giovedì 25 gennaio 2018

In Cina e Asia


Davos: “Le riforme cinesi sorprenderanno il mondo”


La Cina introdurrà nuove misure per aprire il mercato interno ai capitali esteri e allenterà le restrizioni sulla partecipazione straniera nei settori del manifatturiero e dei servizi. Rafforzerà la protezione della proprietà intellettuale e stimolerà le importazioni. “Realizzeremo le promesse fatte passo dopo passo entro la fine dell’anno”, ha dichiarato Liu He,rappresentante per la Cina al forum di Davos, definendo i provvedimenti in cantiere “superiori alle aspettative internazionali”. Alle vecchie promesse se ne aggiunge una nuova: restituire al gigante asiatico “cieli blu nell’arco di tre anni”. Liu, che ricopre attualmente i ruoli di vicedirettore della National Development and Reform Commission nonché direttore del gruppo di lavoro sull’Economia e la Finanza, è stato l’unico ospite a parlare al fianco di Klaus Schwab pur non essendo un capo di Stato. La caratura del personaggio è comprensibilmente motivo di interesse anche oltre la Muraglia. Considerato il braccio destro del presidente cinese nonché padre della supply-side reform varata per snellire l’economia cinese e rimuovere gli sprechi, si crede che Liu sia inoltre il misterioso autore di un articolo pubblicato dal People’s Daily sui pericoli finanziari di un quantitative easing. La partecipazione al vertice sulle Alpi svizzere al posto di Xi Jinping sembrerebbe avvalorare le voci che lo danno in odore di promozione a vicepremier incaricato degli affari economici e finanziari, carica che verrà ufficializzata durante l’Assemblea nazionale del popolo il prossimo marzo. Dopo il discorso pro-globalizzazione di Xi dello scorso anno, la Cina si trova ad affrontare le critiche di quanti la accusano di ritardare le tanto attese riforme di mercato. Solo qualche giorno fa — con Pechino in mente — Trump, ha proceduto con l’imposizione di tariffe commerciali sulle importazioni di pannelli solari e lavatrici. Primo provvedimento concreto dopo un anno di minacce.

Anche Alibaba nella rosa dei colossi tecnologici da 500 miliardi di dollari


Il colosso dell’e-commerce ha raggiunto il competitor Tencent a quota 500 miliardi di dollari, seconda società cinese ad aver affiancato i big mondialiApple, Alphabet, Microsoft, Amazon e Facebook. Dopo aver toccato un picco di 198,86 dollari sul mercato di New York, le azioni della creatura di Jack Ma hanno chiuso la giornata a 195,53 dollari. In un recente prospetto la banca d’investimento Oppenheimer ha rinnovato il suo giudizio positivo sull’andamento di Alibaba citando espressamente il recente programma di connessione tra le attività online e offline. “A nostro avviso, la crescita sarà alimentata dalla migliore personalizzazione di Alibaba nell’e-commerce attraverso l’AI e l’integrazione dei media, l’adozione continuata di Alibaba Cloud e una maggiore esposizione nei negozi fisici”. Proprio ieri, Jack Ma ha preso la parola durante il World Economic Forum a sostegno del libero mercato: “Nessuno può fermare la globalizzazione. Nessuno può fermare il commercio. Se il commercio si ferma, inizieranno le guerre”, ha affermato l’imprenditore.

Usa chiedono a Pechino di espellere agenti nordcoreani. E scattano nuove sanzioni

Washington ha chiesto a Pechino l’espulsione dalla Cina di agenti nordcoreaniimpegnati nel programma nucleare e missilistico. Il vice segretario al Tesoro americano Sigal Mandelker con la responsabilità per il terrorismo e l’intelligence finanziaria, in visita a Pechino, ha invitato l’establishment cinese ad attenersi a quanto stabilito dalle sanzioni delle Nazioni Unite facendo riferimento ad una lista di 26 nordcoreani sospettati da Washington di aiutare il regime — di cui 15 già sotto il mirino dell’Onu. Molti sono dirigenti delle filiali cinesi della Foreign Trade Bank e della Daesong Bank, due istituti bancari sotto regime sanzionatorio. Nello stesso intervento Mandelker ha chiesto che Hong Kong — notoriamente paradiso del riciclaggio di denaro sporco — rafforzi i controlli sui capitali nel rispetto delle risoluzioni internazionali. L’alto funzionario statunitense ha lasciato chiaramente intendere che una mancata collaborazione da parte di Pechino potrebbe sfociare in sanzioni dirette contro obiettivi cinesi grossi, più grossi della Bank of Dandong, l’unico istituto cinese colpito finora. Una mossa che data l’interconnessione economica tra le due potenze metterebbe a rischio le multinazionali finanziarie che fanno affari con la Cina e il mercato statunitense stesso. Le minacce si sono in parte concretizzate nella serata di ieri con l’imposizione di nuove sanzioni contro due società cinesi (Chengxing Trading Co. e Dandong Jinxiang Trade Co.), coinvolte nell’esportazione di metalli e altri materiali utilizzabili per scopi militari, e diversi funzionari della Korea Ryonbong General Corporation operanti in Cina, Russia e Georgia. Ma si tratta ancora di pesci relativamente piccoli.

Pechino vuole demolire 40kmq di “strutture illegali”


Pechino si appresta a demolire 40 kmq di strutture illegali, un altro grande balzo in avanti nell’opera di bonificia della capitale cinese. Si tratta di un’area comparabile per grandezza a 28 Hyde Park messi uno accanto all’altro. E’ quanto rivelato in un rapporto rilasciato ieri dal sindaco pro tempore Chen Jining. Nella capitale “l’aumento di queste strutture sarà pari a zero”, mentre si continuerà a incentivare l’allontanamento dei migranti dalle zone centrali verso la periferia. Le autorità promuoveranno la conservazione degli edifici storici con l’espropriazione degli immobili e la rilocalizzazione degli sfrattati in nuove abitazioni. Da alcuni anni Pechino è impegnata a decentrare le attività con funzioni “non da capitale”, tanto da aver progettato un nuovo distretto industriale raggiungibile in un’ora di treno sulla falsariga di Pudong e Shenzhen. Ma la campagna di demolizioni ha subito una netta accelerata dall’incendio in cui il 18 novembre sono morte una ventina di persone nel quartiere di Daxing.

HRW: Pechino “estende il potere” sul complesso tibetano più grande di Cina

Pechino si sta appropriando di uno dei più grande complessi monastici del buddhismo tibetano. E’ l’allarme lanciato da HRW, secondo il quale le dimensioni del monastero di Larung Gar, nella regione del Sichuan, sono state drasticamente ridotte durante i lavori di “ristrutturazione” (leggi: demolizione ed espulsione dei monaci) durati otto mesi e terminati ad aprile. Oggi il complesso risulta diviso in due da un muro: una parte dedicata al monastero, l’altra adibita ad accademia. Le nuove misure prevedono l’introduzione di quote di reclutamento, un sistema di “registrazione del nome reale” dei membri della comunità, nonché l’affidamento del 97% dei ruoli principali nella gestione della finanza, sicurezza e ammissione, a quadri del Partito Comunista, che devono essere rigorosamente atei. Il rapporto conclude che “le autorità cinesi stanno anche imponendo un controllo pervasivo di sorveglianza su ogni livello di attività all’interno delle comunità religiose”. Le zone tibetane del Sichuan sono quelle più interessate dalla lunga catena di autoimmolazioni contro il “genocidio culturale” messo in atto dal governo centrale. Secondo HRW, la stretta esercitata sull’importante centro buddhista rischia di esacerbare il conflitto con la minoranza.

Lotta tra poveri nello stato Rakhine


Mentre le operazioni di rimpatrio dei rohingya vertono in una fase di stallo nonostante l’accordo raggiunto tra Myanmar e Banlgadesh, la situazione nello stato Rakhine è tutt’altro che tornata alla normalità. La scorsa settimana almeno sette persone sono rimaste uccise in uno scontro con le forze dell’ordine dopo che in migliaia avevano manifestato contro la decisione del governo di vietare le celebrazioni per il 233 anniversario della caduta del regno Arakan. I disordini hanno coinvolto la minoranza rakhine, l’altra etnia che abita lo stato meglio noto per la repressione rohingya. Da quando la crisi della minoranza islamica ha conquistato l’attenzione dei media internazionale, la comunità rakhine — che si differenzia per la fede buddhista ma che vive ugualmente in condizioni di estrema povertà — ha dato segni di disagio e ha condannato la faziosità delle organizzazioni umanitarie impegnate unicamente nel sostentamento dei rohingya. Sempre più chiaramente la situazione in cui verte lo stato Rakhine si sta delineando in una guerra tra poveri. Le autorità hanno spiccato un mandato di cattura nei confronti del fondatore del principale partito politico rakhine, mentre un altro esponente del movimento è già in manette per aver pronunciato un discorso critico nei confronti del governo. E’ l’altra faccia di una crisi spesso sottostimata. Pur essendo lo stato Rakhine una regione ricca di risorse naturali, il 78% della sua popolazione vive sotto la soglia di povertà. Non solo i rohingya.

Il perdurare della reticenza del governo di Aung Sa Suu Kyi a fare chiarezza su quanto sta avvenendo nella zona ha indotto Bill Richardson, ex funzionario del governo Clinton, ad abbandonare il panel di esperti stranieri incaricato dal governo birmano di verificare l’implementazione di quanto consigliato nel rapporto redatto dalla squadra di Kofi Annan sullo stato Rakhine. Secondo Richardson, amico da anni di Suu Kyi, il gruppo starebbe “comprendo” l’operato di un governo “privo di leadership morale”. A scatenare la reazione dell’ex ambasciatore alle Nazioni Unite, il rifiuto categorico della Lady ad affrontare la questione dell’arresto dei due giornalisti della Reuters sotto processo in un caso di appropriazione di informazioni riservate sulla repressione dei rohingya.

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