dal governo?
Jia è l'ultima vittima di un giro di vite che non sembra avere fine. Attivisti, avvocati, dissidenti e giornalisti. Chiunque metta in discussione l'operato dell'amministrazione Xi Jinping si ritrova dietro le sbarre o sulla CCTV, l'emittente di Stato con il pallino per le autocritiche a telecamere accese.
Tira un'aria tesa a Zhongnanhai, il Cremlino d'oltre Muraglia, da quando il "miracolo cinese" ha cominciato a perdere smalto. Secondo un'analisi basata su una serie di direttive interne, tra il 2012 e il 2014 l'economia si classificava soltanto settima tra gli argomenti considerati più sensibili nella lista nera dei censori. L'anno scorso - quando il Pil è cresciuto ai minimi da 25 anni - era già salita al secondo posto. Perché, come si sa, il rallentamento della crescita minaccia l'agognata "armonia sociale," lo dimostra l'impennata del numero delle proteste sul lavoro registrate negli ultimi tempi, circa 500 solo nel mese di gennaio.
Va da sé che, in tempi di intolleranza, l'editoria risulta tra i settori più colpiti. Introdotta inzialmente nell'ambito della campagna anti-corruzione (in Cina il silenzio stampa non di rado viene indotto attraverso generose mazzette), la mordacchia viene ormai applicata con mezzi decisamente più grezzi. Ancora prima di Jia Jia a volatilizzarsi nel nulla erano stati i cinque librai di Hong Kong legati alla Causeway Bay Bookstore, libreria nota per i suoi testi scandalistici sull'establishment cinese. Un a storia dai contorni ancora poco chiari, specie per quanto riguarda l'inettitudine dimostrata dalle autorità dell'ex colonia britannica in un momento in cui il Porto Profumato avverte più che mai l'ingerenza della mainland dopo il fallimento delle manifestazioni democratiche degli Ombrelli. E non fa strano che nel 2015 l'Hong Kong Journalists Association abbia registrato un'ulteriore deterioramento della libertà di stampa per il secondo anno di fila.
Sulla terraferma, il nuovo anno si è aperto con una storica visita di Xi Jinping presso le sedi dei principali media di Stato, la prima da quando ha assunto l'incarico di presidente. Il messaggio risuona forte e chiaro: i media devono "allineare la loro ideologia, il pensiero politico e le azioni a quelle del Comitato Centrale del Partito e debbono aiutare a forgiare le ideologie e le linee del Partito," ha dichiarato il numero uno di Pechino.
Come spiega David Bandurski su China Media Project, il tour di Xi inaugura una nuova linea politica per i media nazionali. Bandurski paragona la visita di Xi a quella realizzata dal suo predecessore, Hu Jintao, nella redazione del People's Daily. Correva l'anno 2008 e per l'ex presidente i media avevano il compito di "incanalare l'opinione pubblica", mentre ora Xi predilige la linea definita dei "48 caratteri" che implica una quasi completa aderenza ai valori del Partito. Un approccio non più "strategico e selettivo" come ai tempi di Hu Jintao, ma "senza esclusione di colpi". Quello della lealtà a tutti i costi. Funziona? Per il momento parrebbe proprio di no. E a poco sono serviti i cartoni animati e i motivetti orecchiabili con cui la propaganda ha tentato di umanizzare i leader agli occhi dei cittadini. Gli ultimi attacchi sono partiti direttamente dal cuore del sistema.
All'indomani del tour mediatico di Xi, Ren Zhiqiang, il "Donald Trump cinese", riversava su Weibo la sua disillusione verso le sorti dell'informazione oltre Muraglia, non più al servizio del popolo bensì del Partito. Bersagliato dalla stampa ufficiale, il magnate è stato infine silenziato dalla Cyberspace Administration of China che ne ha chiuso l'account sul Twitter cinese. Un evento grave ma non raro nell'era del "new normal" di Xi Jinping. Sarebbe potuta rimanere una delle innumerevoli purghe 2.0 inflitte dai censori ai surfisti della rete: la blogosfera insorge, i gendarmi di Internet fanno pulizia e si ricomincia. Invece no.
Una lettera aperta - stavolta indirizzata al "parlamento" cinese - ha preso le difese di Ren accusando i dipartimenti governativi di aver, negli ultimi anni, "completamente ignorato la Costituzione e lo Stato di diritto". A differenza di quanto si potrebbe pensare, dietro l'audace messaggio (che riporta tanto di firma, numero di telefono e ID) non c'è un attivista bensì un dipendente dell'agenzia statale Xinhua. E non è l'unico “insider” ad aver lanciato il guanto di sfida. Ad inizio mese anche la nota rivista finanziaria Caixin, diretta da Hu Shuli (una che in passato ha sempre saputo mantenersi sul filo del lecito con maestria funambolica), ha puntato i piedi portando allo scoperto un eclatante caso di censura ai propri danni.
"Il Partito ha cominciato a perdere la lealtà degli intellettuali sulla scia del movimento antidestrista del 1957. Dalle riforme e l'apertura anni '80 si è avuto un qualche miglioramento, ma da quando Xi Jinping ha preso il potere la situazione è nuovamente peggiorata," ci spiega Qiao Mu, docente della Beijing Foreign Studies University, editorialista, nonché amico di Jia Jia. “Molti accademici, giornalisti e avvocati considerano il presidente una specie di “guardia rossa” che ha riportato in vita il culto della personalità con mezzi da Rivoluzione Culturale. Un ipocrita bugiardo che ha nella sua discendenza dall'aristocrazia comunista l'unico fattore di legittimazione.”
In un certo senso, siamo di fronte alla rottura del tacito accordo tra media e potere suggellato all'indomani dei fatti di piazza Tian'anmen, quando Pechino concesse maggiore libertà imprenditoriale e manageriale in cambio di obbedienza. Non a caso, secondo il Washington Post, l'escalation repressiva ha innalzato il livello d'allarme presso la comunità diplomatica internazionale a livelli mai visti dai tempi dello storico massacro.
[Scritto per il Manifesto]
sabato 26 marzo 2016
Rassegna: Dispacci dalla Silk Road Economic Belt
Domenica 20 marzo, il treno Chang'an ha lasciato la città di Dostyk, Kazakistan, carico di 2000 tonnellate di merci kazake dirette verso la Cina. La consegna dovrebbe avvenire a Xi'an nell'arco di cinque giorni. Nei due anni passati, il treno ha trasportato solo Made in China in senso opposto, ritornando sempre vuoto. (People's Daily)
La joint venture sino-uzbeka New Silk Road Oil & Gas intende sviluppare giacimenti di gas condensato a Karakul, nella provincia uzbeka di Bukhara. Attraverso due gare si procederà alla selezione dei contractor per la costruzione e manutenzione di 11 pozzi nella regione. Bukhara ospita una delle tre raffinerie dell'Uzbekistan e costituisce il punto di partenza del gasdotto di epoca sovietica che prosegue verso Almaty, Kazakistan. (Steppe Dispatches)
Appena quattro anni fa la Mongolia cresceva ad un ritmo del 17 per cento l'anno. Oggi, sulla scia del crollo dei prezzi delle commodities, le stime della World Bank la pongo attorno allo 0,8 per cento. Il rallentamento cinese non giova al paese centroasiatico, che vede in Pechino il principale mercato di sbocco delle proprie materie prime (pari al 90 per cento del totale dell'export). Un reportage a tinte fosche da Ulan Bator. (WSJ)
La Cina prende in considerazione la costruzione di una ferrovia in Nepal e l'avvio di uno studio di fattibilità per l'istituzione di un accordo di libero scambio. E' quanto emerso durante la prima visita di Stato del Premier nepalese a Pechino che ha portato alla firma di 10 accordi. K.P. Oli ha reso noto il piano per due linee ferroviarie: una in grado di connettere tre delle principali città del paese, e l'altra transfrontaliera a cavallo con la Cina. In passato Pechino si era già impegnato a estendere il collegamento tra la città di Shigatse, in Tibet, a Gyirong, lungo il confine lato Nepal. La cooperazione bilaterale è stata estesa anche alla costruzione di un aeroporto a Pokhara, città turistica dello stato himalayano, e all'accesso delle compagnie commerciali nepalesi ai porti cinesi Per Kathmandu è un modo per svincolarsi dalla dipendenza indiana dopo il blocco degli approvvigionamento scaturito sulla scia delle proteste dei Madhesi nella regione del Terai. Per Pechino si tratta di un altro mattoncino nella ricostruzione dell'antica Via della Seta. (Reuters)
Il Nepal è diventato ufficialmente "dialogue partner" della Shanghai Cooperation Organization. (Xinhua)
La cina si appresta a quasi triplicare la capacità del suo principale "porto terrestre", quello di Manzhouli, nella regione Autonoma della Mongolia. Grazie a lavori di miglioria stradale, entro l'anno il carico di merci processate dalla dogana locale passerà da 3 milioni a 10 milioni di tonnellate. Il 65 per cento del commercio terrestre tra la Cina e la Russia passa proprio da lì. (Xinhua)
Xi Jinping sarà in Repubblica Ceca dal 28 al 30 marzo prima di proseguire per il Nuclear Security Summit di Washington. Si tratta della prima visita nel paese da parte di un capo di Stato cinese, nonché del debutto di Xi in una nazione dell'Europa Centrale e Orientale. I rapporti bilaterali, minati in passato dalla vicinanza di Praga a Taiwan e al Dalai Lama, hanno segnato un netto miglioramento da quando Milos Zeman ha assunto la guida del governo. Zeman era stato l'unico leader dell'UE a presenziare alla parata per la fine della Seconda Guerra Mondiale. La Cina è il secondo principale partner commerciale della Repubblica Ceca. (People's Daily)
La Russia comincerà e terminerà presto la costruzione del ponte attraverso il fiume Amur tra la città Nizhneleninskoye, nella regione autonoma ebraica russa, e Tongjiang, nella provincia cinese dello Heilongjiang. Parola di Yury Trutnev, vicepremier e rappresentate presidenziale plenipotenziario nel Far East russo. La Cina ha cominciato a tirare su la sua parte nel 2004. (Sputnik)
venerdì 25 marzo 2016
La visita di Obama a Cuba vista dalla Cina
La stampa cinese minimizza la storica trasferta di Obama a Cuba - conclusasi martedì - e invita alla cautela, sottolineando l'impervietà del cammino intrapreso dai due vecchi nemici. «Lunga è la strada che Cuba e gli Stati Uniti dovranno percorrere all'indomani della visita», scriveva il China Daily alla vigilia dell'arrivo di Obama, primo capo di Stato americano a mettere piede sull'isola in 88 anni. Il quotidiano in lingua inglese si è espresso con un editoriale sulla fallimentare strategia del «cambio di regime» portata avanti dallo Zio Sam per decenni. Un punto sul quale si è espressa anche l'agenzia di stampa Xinhua.
Letteralmente: «Come scrive Herry Kissinger in 'Diplomacy', nessun'altro paese più degli Usa è rimasto intrappolato nell'idea di poter esportare universalmente le proprie istituzioni. Nutrendo tali idee e considerandosi il faro del mondo libero, per molto tempo Washington ha burberamente tentato di imporre con la forza le proprie idee in paesi caratterizzati da culture e condizioni differenti. E con quale risultato? [Che ora abbiamo] un Medio Oriente straziato dalla guerra, una Corea del Nord nuclearizzata e un Occidente colpito dal radicalismo». È così che per i media governativi «Il riavvicinamento a Cuba implica una rinuncia all'arroganza Usa» (copyright Xinhua) e alle velleità imperialiste sfoggiate in America Latina, regione che gli States considerano il proprio cortile di casa.
«Speriamo che le due parti possano sfruttare questo momento positivo», ha scandito la portavoce del ministero degli esteri cinese, Hua Chunying. Il linguaggio felpato della diplomazia, tuttavia, mal cela lo scetticismo cinese verso l'era post-Obama. Con le presidenziali alle porte, non è da sottovalutare la presenza di «cricche politiche» tutt'oggi intenzionate a ribaltare il regime dei Castro. «Se la Casa Bianca chiuderà un occhio o addirittura si sottometterà al loro volere, l'eredità di Obama verrà abbandonata dal suo successore», mette in guardia il Global Times, spin-off dell'ufficialissimo Quotidiano del Popolo. Tanto più che la strategia di disgelo avviata dal presidente uscente ha già innescato una serie di contrattacchi d'ispirazione demagogica tra i candidati Repubblicani Ted Cruz e Marco Rubio, entrambi vicini all'isola per trascorsi famigliari.
Pechino, da tempo tra i principali fautori di una sospensione dell'embargo statunitense contro L'Avana, intrattiene un rapporto privilegiato con il paese caraibico in virtù della comune fede «rossa», ma non solo. Negli ultimi anni, calcoli economici - più che ideologici - hanno spinto il gigante asiatico a cementare la propria influenza in America Latina.
Ricuciti gli strappi risalenti alle tensioni sino-russe, le relazioni tra la Repubblica popolare e Cuba si sono avviate verso una fraterna collaborazione da quando L'Avana è divenuto il primo governo latinoamericano a istituire canali diplomatici con Pechino nel 1960. In tempi recenti, Raul Castro si è definito un estimatore del «modello Cina», aprendo di fatto alla sperimentazione di riforme economiche volte a stemperare il Marxismo-Leninismo ortodosso con gocce di capitalismo.
Da parte sua, il Dragone osserva con interesse la transizione cubana, sopratutto data l'importanza commerciale e geopolitica che l'isola caraibica acquisterà sul lungo periodo grazie all'espansione del Canale di Panama, collegamento strategico tra l'Atlantico e il Pacifico. Un interesse rimarcato dal presidente cinese, Xi Jinping, durante la sua prima visita di Stato nella regione, nel luglio 2014.
Secondo dati dell'Ambasciata cinese a L'Avana, tra gennaio e settembre 2015 gli scambi bilaterali hanno raggiunto quota 1,59 miliardi di dollari, un 57 per cento in più su base annua. Numeri che fanno del Dragone il secondo principale partner dell'isola (dopo il Venezuela) con una bilancia commerciale nettamente inclinata verso Est: l'export cinese verso Cuba ammonta a 1,33 miliardi a fronte di un drastico calo delle importazioni, influenzate negativamente dal rallentamento della produzione di nickel e tabacco. In quest'ottica la distensione con gli Stati Uniti non potrà che giovare anche a Pechino, spiega al New York Times Su Hao, professore presso la China Foreign Affairs University: «L'economia cubana si evolverà e di questo beneficerà anche la Cina».
(Pubblicato su China Files)
lunedì 21 marzo 2016
La lunga marcia cinese verso i consumi
I consumatori cinesi spenderanno un 10 per cento in più entro la fine della prima decade degli anni Duemila. E' quanto pronosticato dall'agenzia di consulenza McKinsey, che prevede nel prossimo lustro un significativo aumento in busta paga per il 55 per cento della popolazione cinese.
A riempire i carrelli cinesi non saranno soltanto beni di prima necessità. Mentre il paese più popoloso al mondo affina i propri gusti, volano prodotti di lusso, turismo e l'entertainmen per la gioia degli alti papaveri di Pechino intenti a promuovere un modello di crescita non più "investimenti-dipendente", bensì dominato da servizi e consumi interni. "L'attenzione si sta spostando verso i prodotti di alta qualità e un modo di vita più equilibrato, sano e incentrato sulla famiglia", spiega McKinsey. Senza contare la strepitosa crescita dei pagamenti mobile, passati dallo zero del 2011 al 25 per cento del 2015.
Come riporta Bloomberg, le vendite al dettaglio continuano a registrare una crescita a doppia cifra nonostante il rallentamento dei primi due mesi dell'anno, nel 2017 gli incassi al box office cinese potrebbero superare quelli americani, mentre il turismo cinese in outcoming si avvia a raggiungere i 200 milioni di dollari entro il 2020. Una data d'importanza cruciale per la leadership cinese, che punta a festeggiare il centenario dalla nascita del Partito Comunista (2021) con la costruzione di una "società moderatamente prospera" (xiaokang shehui).
Il quadro roseo tracciato da McKinsey, tuttavia, non sembra convincere tutti. Specie alla luce della recente campagna di ristrutturazione cui sono sottoposti le imprese statali e i comparti in esubero. Cui Ernan, analista di Gavekal Dragonomics, ha dichiarato alla Reuters che "l'effetto più probabile dei licenziamenti nel settore industriale [affetto da sovrapproduzione, ndr] non è la disoccupazione piuttosto una decelerazione nella crescita degli stipendi delle famiglie". Questo perché gli impieghi verso cui vengono dirottati quanti rimasti senza un lavoro (ovvero servizio pubblico, agricoltura e silvicoltura) sono settori meno redditizi. Per esempio, chi lavora nei campi o nei boschi percepisce 28.356 yuan l'anno, contro i 61.677 di un minatore (dati del 2014). E va da se che una stagnazione o per giunta un calo dei salari finirebbe per complicare inevitabilmente l'agognata transizione verso i consumi.
sabato 19 marzo 2016
Rassegna: Dispacci dalla Silk Road Economic Belt
[Dal 14 al 19 marzo]
Secondo gli ultimi dati dell'IEA (International Energy Agency), alla fine del 2015 la Cina è diventata il primo consumatore di petrolio russo, superando la Germania. Gli esperti sono concordi nell'attribuire l'idillio sino-russo ad un accordo che prevede il pagamento delle forniture di petrolio direttamente in renminbi, la valuta cinese. (Russia Insider)
Poly Technologies, azienda con base a Pechino specializzata nella realizzazione di progetti energetici ed infrastrutturali nei paesi emergenti, è pronta ad investire in Tajikistan. Lo ha riferito il General Manager della compagnia in occasione di un incontro con il presidente Emomali Rahmon durante una recente visita a Dushambe. (Asia-Plus).
Pechino e Astana hanno siglato un memorandum d'intesa sulla costruzione di un impianto per la macellazione della carne nel Kazakistan orientale. Lo stabilimento avrà una capacità annua di 17mila tonnellate di bovini e ovini. L'80 per cento della produzione sarà destinata all'export verso la Cina. (BNews.Kz)
Secondo il Ministero del Commercio cinese, il Kazakistan rientra nella top 5 delle principali destinazioni degli investimenti cinesi nel 2015. Gli altri quattro paesi sono Singapore, Laos, Indonesia e Russia. Lo scorso anno, Pechino ha iniettato complessivamente 14,82 miliardi di dollari lungo la One Belt One Road, un 18,2 per cento in più rispetto allo scorso anno. (The Astana Times)
"La Cina fa pressing sulla Russia in Asia Centrale". Così titola l'agenzia tagica Asia-Plus riferendosi all'ultimo incontro tra Deng Xijun, inviato speciale della Cina in Afghanistan, e il suo omologo russo Zamir Kabulov. I due si sarebbero incontrati il 15 marzo a Mosca per discutere della situazione in Afghanistan nonché della nuova "alleanza politica" tra Kabul, Islamabad, Dushambe e Pechino per mantenere la stabilità nella regione. Secondo quanto riportato da un analista alla stampa russa, le recenti esercitazioni russo-tagiche sarebbero da leggersi come un ammonimento al paese centroasitico e alle sue inclinazioni eccessivamente filocinesi. (Asia Plus)
Cina e Germania pianificano un nuovo parco logistico-commerciale a Urumqi la capitale della regione autonoma dello Xinjiang. Autori del progetto sono la Urmqi Economic and Technological Development Zone e il porto di Duisburg. L'area interessata dal progetto - che potrebbe raggiungere un'estensione 120 chilometri quadrati- sorge vicino alla stazione ferroviaria occidentale e serve a integrare gli scambi terrestri e aeree. Entro la prima metà di quest'anno un servizio di trasporto merci collegherà la città sul Reno a Urumqi, riducendo i tempi di trasporto a 12 giorni (rispetto ai 45 richiesti dalla rotta marittima). Entro il 2020 il flusso di merci lungo la tratta dovrebbe raggiungere le 20 milioni di tonnellate. (China Daily)
Novatek ha finalizzato l'accordo per la vendita del 10 per cento dell'impianto di gas naturale liquefatto Yamal, nella Siberia nordoccidentale. L'acquirente non è uno qualunque, bensì il Silk Road Fund, ovvero il fondo con cui Pechino punta a sostenere finanziariamente la Nuova Via della Seta terrestre. L'intesa porta le quote cinesi in Yamal al 30 per cento del valore totale, mentre Novatek manterrà una quota di controllo del 50,1 per cento. (Eurasian Business)
La mappa della settimana:
giovedì 17 marzo 2016
Affittare un utero in Cina
Quando nel 2011 una ricca coppia di Guangzhou, nel sud della Cina, sborsò 1 milione di yuan (circa 153mila dollari al cambio attuale) per aggirare la politica del figlio unico e avere otto figli -di cui due naturali e sei attraverso il sussidio di due madri surrogate- il web cinese implose in un moto di sdegno. Il "babaotai chuanwen" ("lo scandalo degli otto bambini") rimbalzava sulla blogosfera come cartina tornasole delle politiche nazionali, magnanime verso l'upper class e impietose nei confronti dei meno abbienti.
Recentemente, la storia dei coniugi e della loro numerosa prole è tornata a far parlare quando alla fine di dicembre il Comitato permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo (il "Parlamento" cinese) ha deciso di ritirare un disegno di legge che, se attuato, avrebbe formalmente vietato la maternità surrogata nella Repubblica popolare. Una mossa rara, considerata la difficoltà con cui i legislatori cinesi fanno marcia indietro dopo aver reso pubblica una proposta di legge. Per Zhang Chunsheng, responsabile delle questioni legali presso la National Health and Family Planning Commission, è un'indecisione che suggerisce una frattura all'interno dell'organo legislativo. Qualcuno "sostiene che la maternità surrogata non dovrebbe essere proibita completamente", conservando quella zona grigia che fino a oggi ha permesso a molte donne di aggirare i divieti. Qualcun'altro collega l'inversione a U alla storica abolizione della politica del figlio unico (allentata con scarso successo nel 2013, e definitivamente sostituita dalla "two-child policy" lo scorso ottobre) giunta in risposta al rapido invecchiamento della popolazione e alla conseguente erosione della forza lavoro.
Sono attese circa 3 milioni di nuove nascite ogni anno sulla base della "politica dei due figli", applicabile ad ogni coppia sposata. Ma secondo alcune stime il 12 per cento della popolazione idonea probabilmente non avrà bambini per scelta o a causa dell'elevato tasso di infertilità. Secondo la China Population Association, nel 2012 il 12,5 per cento delle donne cinesi in età fertile risultava sterile. Venti anni fa, prima che il boom industriale contaminasse aria, acqua e terreno, lo era solo il 3 per cento della popolazione femminile.
Così, se la fecondazione in vitro (che in Cina non solo è legale ma anche ampiamente praticata) ha un elevato margine di insuccesso e l'adozione incontra ancora molti ostacoli culturali (relativi alla continuità dei vincoli di sangue, come imporrebbe la famiglia tradizionale confuciana), la maternità surrogata fornisce una chance in più per innescare il tanto atteso "baby boom". E viene incontro, tra gli altri, alle coppie gay e a tutti quelli che, avendo perso il loro unico figlio negli anni del serrato controllo sulle nascite, sono ormai troppo avanti con l'età per averne un altro. Insomma, cambiata la società e le sue esigenze ma non l'obbligo morale alla procreazione (anche qui centra Confucio), persino le pratiche che un tempo suscitavano facili alzate di sopracciglio adesso vengono tollerate con più facilità. Anche se, avvertono gli esperti, il "non-divieto" non risolve il problema del vuoto normativo in cui si barcamenano le donne (che affrontano i rischi fisici e psicologici del concepimento di un figlio non loro) e le coppie (che potrebbero vedersi rifiutata la consegna del bambino). Ma facciamo un passo indietro.
Dal 2001, una regola del Ministero della Salute cinese proibisce ai medici di offrire il servizio di maternità surrogata, tuttavia dal momento che non si tratta di una vera e propria legge ma di una circolare ministeriale in realtà i metodi per dribblare l'ostacolo non sono pochi.
C'è chi opta per fare tutto all'estero. Secondo il Yangcheng Evening New, ogni anno circa 1000 coppie partono per gli Stati Uniti con visto turistico alla ricerca di "un utero in affitto", passando per il sottobosco di intermediari informali attivi oltre Muraglia. Numero al quale vanno ad aggiungersi le migliaia di donne cinesi (circa 20mila nel solo 2012) che scelgono di partorire sull'altra sponda del Pacifico affinché il proprio figlio ottenga la cittadinanza americana e i privilegi ad essa annessi. Certo, è una scelta per pochi facoltosi. Ma chi non può permettersi i prezzi statunitensi (tra i 125mila e i 175mila dollari a ) ha ugualmente a disposizione alcune alternative low cost, come Thailandia, India e Nepal. Una soluzione utilizzata in passato per aggirare la restrizione sulle nascite: il concepimento di un secondo figlio all'estero è stata a lungo considerata una violazione difficile da sanzionare.
Statistiche ufficiali sulla Cina non ce ne sono. Tuttavia, nel 2011 il Southern Metropolis Weekly calcolava circa 25mila nascite da "uteri in affitto" nell'ultimo trentennio. Questo prima che il 2012 - il propizio anno del Drago secondo il calendario cinese- segnasse un netto incremento del settore. Tanto che, secondo un'inchiesta del New York Times datata agosto 2014 sarebbero oltre 10mila i bambini nati ogni anno nel mercato nero delle madri surrogate; circa un migliaio i broker che si occupano di mettere in contatto i genitori biologici con le madri "temporanee". Un business in cui la domanda è trainata dall'upper middle class e l'offerta dalla popolazione femminile delle aree rurali, le più povere del del Paese. Spesso si tratta di ragazze madri con almeno un primo parto alle spalle e in difficoltà economiche.
Come riscontriamo da una rapida ricerca in rete su WeChat e QQ, non è difficile trovare chi offre il servizio su territorio nazionale -senza bisogno di coinvolgere strutture sanitarie- assicurando massima sicurezza e un tasso di riuscita di oltre il 72 per cento. Alcune società rilasciano ai clienti una documentazione completa del certificato di nascita e del tanto ambito hukou, il permesso di residenza che dà accesso ai servizi sociali di base. E che, per intenderci, i bambini nati in contravvenzione alla politica del figlio unico non hanno (almeno per ora).
La Baby Plan Medical Technology Company ha sedi in quattro città cinesi e realizza circa 300 nascite all'anno a un costo che può raggiungere i 240mila dollari. E' un prezzo che strizza l'occhio all'esercito dei nuovi ricchi cinesi e prevede un iter controllato nei minimi dettagli, comprendente scelta del sesso e test del DNA. Di solito la madre surrogata deve sottoporsi ad un trattamento ormonale di mesi per preparare il corpo all'impianto dell'embrione onde evitare un rigetto. La donna viene, inoltre, seguita nel corso di una terapia psicologica che la predispone al distacco dal bambino una volta nato. Per i più esigenti Baby Plan offre un pacchetto che prevede il trasferimento della coppia in Thailandia, dove la maternità surrogata è legale. Qui avviene la donazione di sperma e ovuli, nonché l'impianto nell'utero di una donna cinese, che al termine dell'operazione viene ritrasferita in Cina e assistita full-time in un appartamento fino al momento del parto - che avviene in una clinica privata. Baby Plan intasca 24mila dollari, la stessa cifra spetta alla madre surrogata.
Si tratta dell'opzione più in voga tra l'elite, che mal digerisce l'idea di rivolgersi a donne straniere ritenute "inferiori", anche se la spesa da sostenere è ben più economica: 19mila dollari per una donna vietnamita contro i 24mila delle colleghe cinesi di Baby Plan. L'approccio cambia, tuttavia, quando si deve ricorrere a sperma e ovuli altrui. In tal caso la scelta ricade spesso su "donatori alti e biondi", spiegava tempo fa alla Reuters Jennifer Garcia, coordinatrice di Extrardonary Conceptions, agenzia con sede in California che vanta un 40 per cento di clientela cinese. In Cina si pensa che questi bambini eurasiatici "cresceranno più intelligenti e di bell'aspetto".
(Pubblicato su Uno Sguardo al Femminile)
martedì 15 marzo 2016
Anbang e il "sogno americano"
Parcheggiare le proprie fortune il più lontano possibile dalle incertezze del mercato interno. E' quanto pare si stiano affrettando a fare molte società cinesi già note per le loro ambizioni internazionali, all'indomani dei dati ufficiali che attestano la crescita cinese ai minimi da 25 anni. Anbang Insurance Group è tra queste. Balzata all'onore delle cronache per l'acquisto dello storico Waldorf Astoria di New York nel 2014, la compagnia assicurativa cinese torna a corteggiare il real estate statunitense con l'annuncio di due operazioni da capogiro.
La prima consiste nel rilevamento di Strategic Hotels & Resorts da Blackstone Group, la società finanziaria americana entrata in possesso della catena alberghiera appena tre mesi fa. 6,5 miliardi di dollari è quanto Anbang si impegna a versare (450 milioni in più rispetto a quanto pagato da Blackstone), la cifra più alta mai iniettata da un soggetto cinese nell'immobiliare a stelle e strisce. Ben superiore agli 1,95 miliardi sborsati per il Waldorf Astoria. Con l'acquisto di Strategic Hotels Anbang arriva a mettere le mani su alberghi high-end e resorts in un colpo solo. La catena americana vanta un ricco portfolio, che comprende 16 proprietà per un totale di 7532 stanze, meeting room e sale banchetti. Tra gli assets più noti: il Ritz-Carlton (California), il Fairmont Scottsdale (Arizona), il Four Seasons Resort (Wyoming) e l'InterContinental (Chicago e Miami).
Ancora in attesa di conferma, ma altrettanto chiacchierata, l'offerta non vincolante ricevuta da Starwood Hotels & Resorts Worldwide. Secondo quanto riporta Bloomberg, una cordata guidata dal gruppo assicurativo cinese ha messo sul piatto 76 dollari per azione in contante, sfidando Marriott che a novembre scorso aveva siglato un'intesa per una M&A con Starwood. In una nota, il gruppo alberghiero cui fanno capo catene prestigiose come Sheraton, Westin e St.Regis, ha spiegato che continua a sostenere il progetto di fusione con Marriott anche se "esaminerà con attenzione gli sviluppi del negoziato con il consorzio", e prenderà una decisione "nel miglior interesse di Starwood e dei suoi azionisti".
Chi è Anbang?
Mossi i primi passi nel mercato delle assicurazioni auto circa due lustri fa, negli ultimi 18 mesi il gruppo con base a Pechino ha sborsato oltremare (senza contare Starwood) oltre 23 miliardi di dollari in settori che spaziano dai servizi finanziari, al real estate passando per l'alberghiero. Un successo quasi inspiegabile per una società che rappresenta appena il 4 per cento del mercato assicurativo cinese. Ma che i bene informati attribuiscono alle guanxi (gli agganci) d'alto profilo che legano i vertici della compagnia all'elite cinese. A partire dal suo presidente Wu Xiaohui, unito in matrimonio niente meno che alla nipote di Deng Xiaoping, il padre delle riforme e dell'apertura anni '80. Glissando sull'opacità delle connessioni "rosse", tempo fa Wu ha magnificato la natura "win-win" del proprio business model con gli States, soffermandosi piuttosto sull'amicizia stretta con Stephen Schwarzman e Jonathan Gray, rispettivamente presidente e responsabile per il real estate di Blackstone.
Perché gli Stati Uniti?
Secondo stime di JLL, nei prossimi 10, 15 o 20 anni le compagnie assicurative cinesi riverseranno
fino a 240 miliardi di dollari nel mercato immobiliare internazionale, grazie ad un allentamento delle restrizioni che dal 2012 permette alle aziende operanti nel real estate di mantenere il 15 per cento delle proprietà all'estero. Per il momento le compagnie assicurative cinesi investono nel mattone solo tra l'1 e il 7 per cento, ma nell'ultimo anno i capitali in uscita finiti nel real estate hanno registrato un incremento del 50 per cento. Tra le mete più gettonate: New York, Londra e Sydney.
Difficilmente il rallentamento dell'economia cinese e del settore alberghiero statunitense (secondo stime della società di ricerca STR, il ricavo medio per camera è destinato a crescere del 5 per cento nel 2016, contro l'8,1 di due anni fa) porteranno ad un'inversione di tendenza. Semmai ad una maggiore differenziazione. La lunga marcia di Anbang nel Nord America comprende - oltre al Waldorf Astoria - l'acquisizione della compagnia assicurativa Fidelity & Guaranty Life e di immobili ad uso d'ufficio nella Grande Mela e in Canada.
Nonostante si tratti di compagnie private, come spesso accade quando c'è di mezzo la Cina, lo shopping sfrenato sull'altra sponda del Pacifico sta creando numerosi grattacapi alle autorità regolatrici. Specie quando le mire del Dragone sono dirette verso asset "sensibili". Il lungamente ventilato acquisto della Borsa di Chicago da parte di Chongqing Casin Enterprise Group è ancora al vaglio del CFIUS (Committee on Foreign Investment in the United States), il comitato che si occupa di analizzare le implicazioni per la sicurezza nazionale degli investimenti stranieri negli Stati Uniti. Lo stesso che ha avvallato l'accordo per il Waldorf Astoria senza, tuttavia, riuscire a dissipare le preoccupazioni della Casa Bianca che ha optato per abbandonare la storica residenza utilizzata dai presidenti in occasione dell'Assemblea delle Nazioni Unite, rompendo così una tradizione lunga otto decenni.
lunedì 14 marzo 2016
Rassegna: dispacci dalla Silk Road Economic Belt
[Dal 5 al 14 marzo]
La Cina incrementerà il proprio sostegno all'esercito afghano contro i talebani. Per il momento il contributo di Pechino ammonta a soli 70 milioni di dollari, una somma nettamente inferiore rispetto a quella offerta da molti altri paesi. Kabul sta stilando una lista dei desiderata che comprende armi leggere, componenti di aeromobili e uniformi. (WSJ)
Secondo Al Arabya, nell'ultimo anno alcune migliaia di combattenti uiguri si sarebbero uniti ad Al-Nusra nella provincia di Idlib, nella Siria del Nord. L'apporto uiguro si è rivelato "cruciale" - spiega l'emittente di Dubai - alla luce della progressiva perdita di appeal dell'ala siriana di al-Qaida all'avanzare dell'Isis. (Al-Arabya)
Ammontano ormai a oltre 1,9 miliardi di dollari gli investimenti cinesi nel Far East russo, pari al 75 per cento del totale dei capitali iniettati nella regione. (Sputnik)
Secondo la stampa indiana, la presenza della Cina nel Gilgit-Baltistan attraverso la costruzione del corridoio economico CPEC costituisce una nuova fonte di frizione in materia di sovranità territoriale. La regione del Gilgit-Baltistan è, insieme ad Aksai Chin, Azad Kashmir e J&K, una delle aree contese tra India, Pakistan e Repubblica popolare (The Tribune). Proprio in questi giorni sono circolate voci su un presunto sconfinamento delle truppe cinesi nel Kashmir occupato dal Pakistan. (Sputnik)
Il CPEC contribuirà alla creazione di oltre 10mila posti di lavoro. Almeno questo è quanto affermato da una delegazione cinese in occasione di una recente visita pressa la Camera di Commercio e dell'Industria di Islamabad. (Nihao Salam)
Per bocca dell'ambasciatore in Pakistan, Sherali Saidamir Jononove, il Tajikistan ha espresso il desiderio di prendere parte al corridoio economico Cina-Pakistan, snocciolando i numeri della collaborazione tra Dushambe e Islamabad: nel giro di due anni gli scambi bilaterali dovrebbero raggiungere i 500 milioni di dollari, mentre il Tajikistan esporterà verso il Pakistan oltre 1000 MW di elettricità nell'ambito del progetto CASA-1000. (Daily Pakistan)
Le condanne per reati contro la sicurezza dello Stato sono quasi raddoppiate (1.419) da quando Pechino ha dichiarato guerra ai "tre mali" (separatismo, terrorismo ed estremismo) nella regione autonoma dello Xinjiang. (AFP)
Secondo fonti Reuters, la statale China National Transportation Equipment & Engineering Co Ltd (CTC) è prossima alla conclusione di un accordo per la costruzione del collegamento ferroviario Teheran-Mashhad, che collegherà la capitale iraniana al nordest del paese. Valore del progetto: 3 miliardi di dollari. L'EXIM Bank finanzierà l'85 per cento dei costi. Intanto la Dalian Shipbuilding Industry Co pare essere in trattative per la fornitura di navi container e petroliere. (Reuters)
La mappa della settimana:
Fonte: Indian Strategic Studies |
sabato 5 marzo 2016
Rassegna: dispacci dalla Silk Road Economic Belt
[Dal 27 febbraio al 5 marzo]
Secondo KazTAG, con oltre 2500 compagnie operanti sul posto, la Cina costituisce ormai la prima fonte d'investimento per il Kazakistan. (KazakhTv)
Entro il 2030, la Cina costruirà circa 30 centrali nucleari nei Paesi interessati dal progetto One Belt One Road. (People's Daily)
In Cina, sono ormai oltre 100 i think tank dedicati allo studio del progetto Nuova Via della Seta, ognuno dedicato all'approfondimento di aspetti differenti. (Xinhua)
Pechino ha proposto un piano anti-terrorismo con Afghanistan, Pakistan e Tajikistan. L'idea, di cui non si hanno ancora dettagli, è stata avanzata dal generale Fang Fenghui durante una sua recente visita a Kabul. (Voice of America)
L'Unione Economica Eurasiatica (UEE) e la Shanghai Cooperation Organization (SCO) si avviano verso l'istituzione di una "partnership economica continentale" che prevede tre componenti principali: libertà di movimento per beni e capitali; promozione del commercio e del flusso d'investimenti nonché di un ambiente confortevole per l'incremento dell'utilizzo delle monete nazionali negli scambi commerciali; accesso preferenziale al mercato dei servizi. (Sputnik)
Il China Railway Tunnel Group ha collaborato alla realizzazione del tunnel Qamchiq attraverso cui passa la ferrovia Angren-Pap (Uzbekistan). Si tratta della galleria più lunga dell'Asia Centrale nonché del progetto sino-uzbeko più consistente al di fuori del settore della ricerca. (People's Daily)
Cina e Tajikistan sono in trattative per l'istituzione di un centro dedicato al controterrorismo che dovrebbe sorgere a Dushambe, la capitale tagica. (AsiaPlus)
Sabato 27 febbraio, è stata inaugurata la tratta ferroviaria tra Harbin (Heilongjiang) e Ekaterinburg che permetterà alle merci prodotte nella Cina meridionale di arrivare in Russia nel giro di 10 giorni. In passato il trasporto terrestre avveniva soltanto fino al porto di Dalian, da cui il Made in China prendeva il largo su navi cargo impiegando 40 giorni di viaggio. (Xinhua)
La mappa della settimana:
Fonte: Chatham House |
venerdì 4 marzo 2016
Bolla o non bolla?
[AGGIORNAMENTI:
15 marzo: La Cina dichiara guerra alle agenzie immobiliari che ricorrono a comportamenti illegali approfittando della loro posizione come mediatori. Un riferimento implicito alla fornitura di servizi P2P -secondo le autorità- vera causa dietro l'impennata dei prezzi. "Sono molto preoccupato da questo [fenomeno] perché mi ricorda la crisi dei mutui subprime", ha affermato a CNBC l'economista Xia Le.
7 marzo: La riduzione delle scorte nell'immobiliare rientra tra le "quattro battaglie contro l'annientamento" che la Cina dovrà affrontare nel 2016 per rilanciare l'economia nazionale. Lo ha dichiarato il Presidente Xi Jinping, spiegando che le altre due sfide riguardano la sovrapproduzione, la riduzione dei costi per le aziende e la stabilizzazione dei rischi finanziari. Il real estate ha fatto la sua comparsa anche nel discorso tenuto dal Premier, Li Keqiang, all'apertura dei lavori dell'Assemblea Nazionale del Popolo. Politiche fiscali differenziali e misure restrittive sulle vendite degli immobili saranno presto introdotte nelle città di prima fascia.]
File chilometriche fuori dalle agenzie immobiliari, traffico in tilt e polizia schierata a contenere la folla. Succede nel distretto Baoshan di Shanghai. E come a Baoshan così in molte altre grandi città cinesi. Dopo l'altalena dei mercati finanziari, i piccoli investitori sono tornati al caro e vecchio "mattone", guidati dalle politiche finanziarie rilassate messe in campo da Pechino per risolvere il problema scorte in eccesso. Secondo Julia Wang, consulente di HSBC a Hong Kong, la Cina ha tanti appartamenti vuoti da poter ospitare 90 milioni di persone. Un problema che affonda le radici nella corsa agli investimenti con cui la seconda economia del mondo ha puntellato la propria crescita negli anni della crisi globale. Tra il 2011 e il 2013, il Dragone ha usato più cemento che gli Stati Uniti in tutto il Ventesimo secolo. Parte di quel cemento è confluito nella costruzione di vere e proprie "cattedrali nel deserto", croce e delizia dei governi locali sempre ben contenti di convogliare capitali nel proprio "cortile di casa". Anche quando si stratta di progetti puramente speculativi abbandonati presto alla polvere.
Stando ai dati di E-House, nel mese di gennaio occorrevano 19,4 mesi per snellire le giacenze nelle città di terza fascia, laddove un valore superiore ai 15 mesi viene considerato già un campanello d'allarme. In alcuni centri urbani le previsione salgono addirittura a due anni di attesa.
E' con lo scopo di dare nuovo slancio alle vendite che negli ultimi mesi le autorità cinesi hanno apportato ripetute sforbiciate sui tassi d'interesse, ridotto i pagamenti per i mutui e rimosso le varie restrizioni sulla proprietà della seconda casa in quasi tutte le città tranne quelle di fascia alta. I prestiti denominati in yuan hanno raggiunto la cifra record di 2,51 trilioni a gennaio, e le giacenze nelle principali quattro città cinesi (Pechino, Shanghai, Guangzhou e Shenzhen) si sono assottigliate tanto da essere ormai svuotabili nel giro di circa dieci mesi. Tutto sembra procedere da copione, insomma.
Se non fosse che lo shopping sfrenato, se da una parte aiuta a smaltire le scorte, dall'altra rievoca lo spauracchio della bolla del 2013, quando il governo centrale provvedette a raffreddare il mercato varando una serie di misure contenitive rimaste in vigore fino al novembre 2014. A gennaio il prezzo delle case nella megalopoli di Shenzhen sono schizzati del 52,7 per cento su base annua (il tasso più alto dal 2011). A seguire Shanghai (21,4 per cento), Pechino (11,3 per cento) e Guagnzhou (10 per cento). Al contrario il costo degli immobili nei piccoli centri (dove le scorte stentano a ridursi) conferma una graduale discesa, specie nelle province interne: per chi vuole parcheggiare i propri risparmi al sicuro i grandi nuclei urbani continuano a rappresentare la scelta più appetibile. Tanto che lo stesso People's Daily, megafono del Partito comunista, alcuni giorni fa metteva in guardia dalla crescente forbice tra le città di fascia alta e quelle di fascia bassa.
Proprio in questi giorni, mentre l'Assemblea Nazionale del Popolo (il Parlamento cinese) si riunisce, è al vaglio un piano per destinare gli immobili "in avanzo" ai lavoratori migranti attraverso l'incremento dei mutui, saliti del 2-3 per cento nel quarto trimestre del 2015. Questo anche grazie al servizio di credito offerto da alcune agenzie immobiliari, che attraverso prestiti peer-to-peer arrivano a concedere somme pari al 20 per cento del deposito su investimenti che promettono ritorni annui tra l'8 e il 12 per cento. S'intende che - se approvato - il programma non interesserà le caotiche metropoli della Cina costiera, bensì i piccoli centri dove i prezzi ancora languono. E' lì che confluiranno le 100 milioni di persone attese in base al nuovo piano di urbanizzazione.
giovedì 3 marzo 2016
L'Energy Charter Treaty e la Nuova Via della Seta
Secondo il Ministero del Commercio cinese, nei primi 11 mesi del 2015 gli investimenti diretti esteri da parte di compagnie cinesi hanno coinvolto 49 dei Paesi implicati nel piano One Belt One Road. Si parla di 14,01 miliardi di dollari, un 35,3 per cento in più rispetto all'anno precedente. Nello stesso periodo, la Cina ha siglato accordi per progetti di costruzione con 60 nazioni per un valore di 71,63 miliardi, inanellando un tasso di crescita dell'11,2 per cento. Sono 75 le aree di cooperazione commerciale ed economica istituite in 35 nazioni e regioni, pari a 100 miliardi di dollari di tasse accumulate e 950mila nuovi posti di lavoro creati. Dei 65 Stati compresi nel New Silk Road Project, 38 hanno siglato accordi d'investimento bilaterali (BIT) con il gigante asiatico. Gli altri 27, tuttavia, rimangono esposti a potenziali rischi politici e legali legati ad espropriazioni e trattamenti discriminanti.
Tale vuoto -suggerisce l'International Law Office- potrebbe essere colmato con l'adesione di Pechino all'Energy Charter Treaty, divenuto effettivo nell'aprile 1998. Il trattato coinvolge 53 paesi firmatari e sostiene la libertà di commercio e di transito nel settore energetico. In particolare, consente agli investitori di uno Stato di avviare un arbitrato contro uno stato ospite sulla base del principio di reciprocità tra i paesi membri, fornendo le stesse protezioni di un BIT. Negli ultimi anni, la Cina ha mostrato un certo interesse per il trattato, del quale dallo scorso anno -con la firma dell'International Energy Charter- è Paese "associato" (un gradino in su rispetto allo status di "osservatore su invito" ottenuto nel 2001). Tuttavia, se da una parte esso costituisce uno scudo per le compagnie della Repubblica popolare operanti oltreconfine, allo stesso tempo potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio dal momento che fornisce agli investitori stranieri uno strumento contro eventuali violazioni cinesi.
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