lunedì 17 marzo 2014
La fragilità cosmopolita di Singapore
Per quarant'anni Singapore ha ballato sull'oro di un precipizio, covando al suo interno un equilibrio sociale precario, una labile armonia con stridenti stonature etniche. Lo scorso dicembre un'insolita manifestazione nel quartiere orientale di Little India ha messo a nudo le debolezze endemiche della città-stato. Tutto è cominciato con la morte di un operaio indiano, travolto da un autobus guidato da un singaporiano. Un semplice incidenti degenerato in violenza. Alcune macchine sono state date alle fiamme e 39 persone sono rimaste ferite nei tafferugli con le forze dell'ordine. Il rancore della comunità immigrata ala fine è esploso. “L’ineguaglianza che ha messo radici a Singapore avrà conseguenze disastrose, di cui vediamo già i primi segni,” scriveva sul suo blog l'attivista Roy Ngerng "Forse c’era da aspettarselo, visto che paghiamo una miseria a questa gente, nonostante ci abbia aiutato a costruire il nostro Paese, le nostre strade, le nostre case, pretendendo che riescano a sopravvivere in condizioni terribili."
Da diverse settimane le tensioni tra locali e migranti si erano inasprite. Agli scontri tra indiani e bangladesi è seguita un'ondata xenofoba che ha travolto i social media, indignando gran parte degli internauti. Iniziative indipendenti, come la pagine Facebook Shut Racism UP SG, sono nate con l'intento di sensibilizzare i cittadini verso una tematica a lungo ignorata. Singapore ha un problema di razzismo, che lo si voglia ammettere o meno. (Segue su L'Indro)
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