giovedì 17 marzo 2016

Affittare un utero in Cina


Quando nel 2011 una ricca coppia di Guangzhou, nel sud della Cina, sborsò 1 milione di yuan (circa 153mila dollari al cambio attuale) per aggirare la politica del figlio unico e avere otto figli -di cui due naturali e sei attraverso il sussidio di due madri surrogate- il web cinese implose in un moto di sdegno. Il "babaotai chuanwen" ("lo scandalo degli otto bambini") rimbalzava sulla blogosfera come cartina tornasole delle politiche nazionali, magnanime verso l'upper class e impietose nei confronti dei meno abbienti.

Recentemente, la storia dei coniugi e della loro numerosa prole è tornata a far parlare quando alla fine di dicembre il Comitato permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo (il "Parlamento" cinese) ha deciso di ritirare un disegno di legge che, se attuato, avrebbe formalmente vietato la maternità surrogata nella Repubblica popolare. Una mossa rara, considerata la difficoltà con cui i legislatori cinesi fanno marcia indietro dopo aver reso pubblica una proposta di legge. Per Zhang Chunsheng, responsabile delle questioni legali presso la National Health and Family Planning Commission, è un'indecisione che suggerisce una frattura all'interno dell'organo legislativo. Qualcuno "sostiene che la maternità surrogata non dovrebbe essere proibita completamente", conservando quella zona grigia che fino a oggi ha permesso a molte donne di aggirare i divieti. Qualcun'altro collega l'inversione a U alla storica abolizione della politica del figlio unico (allentata con scarso successo nel 2013, e definitivamente sostituita dalla "two-child policy" lo scorso ottobre) giunta in risposta al rapido invecchiamento della popolazione e alla conseguente erosione della forza lavoro.

Sono attese circa 3 milioni di nuove nascite ogni anno sulla base della "politica dei due figli", applicabile ad ogni coppia sposata. Ma secondo alcune stime il 12 per cento della popolazione idonea probabilmente non avrà bambini per scelta o a causa dell'elevato tasso di infertilità. Secondo la China Population Association, nel 2012 il 12,5 per cento delle donne cinesi in età fertile risultava sterile. Venti anni fa, prima che il boom industriale contaminasse aria, acqua e terreno, lo era solo il 3 per cento della popolazione femminile.

Così, se la fecondazione in vitro (che in Cina non solo è legale ma anche ampiamente praticata) ha un elevato margine di insuccesso e l'adozione incontra ancora molti ostacoli culturali (relativi alla continuità dei vincoli di sangue, come imporrebbe la famiglia tradizionale confuciana), la maternità surrogata fornisce una chance in più per innescare il tanto atteso "baby boom". E viene incontro, tra gli altri, alle coppie gay e a tutti quelli che, avendo perso il loro unico figlio negli anni del serrato controllo sulle nascite, sono ormai troppo avanti con l'età per averne un altro. Insomma, cambiata la società e le sue esigenze ma non l'obbligo morale alla procreazione (anche qui centra Confucio), persino le pratiche che un tempo suscitavano facili alzate di sopracciglio adesso vengono tollerate con più facilità. Anche se, avvertono gli esperti, il "non-divieto" non risolve il problema del vuoto normativo in cui si barcamenano le donne (che affrontano i rischi fisici e psicologici del concepimento di un figlio non loro) e le coppie (che potrebbero vedersi rifiutata la consegna del bambino). Ma facciamo un passo indietro.

Dal 2001, una regola del Ministero della Salute cinese proibisce ai medici di offrire il servizio di maternità surrogata, tuttavia dal momento che non si tratta di una vera e propria legge ma di una circolare ministeriale in realtà i metodi per dribblare l'ostacolo non sono pochi.

C'è chi opta per fare tutto all'estero. Secondo il Yangcheng Evening New, ogni anno circa 1000 coppie partono per gli Stati Uniti con visto turistico alla ricerca di "un utero in affitto", passando per il sottobosco di intermediari informali attivi oltre Muraglia. Numero al quale vanno ad aggiungersi le migliaia di donne cinesi (circa 20mila nel solo 2012) che scelgono di partorire sull'altra sponda del Pacifico affinché il proprio figlio ottenga la cittadinanza americana e i privilegi ad essa annessi. Certo, è una scelta per pochi facoltosi. Ma chi non può permettersi i prezzi statunitensi (tra i 125mila e i 175mila dollari a ) ha ugualmente a disposizione alcune alternative low cost, come Thailandia, India e Nepal. Una soluzione utilizzata in passato per aggirare la restrizione sulle nascite: il concepimento di un secondo figlio all'estero è stata a lungo considerata una violazione difficile da sanzionare.

Statistiche ufficiali sulla Cina non ce ne sono. Tuttavia, nel 2011 il Southern Metropolis Weekly calcolava circa 25mila nascite da "uteri in affitto" nell'ultimo trentennio. Questo prima che il 2012 - il propizio anno del Drago secondo il calendario cinese- segnasse un netto incremento del settore. Tanto che, secondo un'inchiesta del New York Times datata agosto 2014 sarebbero oltre 10mila i bambini nati ogni anno nel mercato nero delle madri surrogate; circa un migliaio i broker che si occupano di mettere in contatto i genitori biologici con le madri "temporanee". Un business in cui la domanda è trainata dall'upper middle class e l'offerta dalla popolazione femminile delle aree rurali, le più povere del del Paese. Spesso si tratta di ragazze madri con almeno un primo parto alle spalle e in difficoltà economiche.

Come riscontriamo da una rapida ricerca in rete su WeChat e QQ, non è difficile trovare chi offre il servizio su territorio nazionale -senza bisogno di coinvolgere strutture sanitarie- assicurando massima sicurezza e un tasso di riuscita di oltre il 72 per cento. Alcune società rilasciano ai clienti una documentazione completa del certificato di nascita e del tanto ambito hukou, il permesso di residenza che dà accesso ai servizi sociali di base. E che, per intenderci, i bambini nati in contravvenzione alla politica del figlio unico non hanno (almeno per ora).

La Baby Plan Medical Technology Company ha sedi in quattro città cinesi e realizza circa 300 nascite all'anno a un costo che può raggiungere i 240mila dollari. E' un prezzo che strizza l'occhio all'esercito dei nuovi ricchi cinesi e prevede un iter controllato nei minimi dettagli, comprendente scelta del sesso e test del DNA. Di solito la madre surrogata deve sottoporsi ad un trattamento ormonale di mesi per preparare il corpo all'impianto dell'embrione onde evitare un rigetto. La donna viene, inoltre, seguita nel corso di una terapia psicologica che la predispone al distacco dal bambino una volta nato. Per i più esigenti Baby Plan offre un pacchetto che prevede il trasferimento della coppia in Thailandia, dove la maternità surrogata è legale. Qui avviene la donazione di sperma e ovuli, nonché l'impianto nell'utero di una donna cinese, che al termine dell'operazione viene ritrasferita in Cina e assistita full-time in un appartamento fino al momento del parto - che avviene in una clinica privata. Baby Plan intasca 24mila dollari, la stessa cifra spetta alla madre surrogata.

Si tratta dell'opzione più in voga tra l'elite, che mal digerisce l'idea di rivolgersi a donne straniere ritenute "inferiori", anche se la spesa da sostenere è ben più economica: 19mila dollari per una donna vietnamita contro i 24mila delle colleghe cinesi di Baby Plan. L'approccio cambia, tuttavia, quando si deve ricorrere a sperma e ovuli altrui. In tal caso la scelta ricade spesso su "donatori alti e biondi", spiegava tempo fa alla Reuters Jennifer Garcia, coordinatrice di Extrardonary Conceptions, agenzia con sede in California che vanta un 40 per cento di clientela cinese. In Cina si pensa che questi bambini eurasiatici "cresceranno più intelligenti e di bell'aspetto".

(Pubblicato su Uno Sguardo al Femminile)









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