Nella tradizione cinese, l'Anno del Dragone è sempre foriero di grandi sconvolgimenti. Il 2012 non ha fatto eccezione. La storia di Bo Xilai ormai la sanno anche i sassi, così come sono ampiamente noti i numerosi scandali che lo scorso anno hanno scosso dalle fondamenta il Pcc. La "giustizia" cinese ha cercato di mettere tutto a tacere con una lunga serie di epurazioni eccellenti, attribuendo la crisi che ammanta Zhongnanhai al fenomeno della corruzione, che permea l'intera intelaiatura del potere, dal semplice quadro all'alto funzionario. Non esattamente una novità, se si pensa che fu proprio il malcostume dei politici ad infiammare le proteste di piazza Tian'anmen; non unica, ma certo tra le scintille più esplosive.
Pare, comunque, che la percezione del popolo nel confronto della corruzione sia effettivamente mutata negli ultimissimi anni. Recentemente mi sono capitati sott'occhio i dati del "Libro blu sulla società cinese nel 2011", volume nel quale gli autori riportavano un'indagine sui fattori che avevano destato maggior preoccupazione tra i cittadini urbani cinesi nel 2010. Ebbene, la corruzione era in fondo alla lista. Primeggiava, invece, l'aumento dei prezzi (42%), seguito dall'inefficienza del sistema sanitario (37%), il costo eccessivo degli immobili (33,6%), la disoccupazione (25,8%), la previdenza sociale (24,2%), la sicurezza alimentare (17,8%), il gap ricchi-poveri (13,3%) e infine la corruzione (9,9%).
Ben diversi gli esiti della ricerca del Pew Research Center, condotta tra il 18 marzo e il 15 aprile 2012 (in pieno caso Bo Xilai, quindi), dalla quale emerge una popolazione soddisfatta dai recenti successi economici del Paese ma molto allarmata dalle diseguaglianze sociali e dalla corruzione, proprio quest'ultima citata dal 50% degli intervistati come uno dei principali mali della Cina. Solo due anni nel mezzo, ma con un 2012 ricco di scandali e 704 violazioni disciplinari da parte di funzionari a fare la differenza.
giovedì 28 febbraio 2013
sabato 23 febbraio 2013
Arricchirsi è glorioso?
(Al-Jazeera propone un servizio sulla vita dei paperoni cinesi)
Deng Xiaoping lo aveva preannunciato: "qualcuno si arricchirà prima degli altri!" A più di trent'anni dall'inizio delle riforme, grazie alle quali la Cina è riuscita ad ottenere il titolo di seconda potenza economica del mondo, la predizione del Piccolo Timoniere trova riscontro in una società affetta da una disparità di ricchezza allarmante. Con elevato rischio rivolte e un malcontento popolare che sempre più spesso sfocia in una critica serrata contro i piani alti del potere.
I numeri parlano chiaro: sommando i beni detenuti dai 70 membri più ricchi dell'Assemblea Nazionale del Popolo (il "parlamento" cinese), si ottiene una somma pari ad oltre 85 miliardi di dollari, ben superiore ai 5,5 miliardi di dollari dei 70 paperoni del Congresso Usa. Secondo Hurun, l'equivalente di Forbes in Cina, nel Regno di Mezzo ci sono 2,5 milioni di milionari e 251 miliardari.
Pare proprio che il "socialismo con caratteristiche cinese" abbia battuto il capitalismo a stelle e strisce, con buona pace di Mao e di tutti gli irriducibili della sinistra più intransigente. Qualcuno inorridisce. "Gli amministratori delle società non dovrebbero essere segretari del Partito", ha commenta l'economista Zhang Hongliang, "dovrebbe essere il proletariato a fornire i segretari e gli amministratori che rappresentano i capitalisti. Quando una stessa persona assume entrambi i ruoli vuol dire soltanto una cosa: che il Partito comunista non è nient'altro che un partito capitalista in tutto e per tutto".
Non è d'accordo, invece, Wu Renbao, ex boss del partito di Huaxi, provincia del Jiangsu, per il quale il benessere della Nuova Cina poggia, sostanzialmente, su un sistema meritocratico: "qualunque sia l'ideologia, l'importante è che diventiamo ricchi insieme". Detto in altre parole, i benefici della crescita sono alla portata di tutti, basta rimboccarsi le maniche. Compagni, "andate e arricchitevi!"
giovedì 21 febbraio 2013
La "Rivoluzione Culturale" alla sbarra
(Aggiornato il 22 febbraio)
Era stato arrestato soltanto lo scorso luglio per un crimine commesso più di quarant'anni fa, poi lunedì il processo. Il signor Qiu, ottuagenario della provincia costiera del Zhejiang, ha dovuto rispondere dell'accusa di omicidio ai danni di un medico, ucciso nel 1967 mentre in Cina infuriava la Rivoluzione Culturale (1966-76). A renderlo noto è China News Service, la seconda principale agenzia di stampa governativa della Repubblica popolare dopo la Xinhua.
Come riportato da China News Service, Qiu avrebbe detto di aver agito su ordine dei membri un gruppo della "milizia civile". Strangolato Hong -questo il nome della vittima- con una corda, ne avrebbe poi tagliate via le gambe con una pala prima di seppellirlo, si legge nel rapporto. Il movente? A quanto pare, il medico era stato sospettato di spionaggio a favore di una fazione rivale.
Le manette per Qiu sono scattate soltanto la scorsa estate, dopo una fuga durata trent'anni. Al momento il verdetto del processo non è stato ancora reso noto.
Non è ben chiaro il motivo per il quale China News Service, battuta la notizia martedì, abbia deciso di rimuoverla dal suo sito web Chinanews.com.cn il giorno seguente. Troppo tardi, comunque: la storia di Qiu era ormai rimbalzata su diversi portali d'informazione, compresi Xinhuanet.com e Sina.com, finendo immancabilmente sul Twitter cinese Weibo.
La blogosfera insorge: "Cosa ne è stato degli altri grandi nomi che hanno scatenato la Rivoluzione Culturale?" -si chiede un utente- "Come mai non si sono mai assunti le loro responsabilità?" "Gli assassini e chi è stato ucciso sono tutti vittime della Rivoluzione Culturale", scrive un altro sul suo microblog.
La Rivoluzione Culturale, lanciata da Mao Zedong nel 1966, si è consumata in una violenza di massa nel nome della lotta anti-borghese, volta a debellare le antiche credenze e chiunque se ne facesse portavoce. "Braccio armato" del movimento furono le Guardie Rosse, gruppi di studenti fanatici autori di crimini efferati: si stima che il costo in vite umane degli anni del terrore ammonti a centinaia di migliaia di morti e milioni di perseguitati, tra i quali accademici, insegnanti, medici e generici "elementi controrivoluzione".
Nessun bilancio ufficiale delle vittime è stato mai reso pubblico, e la Rivoluzione Culturale rimane tutt'ora una pagina buia della storia nazionale avvolta nell'oblio, come la grande carestia che colpì le campagne alla fine degli anni '50; secondo la vulgata ufficiale, una tragedia causata da "disastri naturali". Molti ritengono che il silenzio, dietro il quale si trincera il governo, rifletta l'ostinazione a non mettere in discussione un passato dal quale il Partito, di fatto, trae la propria legittimità.
Negli ultimi tempi, d'altra parte, il fantasma della Rivoluzione Culturale è stato disseppellito in riferimento al caso Bo Xilai, l'ex capo di Chongqing al centro del più grande scandalo della politica cinese dai tempi del massacro di piazza Tian'anmen. Proprio lo scorso anno, a chiusura dell'Assemblea nazionale del popolo, il premier Wen Jiabao aveva sottolineato la necessità di riforme urgenti per evitare che il Paese si trovi ad affrontare una nuova "tragedia storica" come la Rivoluzione Culturale. Una chiara accusa al modello di governance firmato Bo Xilai, massimo esponente dell'estrema sinistra e comunemente definito il "nuovo Mao" per la sua "campagna rossa" a base di vecchi slogan e canzoni nostalgiche.
Ora la storia del signor Qiu sembra essere riuscita a riaccendere il dibattito su uno degli argomenti tabù per eccellenza, e non soltanto attraverso la rete. Il China Youth Daily, il giornale ufficiale della Lega della gioventù comunista cinese, ha pubblicato un editoriale molto schietto nei confronti degli eccessi commessi al tempo delle Guardie Rosse, paragonandoli alle atrocità delle quali si è macchiato il nazismo in Europa. "La cosa più scioccante della Rivoluzione Culturale è stata l'assalto alla dignità umana. Insulti, abusi, maltrattamenti e omicidi erano molto comuni. L'ordine sociale era nel caos".
Ma proprio per via di questa confusione di massa "non è giusto dare la colpa ai singoli, in un periodo in cui il sistema legale era pressocché inesistente" -ha commentato Wang Shun'an, direttore dell'Istituto di Criminologia dell'Università della Cina di Scienze Politiche e Giurisprudenza- "Colpevoli e vittime sono tutti stati sacrificati dalle fazioni politiche dell'epoca"
Fonti: Hindustan Time, Telegraph, South China Morning Post, BBC
martedì 19 febbraio 2013
Cervelli in fuga oltre la Muraglia
"Il mondo è vostro e nostro [di noi adulti], ma alla fine rimarrà a voi...il futuro è nelle vostre mani". Con queste parole Mao Zedong si rivolse agli studenti cinesi nel corso di un discorso tenuto nel 1957 presso l'Università di Mosca. Oggi, scampati gli anni foschi della Rivoluzione culturale e cavalcata l'onda delle riforme economiche, sembra che le nuove generazioni vedano quel futuro oltreoceano.
Secondo i dati rilasciati dal ministero dell'istruzione cinese, nel 2011 sono stati quasi 340mila gli studenti ad aver lasciato il proprio Paese per cominciare un corso di studi all'estero. Entro la fine dell'anno si contavano 1,4 milioni di giovani cinesi dislocati nei vari atenei del globo, evidenziando una tendenza in crescita del 23% per tre anni di fila. Alimentata -con grande risentimento dei cittadini- dagli alti papaveri del Partito, preoccupati di assicurare ai propri rampolli il non plus ultra dell'istruzione, che, a quanto pare, non è quella impartita dalle scuole nazionali.
Pensare che quando oltre centosessant'anni fa Yung Wing lasciò il suo villaggio su una piccola isola a sei chilometri da Macao per il Nuovo Mondo, si ritrovò ad essere l'unico asiatico di tutta l'Università di Yale. In Cina, mentre i suoi coetanei seguivano il tortuoso percorso verso gli esami imperiale, Yung studiava la lingua del "popolo dai capelli rossi" (come venivano definiti gli stranieri durante l'ultima dinastia cinese) in una scuola missionaria. Poi l'opportunità di lasciare gli ormeggi e sbarcare sull'altra sponda del Pacifico, quando studiare all'estero era ancora un privilegio per pochi. Dopo la laurea in arte, rimpatriò, cominciò a lavorare come interprete e consulente, ma il suo più grande successo è stato quello di essere riuscito ad avviare il primo programma di studio all'estero sponsorizzato dal governo cinese, grazie al quale oltre 100 studenti poterono raggiungere gli Stati Uniti.
Nel 1981 una nuova politica introdotta da Pechino permise ai giovani di finanziare autonomamente la propria formazione scolastica oltre Muraglia, dando la possibilità ad una cerchia sempre più ampia di studenti di lasciare la Cina. Secondo le statistiche del ministero dell'Istruzione, dall'avvio delle riforme e dell'apertura sino al 2011, 2,25 milioni di cinesi si sono recati all'estero per motivi di studio. All'inizio a fare presa sui ragazzi era senza dubbio la speranza di un futuro di successi e condizioni di vita migliori, in un periodo in cui la strada della ripresa economica per il Dragone era ancora tutta in salita. Ragione per la quale, negli anni '90, a rimpatriare una volta conseguita la laurea era solo il 26% dei giovani, contro il 31% dello scorso biennio.
Le abitudini di vita all'insegna della frugalità, il boom economico targato Deng Xiaoping, e le restrizioni sulle nascite imposte dalla politica di pianificazione familiare diedero modo alla classe medio-alta cinese di assicurare al proprio unico figlio un futuro migliore. Al tempo il meglio era oltre i confini nazionali, e per molti cinesi sembra esserlo ancora, tanto che oggi uno su sette studenti all'estero proviene proprio dall'ex Celeste Impero. E' quanto emerso da un recente rapporto del Center for China and Globalization (CCG) e dell'Accademia cinese delle Scienze Sociali, secondo il quale il Dragone sarebbe il principale "fornitore" di studenti internazionali.
Ma se il sogno dei giovani cinesi è quasi unanimemente americano -con gli Stati Uniti in cima alla lista delle mete agognate- non tutti sono d'accordo sull'età più consona per effettuare il grande passo.
E' interessante notare come, secondo un sondaggio dello scorso anno riportato dall'emittente di Hong Kong Phoenix , per il 39,1% dei rispondenti il momento migliore per andare all'estero sarebbe quello dell'Università, mentre il 20,8% riterrebbe più appropriato anticipare la partenza agli anni delle scuole superiori. Parere, quest'ultimo, condiviso soprattutto dalle ultimissime generazioni, le quali spingono per espatriare il prima possibile, se si ha la possibilità di farlo. Due sono i trend riscontrabili, secondo Huang Ying, general manager del sito web Zinch China, che fornisce informazioni sui collage americani agli studenti cinesi: il numero crescente di giovani cinesi che ambiscono ad un'istruzione internazionale, e la loro sempre più giovane età.
E qui l'opinione pubblica si spacca in due tra chi teme che un soggiorno oltre la Muraglia possa minare l'integrità culturale dei giovanissimi, ancora in cerca di una propria identità, e chi crede che i piccoli cinesi abbiano meno difficoltà ad adeguarsi ad abitudini di vita tanto diverse da quelle del proprio Paese. "Le persone in America ti incoraggiano a sviluppare una propria opinione e a fare le cose a modo tuo", ha spiegato Shu Yibai, matricola presso la rinomata Università di Stanford, "è molto diverso da ciò che accade in Cina dove il clima culturale pone l'accento sulla modestia e invita a mantenere un profilo basso. Ci vuole tempo per abituarsi alle barriere linguistiche e alle differenze di usi e costumi."
Lo stesso sondaggio, citato sopra, mostra che tra i Paesi preferiti come meta di studio compaiono al primo posto gli Stati Uniti, scelti dal 63,9% degli intervistati. Seguono Regno Unito (37,2%), Canada (25,1%), Singapore (23,1%), Australia (20,1%), Germania (18,9%), Francia (12,8%), Giappone (12,2%), Corea del Sud (7,6%) e Nuova Zelanda (7,3%). Nella lista non c'è posto per l'Italia, anche se -secondo statistiche pubblicate dalla Farnesina nel febbraio 2012- 2489 cinesi avevano fatto domanda per l'anno accademico in corso, in aumento del 46% rispetto all'anno precedente.
I corsi di studi prediletti abbracciano una vasta gamma di specializzazioni. Il 35,8% degli studenti presi in esame avrebbe scelto ingegneria finanziaria, seguita da informatica (27%). Il 25,7% ha optato per un MBA e il 24,7% per economia. Tra le facoltà più gettonate compaiono anche gestione delle informazioni (24,3%), psicologia (24,3%), ingegneria elettronica (20,2%), ingegneria civile e per l'ambiente (16,2%), scienze dell'alimentazione (16%) e ingegneria biomedica (15,4%).
Cosa succede una volta conseguita la laurea? Si ritorna a casa. Pare infatti che il 42,6% dei rispondenti sia convinto che la cosa migliore da fare finiti gli studi sia proprio tornare in Cina, magari per avviare un'impresa. Secondo quanto riportato da un giornale gestito dal ministero dell'Istruzione, il 72% degli 820milioni di cinesi che hanno studiato all'estero tra il 1978 e il 2011, ottenuto il diploma, ha scelto di rimpatriare.
Non per questo il fenomeno dei cervelli in fuga (temporanea) sembra destinato a diminuire. La ragione è semplice: per l'International Labor Organization la fascia d'età tra i 15 e i 24 anni è quella che risente maggiormente del problema disoccupazione dovuto alla recessione globale, mentre uno studio dell'Università Qinghua ha evidenziato che il 69% dei laureati guadagna in media meno di 2000 yuan al mese, circa 250 euro. Uno stipendio inferiore rispetto a quello percepito dai loro colleghi tornati in Cina dall'estero, che si aggira attorno ai 2049 yuan mensili. Non solo. Al rientro, gli studenti possono sperare di venire selezionati nel "progetto dei mille talenti" promosso da Pechino. Non è un caso, infatti, che il 90% degli studiosi dell'Accademia cinese delle Scienze vanti una formazione all'estero, così come la maggior parte dei direttore delle scuole e delle varie istituzioni gestite dal ministero dell'Istruzione.
Per alcuni, d'altra parte, l'opzione viaggio finisce per tradursi in un trasferimento permanente. Come riportato dal New York Times lo scorso ottobre, si stima che entro il 2050 il numero totale dei migranti cinesi verso mete internazionali raggiungerà quota 405 milioni. Migliori condizioni ambientali, servizi sociali più efficienti, ma anche una maggiore libertà religiosa e di parola sembrano essere tra i principali fattori ad attrarre la popolazione del Regno di Mezzo all'estero. Vanno ad aggiungersi le preoccupazioni per un quadro politico instabile e i dubbi verso la nuova leadership al governo, condivisi anche dal ceto meno abbiente: secondo i dati rilasciati dal ministero del Commercio, sono circa 800mila i cittadini cinesi che lavorano all'estero, molti dei quali come tassisti, pescatori e contadini. Nel 1990 erano soltanto 60mila.
(Scritto per Uno sguardo al femminile)
venerdì 15 febbraio 2013
Tocqueville per salvare il Partito
(Aggiornamenti del 20 febbraio in coda all'articolo)
Per non cadere in pericolosi errori politici leggete Tocqueville. E' quanto consigliato dal nuovo responsabile della commissione disciplinare, Wang Qishan, ai quadri del Partito comunista cinese, nell'ultimo anno falcidiato da una serie di casi di corruzione ai massimi vertici. Studiare le cause che hanno innescato la Rivoluzione Francese potrebbe essere d'aiuto alla leadership cinese, alla guida di un paese in cui le disparità sociali sono tra i principali fattori di malcontento popolare (del coefficiente di Gini avevo già scritto tempo fa). "Questo libro può spiegare molto bene il senso di crisi che attualmente colpisce la classe dirigente cinese" ha dichiarato Gu Su, esperto di Tocqueville dell'Università di Nanjing.
La notizia della passione dei cinesi per il filosofo liberale gira già da un po', ma proprio ieri il Nanfang Zhoumo è uscito con una lunga analisi dell'opera. Parto dal fondo, traducendo l'ultimo paragrafo perché mi sembra il più interessante (e anche il più corto).
Solo la libertà del popolo può aiutare a superare la crisi e la depravazione
"L'antico regime e la Rivoluzione", oltre a rivelare la logica distruttiva del nazionalismo, vuole principalmente mettere in evidenza la necessità e la difficoltà di avviare un paese profondamente caratterizzato da un sistema dispotico sulla strada delle riforme. Se non vengono messe in pratica delle riforme, la rivoluzione rimane molto difficile da attuare. Intraprendendo delle riforme, invece, si arriva alla rivoluzione, e non può essere altrimenti. Perciò se non si interviene con le riforme le brutte abitudini rimarranno dure a morire, promettendo più male che bene; opportune riforme possono dare vita ad un popolo libero. Io sono convinto che una persona di ampie vedute, che abbia letto e capito il libro, sia in grado di recepire anche un altro messaggio. Ovvero che la libertà delle masse è di fondamentale importanza per la pace, la prosperità e e la grandezza di una nazione. Nella prefazione di "L'antico regime e la Rivoluzione", Tocqueville descrive il degrado a cui conduce l'unione tra autocrazia e godimento dei beni materiali, e spiega anche il percorso da seguire per riuscire a salvarsi.
Al contrario, soltanto con la libertà è possibile combattere ogni tipo di male, intrinseco in questa società, per evitare che essa scivoli lungo un pendio in rovinosa discesa. In realtà, soltanto la libertà può aiutare a districarsi dall'isolamento, avvicinando le persone tra loro, perché la posizione indipendente dei cittadini conduce la loro esistenza in uno stato di isolamento. Soltanto la capacità di diventare liberi può dar loro calore, tenendoli uniti giorno dopo giorno, perché nelle questioni di interesse pubblico bisogna sapersi capire a vicenda, bisogna saper convincere l'altro e aiutarsi. Soltanto la libertà è in grado di spingere le persone ad abbandonare la venerazione del dio denaro, a sfuggire alle angustie delle piccole beghe che affliggono quotidianamente ognuno di noi, spingendoci a realizzare, ogni momento, ogni istante, che la patria è vicina e sopra ogni altra cosa. Soltanto la libertà ci dà la possibilità, in ogni momento, di rimpiazzare, con un maggior e più nobile entusiasmo, l'indulgenza verso la felicità, spingendo le persone ad adoperarsi per obiettivi più elevati del solo arricchimento. Soltanto la libertà ci dà la conoscenza per distinguere e determinare ciò che è bene e ciò che è male.
Il nazionalismo e la frattura sociale
Certamente Tocqueville sapeva che la Francia necessitava di un'autorità amministrativa unitaria e solida. Venti anni prima, nella celebre opera "La democrazia in America" egli fa una distinzione tra centralizzazione del governo e centralizzazione amministrativa: la prima ha a che fare con l'autorità dello Stato e del governo centrale sul controllo delle risorse del Paese e sulle questioni nazionali, la seconda, invece, consiste nel controllo amministrativo da parte del governo centrale sugli affari a livello locale. Mentre la prima è indispensabile per qualsiasi Paese, la seconda piuttosto viene spesso erroneamente ritenuta parte integrante della prima o sua necessario mezzo. Tocqueville sottolinea che utilizzare la centralizzazione amministrativa per costruire un governo totalitario è un percorso molto pericoloso; la forza dell'accentramento amministrativo, a sua volta, può danneggiare la centralizzazione del governo. Il potere amministrativo, non indica mai la forza di uno Stato e nemmeno di una nazione; al contrario probabilmente ne riflette la debolezza. In "L'antico regime e la Rivoluzione", la critica che Tocqueville muove alla centralizzazione dell'Ancien Régime è in realtà proprio diretta alla centralizzazione amministrativa.
Sotto l'antico regime, la centralizzazione amministrativa del governo aveva la responsabilità dello sviluppo dell'economia, dell'esazione delle tasse, della coscrizione, della manutenzione delle strade, del mantenimento dell sicurezza pubblica, del soccorso ai poveri ed altro. Tentare di gestire tutto accresceva l'odio verso coloro che partecipavano alle questioni pubbliche dall'esterno: qualsiasi gruppo indipendente, qualsiasi forma di associazione libera tutte riuscivano ad intimorirla [la centralizzazione amministrativa]. Alla fine il totalitarismo ha represso e progressivamente eliminato la libertà e la facoltà di autoamministrarsi di cui godevano le organizzazioni e le entità locali durante il sistema feudale; ha abolito la liberà e la partecipazione politica del popolo, cercando di costruire una società completamente assoggettata all'autorità dello Stato. I cittadini hanno smesso di preoccuparsi degli affari pubblici e dei profitti, così come di collaborare e allearsi tra loro.
Non solo. La mancanza di legami con la politica ha fatto si che l'ineguaglianza tra le masse diventasse ancora più intollerabile, diffondendo nervosismo e rafforzando sentimenti di ostilità. Il tutto ha investito ogni aspetto della società francese dell'epoca. Il centralismo amministrativo ha consolidato l'antagonismo tra aristocrazia e gente comune, tra borghesia e contadini, nonché tra città e villaggi di campagna. Il potere centralizzato è ottimista verso le spaccature in seno al popolo: l'assolutismo, infatti, vuole impedire che differenti classi sociali e organizzazioni nazionali possano sollevarsi in un'azione congiunta. Vuole dividere e governare, vuole creare inimicizie tra i cittadini: "non c'è nulla che giovi all'assolutismo più dell'odio e dell'invidia tra le varie classi sociali"
martedì 12 febbraio 2013
Il test nordcoreano e le possibili reazioni di Pechino
La potenza esplosiva del terzo test nucleare nordcoreano è stata inferiore al previsto, ma sufficientemente minacciosa da allarme le cancellerie di mezzo mondo. L'obiettivo (più o meno velato) di Pyongyang è quello di mettere a punto un missile balistico intercontinentale in grado di colpire gli Stati Uniti. Proprio come mostra il video propaganda pubblicato alcuni giorni fa su Uriminzokkiri, sito gestito dall'agenzia di stampa governativa, nel quale una città americana, molto somigliante a New York, viene colpita da un razzo lanciato da una Corea unificata. Le immagini sono solo la proiezione onirica di un giovane nordcoreano, ma dopo la provocazione di questa mattina non è escluso che possano rappresentare le reali intenzioni di Kim Jong-un, il giovane leader alla guida della Corea del Nord da circa un anno.
Questa mattina, poco dopo il rilevamento di alcune scosse sismiche presso il sito di Punggye-ri, nella punta nord-orientale del paese -avvertite anche in Cina e Giappone- Pyongyang ha reso noto di aver eseguito con successo un test sotterraneo utilizzando "un ordigno più piccolo e leggero, ma con una grande potenza esplosiva". Una potenza doppia rispetto alla detonazione del 2009, come ha spiegato la Ctbto. E ora il dubbio è che lo stato eremita abbia acquisito tutta la tecnologia necessaria a montare il nuovo dispositivo miniaturizzato su un missile a lunga gittata.
Il test è arrivato, per nulla inaspettatamente, dopo numerose minacce, a due mesi dal lancio del satellite che ha indotto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad inasprire le sanzioni contro la Nord Corea, con il placet di Pechino, unico alleato di Pyongyang. Quella di oggi rappresenta una "violazione delle risoluzioni 1718, 1874 e 2047", come ha rimarcato il ministro degli Esteri britannico William Hague, e nemmeno la Cina ha potuto astenersi dal mostrare il proprio disappunto.
Il Dragone, che negli ultimi tempi aveva mostrato i segni di un'esasperazione crescente nei confronti dei toni bellicosi del vicino asiatico, ha convocato l'ambasciatore della Nord Corea a Pechino per esprimere la propria condanna, mentre il ministro degli Esteri, Yang Jiechi, ha dichiarato che la Cina "è fortemente insoddisfatta e decisamente contraria" al test. Ha inoltre esortato Pyongyang a "porre fine a qualsiasi retorica o atti che potrebbero peggiorare la situazione e a tornare alla giusta linea di dialogo e di consultazione nel più breve tempo possibile".
Come evidenziato in un editoriale pubblicato dall'agenzia di stato Xinhua, e ripreso dal nazionalista Global Times, Pechino ritiene che la strada migliore da percorre sia quella della negoziazione, con la ripresa dei colloqui a sei. "Si è giunti ad un punto in cui le parti interessate dovrebbero pensare e agire razionalmente per creare le condizioni favorevoli a far rivivere i colloqui a sei, che da tempo vertono in una fase di stallo, e per evitare una ricaduta disastrosa", si legge in chiusura al pezzo.
Toni, comunque sia, molto differenti da quelli utilizzati nelle scorse settimane, quando proprio il quotidiano-bulldozer della politica estera cinese aveva minacciato la Corea del Nord, ipotizzando un taglio degli aiuti. La Cina sostiene da tempo l'indisciplinato alleato nel timore che l'instabilità nella penisola possa tradursi in una fuga di massa degli sfollati oltre il confine sino-coreano o, quasi peggio, in una riunificazione delle due Coree. Uno scenario che implicherebbe un'escalation militare nella regione, con gli Stati Uniti alle porte: oltre 28mila soldati a stelle e strisce stazionano nella Corea del Sud in protezione di Seul.
Secondo Stephanie Kleine-Ahlbrandt, direttrice per l'Asia nord-orientale del think tank International Crisis Group, la preoccupazione maggiore di Pechino al momento consiste proprio nello scongiurare un collasso del nord. Il commercio con il Dragone e i sussidi elargiti dal governo cinese sono l'unico salvagente che ha permesso a Pyongyang di rimanere a galla sino ad oggi. Ma anche di portare avanti il suo programma nucleare. Nel 2006 Pechino ha ridotto le forniture di petrolio, proprio due mesi dopo il lancio di un missile balistico (fallito) e un mese prima che il regime nordcoreano procedesse con il suo primo test nucleare. La sforbiciata è emersa soltanto più tardi dai dati sul commercio, che Pechino adesso evita di pubblicizzare, presumibilmente, per non umiliare l'alleato. Questa volta il Dragone probabilmente risponderà con provvedimenti molto limitati, presi di comune accordo con altre nazioni; niente misure unilaterali che possano compromettere eccessivamente i rapporti tra i due, pronosticano alcuni analisti.
La Corea del Nord costituisce un dilemma per la Cina, come i piccoli stati alleati lo furono per Washington al tempo della Guerra Fredda, ha commentato Wang Dong esperto di Asia nord-orientale presso l'Università di Pechino. "Avere alleati di piccole dimensioni, che si comportavano in modo molto provocatorio e aggressivo, metteva gli Stati Uniti nel pericolo di trovarsi ad entrare in un conflitto che in realtà non volevano" ha spiegato Wang "la Cina si trova in un dilemma molto simile".
In previsione della detonazione, tempo fa l'inviato speciale americano, Glyn Davies, aveva detto che "la Cina e gli Stati Uniti hanno raggiunto un grado di consenso molto forte", mentre il capo del Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha affermato che i suoi 15 membri sono "compatti" sulla questione coreana. Eppure, come ricorda il precedente del 2009, il Dragone ha sempre cercato di ammorbidire la risposta delle Nazioni Unite, tanto che al tempo il presidente Hu Jintao fu accusato dall'amministrazione Obama di "cecità volontaria" nei confronti dello stato eremita.
"Il rapporto (tra Pechino e Pyongyang ndr) rimarrà forte" ha affermato Sarah McDowall, analista di IHS Global Insight "la Cina continuerà ad adottare misure politiche ed economiche volte a sostenere e puntellare il regime nordcoreano". Ma non è un mistero che il gigante asiatico sia notevolmente infastidito dalla riluttanza dell'alleato ad avviare delle riforme economiche. Come testimoniano le isole Hwanggumphyong e Wihwa, lungo il fiume Yalu che separa i due paesi, destinate nel giugno 2011 a diventare un'area di libero scambio, e oggi ancora distese di neve limitate da una recinzione di recente costruzione. "Non si muove nulla qui" ha commentato un uomo d'affari di Dandong, città che sorge sulla sponda cinese "alla Corea del Nord va bene usufruire degli aiuti e portare avanti le attività commerciali con la Cina, ma non sembra che la sua economia stia cambiando veramente".
Il tempismo adottato dalla Corea del Nord non è casuale. L'ultima provocazione nucleare è stata messa in atto proprio oggi, nel giorno del discorso alla nazione di Barack Obama, e in un momento in cui il Regno di Mezzo è nel pieno della sua decennale ricambio politico. Proprio la situazione a nord del 38esimo parallelo rappresenterà un arduo banco di prova per il neo eletto Segretario generale del Pcc, Xi Jinping, che dal prossimo marzo -salvo colpi di scena- succederà ad Hu Jintao alla presidenza della Repubblica popolare cinese. Di posizioni più nazionaliste rispetto a Hu, come ha già mostrato nella contesa con il Giappone sulle Diaoyu, l'uomo forte di Pechino ha d'altra parte più volte espresso il desiderio che Cina e Stati Uniti stabiliscano "un nuovo tipo di relazione tra due grandi potenze". La sua volontà di stringere rapporti più amichevoli con Washington potrebbe esplicarsi in una linea intransigente nei confronti di Pyongyang.
Sebbene il dibattito sulla Corea del Nord infiammi sempre di più i circoli della politica estera d'oltre Muraglia, rimane ancora piuttosto incerto se a prevalere possa essere la fazione meno accomodante. Nonostante la crescente preoccupazione per l'indisciplinatezza del vicino di casa, il terrore di perdere un importante "stato cuscinetto" sembra prevalere, sopratutto tra le file dell'esercito, spiega Jia Qingguo, professore presso la Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Pechino. Proprio Jia, in visita a Washington il mese scorso, ha prospettato la possibilità che la Corea del Nord venga sfruttata da Xi Jinping per avviare una maggior cooperazione tra l'Aquila e il Dragone: "dobbiamo lavorare insieme per evitare che diventi una potenza nucleare".
La risposta del web cinese
Per l'Internet cinese è giunto il momento di stringere il guinzaglio al "cane rabbioso". La risposta ufficiale di Pechino al test nucleare di Pyongyang è stata troppo blanda: lo pensa il popolo del web. "Se persegui una politica diplomatica a lungo termine ingiusta, allora la gente avrà il coraggio di far esplodere una fialetta puzzolente davanti alla porta di casa tua mentre sei in vacanza" ha dichiarato Yu Jianrong, direttore dell'Accademia cinese delle Scienze Sociali. "State invitando la vostra umiliazione" ha proseguito Yu su Sina Weibo, sorta di Twitter in salsa di soia. "La Corea del Nord non si fida e non accetta di essere inibita dalla Cina" è il commento l'utente Zhuanshengben sul suo microblog, mentre un altro, senza mezzi termini, ha invitato Washington ad intervenire: "Se gli Stati Uniti attaccheranno la Corea del Nord, darò al governo americano tutto il mio stipendio di un anno". Per Wuyuesanren, la corsa all'atomica dell'alleato certo non aiuterà a mantenere la sicurezza nazionale, e la politica portata avanti da Pechino è paragonabile a "tenere a guardia della propria abitazione un cane pazzo". Sempre su Weibo, Hu Jia, uno dei dissidenti più noti dell'ex impero Celeste, ha definito Pyongyang "la più grande canaglia, una canaglia spregevole e senza scrupoli". Proprio Hu ha pubblicato la registrazione di una telefonata fatta all'ambasciata della Nord Corea in Cina. Soltanto poche parole: "Voglio solo dirvi che sono il cittadino cinese Hu Jia, e voglio esprimere la mia opposizione al test nucleare".
sabato 9 febbraio 2013
Ordos, la Cina del futuro in miniatura
Ordos, una città costruita per ospitare un milione e mezzo di abitanti e ancora praticamente deserta. Secondo gli analisti di HSBC, la città della Mongolia Interna “è l’emblema di quello che potrebbe succedere in Cina nei prossimi anni”. Il perchè lo spiega Ye Tan (叶檀) in un articolo comparso sul Nanfang Renwu Zhoukan (南方人物周刊) il 31 dicembre. Testo originale
L'Ordos è diventato il simbolo di una diversa forma di bolla finanziaria. Quando il denaro non viene utilizzato in modo opportuno, esso può distruggere l'economia reale. Vi pregherei di non mettere a paragone le praterie dell'Ordos con Hong Kong, che vanta infrastrutture di mercato da circa 200 anni. Sarebbe irrispettoso per entrambe le città.
Il Pil procapite della città di Ordos ha superato quello dell'ex colonia britannica, è diventata una città ricca. I prezzi degli immobili, degli ortaggi e dei taxi sono per giunta superiori a quelli di Pechino, Shanghai e altre metropoli. Se non c'è l'economia reale, le grandi somme di denaro a sostegno sono come un demone in grado di gettare l'economia in un processo a spirale discendente. Gli alti costi ostacolano i gruppi che vogliono creare un'impresa -i profitti dell'economia virtuale diventano il solo business in grado di recuperare i costi- mentre la bolla dell'economia virtuale alza i costi dell'economia reale, compiendo un passo avanti nel colpirne le fondamenta. Il governo locale, che ha tentato di attrarre le aziende attraverso laute sovvenzioni, si è imbattuto in miseri fallimenti. I sussidi non possono rimodellare il contesto economico, né cambiare il modello di guadagno e, in seguito al declino dell'economia reale, le sovvenzioni governative si sono trovate prive di una base.
L'economia dell'Ordos è una bolla immobiliare di breve periodo delle piccole e medie città dominate da un'unica risorsa, mentre l'economia di Wenzhou è una bolla di lungo periodo caratterizzata da un'industria manifatturiera che non cresce e dove tutta la popolazione è impegnata a speculare. La natura intrinseca delle due città è identica, l'ingente ammontare di capitali non è stato in grado di trovare un varco, venendo dirottato verso proprietà immobiliari e prestiti dagli alti interessi; la catena di indebitamento ha portato ad un collasso e il mercato immobiliare in realtà non ha guadagnato nulla.
E' più o meno da un decennio che sentiamo parlare dell'aumento dei prezzi immobiliari di Wenzhou, che hanno superato perfino quelli di Pechino, Shanghai ecc...rendendo Wenzhou una città di primo livello del real estate cinese. E abbiamo anche sentito parlare delle speculazioni nel mercato immobiliare e in quello minerario, e dell'utilizzo di leve finanziarie sempre più lunghe per fare perno su ogni tipo d'investimento; con i nostri occhi abbiamo constatato che dopo i primi guadagni le aziende, si sono avventurate una dopo l'altra nel settore dell'immobiliare. I valori dell'output del real estate delle imprese locali ha già superato quello delle attività principali. Quanto riportato sopra è noto ovunque. I costi dell'economia reale sono sempre più alti, le leve finanziarie rapidamente sempre più lunghe, e alla fine nessuno sa quale filo d'erba è in grado di schiacciare un cammello. Lo stelo che schiaccia Ordos è il crollo dei prezzi del carbone, quello che opprime Wenzhou è il declino dell'export. Il fenomeno comune consiste nel forte calo dei prezzi del real estate.
Nel caso della ristrutturazione economica, la cosa più dolorosa non è non trovare l'origine del problema, ma piuttosto non riuscire a trovare un rimedio per risolverlo.
Il motivo è chiaro: i prezzi troppo alti dell'immobiliare cinese inibiscono lo sviluppo dell'economia reale, l'emissione eccessiva di liquidità rende i prezzi dei beni capitali estremamente elevati ed è all'origine del gigantesco divario tra ricchi e poveri. Ora la Cina non necessita soltanto di un ordine di mercato dell'economia reale equo, ma anche di un ordine del mercato dei capitali, perché proprio quest'ultimo è già diventato la maggior fonte di distribuzione della ricchezza.
In passato il governo di Ordos, visti quali sono i danni portati dall'economia virtuale, ha cercato di attrarre l'economia reale a rimanere. Il problema è che, mancando filiere e una tradizione di mercato, il fallimento è assicurato. Tra il popolo impazzano l'usura e i prezzi delle materie prime e questo è un' altra causa di sconfitta. Chi ha accumulato profitti sostanziali non degna nemmeno di uno sguardo l'economia reale. Poiché è possibile, attraverso l'usura, ottenere profitti oltre il 20%, chi vorrebbe mai raggiungere meno del 5% facendo grandi sforzi? Ordos attrae soltanto le imprese che desiderano ardentemente il carbone. Queste sono esattamente come gli speculatori, e non hanno intenzione di piantare le basi per costruire una filiera.
Come Ordos, la Cina non è forte ma orgogliosa, non è prospera ma debole, mentre gran parte delle persone non è ancora in grado di capire questa situazione, c'è un gruppo di preveggenti che attraverso virtual asset e prezzi bassi ha ottenuto il potere di rent-seeking e si è accaparrato la fetta più consistente della torta. Gli effetti di queste ricchezze hanno innescato un'euforia generale. Non stupisce, quindi, che, secondo le stime delle organizzazioni internazionali sull'affidabilità finanziaria, negli ultimi dieci anni diverse migliaia di miliardi di dollari di beni sono stati trasferiti oltremare attraverso canali non convenzionali. I giochi di politica monetaria, come il real estate, superano l'economia reale diventando la fonte principale di ricchezza.
Nonostante noi lo sappiamo bene, i prezzi degli immobili sono stati gonfiati, c'è la possibilità che tutto questo conduca l'economia nazionale nella stessa situazione tragica in cui si trova Ordos. Se non si stabilisce un ordine equo nella borsa valori, questo mercato diventerà subito un'arena in cui sono le classi sociali potenti a fissare i tempi per la raccolta degli ortaggi. L'aumento [dei prezzi] nel breve periodo difficilmente riesce ad arrestare le intenzioni dei grandi azionisti di far circolare il denaro. Noi non possiamo fare a meno di lasciar crescere ancora i prezzi del mercato immobiliare, non possiamo fare a meno di rimanere seduti ad osservare alcune società quotate in borsa continuare ad iniettare liquidità. Ma qualsiasi riforma è il risultato di un gioco di forze tra diverse parti, di un equilibrio raggiunto sotto le ristrettezze delle condizioni circostanziali.
Come spiegato sopra, il real estate, i debiti e la valuta continuano a salire. Le esportazioni scendono, mentre rimane difficile incentivare i consumi. Tutto questo renderà gli investimenti la forza principale in grado di spingere la crescita dell'economia cinese. La garanzia più importante dei fondi d'investimento è la terra, perciò il real estate non dipende dalla domanda del mercato, ma dalla presenza o meno degli investimenti, principale garanzia di credito, praticamente l'unica. Oltre ai costi dell'urbanizzazione e alla febbre degli investimenti, nei prossimi dieci anni investimenti per trilioni di yuan, oltre a causare un'impennata dei prezzi, porteranno anche ad un'espansione del debito e della valuta, diventando fenomeni praticamente usuali.
Comprendere i rischi ma non riuscire a dissolverli: questa è la tragedia che accomuna Ordos e Wenzhou. Ma com'è la situazione della Cina nel suo insieme? Se negli ultimi due anni la valuta e il debito si sono espansi, l'aumento dei prezzi del mercato immobiliari ci spinge a vedere in Ordos una proiezione di come sarà l'economia dell'intero Paese in futuro. Se la crescita del debito rimarrà sotto controllo, verrà migliorato il processo di valutazione dell'efficacia dei progetti, le fasce di reddito medio aumenteranno e il real estate crescerà in maniera costante e contenuta, allora potremmo ritenerci soddisfatti.
叶檀:鄂尔多斯是未来缩影
南方人物周刊 叶檀 2012-12-31 09:08:36 评论(0)条 随时随地看新闻
核心提示: 鄂尔多斯经济是单一资源主导的中小城市的短期泡沫,而温州经济则是制造业无法升级、全民炒作形成的长期泡沫。
鄂尔多斯成为另类金融泡沫象征,当金钱得不到恰当使用时,会摧毁实体经济。请不要把草原明珠鄂尔多斯与拥有200年市场基础的香港相提并论,这对于两座城市都是一种不尊重。
这座城市一度人均GDP超过香港,成为财富之乡,当地的房价、菜价、出租车价格甚至高过北京、上海等特大城市。没有实体经济支撑的大量货币是魔鬼,会让经济陷入螺旋式下坠过程:高昂的成本阻挡住创业的人群——虚拟经济的暴利成为惟一可以收回成本的生意——而虚拟经济泡沫抬高实体经济的成本,进一步冲垮了实体经济的根基。地方政府试图用高额补贴吸引商家,遭遇悲惨的失败,补贴不能重塑经济环境,不能改变赢利模式,随着实体经济的下滑,政府的补贴也就成为无源之水。
鄂尔多斯经济是单一资源主导的中小城市的短期泡沫,而温州经济则是制造业无法升级、全民炒作形成的长期泡沫。两个城市的经济本质相同,天量资金无法找到突破口,转向民间高息借贷与房地产,民间借贷链条在风吹草动下崩溃,当地的房地产市场成为一地鸡毛。
将近十年左右的时间,我们的耳边不时听到温州房价上升,房价超过京沪等地,成为中国房地产市场的一线城市;我们听到温州资金四处炒作房地产与矿产,以越来越长的资金杠杆撬动投资品种;我们亲眼见证实体经济掘到第一桶金的企业,纷纷涉足房地产行业,当地企业房地产产值已超过主业。上述消息四处流传,意味着实体经济成本越来越高,金融杠杆急速加长,最后,谁知道通过哪一根稻草,就把一匹骆驼压垮了。压垮鄂尔多斯的稻草是煤价下降,压垮温州的是出口下滑,共同的现象是房价大幅下挫。
对于经济转型而言,最痛苦的不是找不到病根,而是找到病根却无法诊治。
理智的人清楚,中国房价过高抑制了实体经济的发展,货币发行量过大使得资产品价值畸高,资产套现使中国出现了巨大的贫富分化。中国不仅需要建立公平的实体经济市场秩序,更需要建立健全的资本货币市场的秩序,因为后者业已成为中国最大的财富分配之源。
鄂尔多斯政府此前看到了虚拟经济之之害,试图吸引实体经济进驻,却因当地缺少产业链、缺少市场积淀而失败,也因为全民的高利贷狂欢、资源价格狂欢而失败。获得厚利者对实体经济不屑一顾,既然可以通过高利贷轻松获得20%以上的收益,谁愿意胼手砥足追逐5%以下的收益?鄂尔多斯只吸引到了垂涎于煤炭的企业,他们更像煤炭投机者,而不愿意在当地扎根建立产业链。
与鄂尔多斯一样,中国未强而骄,未富而弱,大部分人还在懵懂期,已经有一批先知先觉者通过虚拟资产套现、低价获得寻租权,获得了蛋糕上最丰厚的一块,其财富效应引发了一场全民狂欢。无怪乎,据国际金融诚信组织的统计,这十年的时间有数万亿美元的资产转移通过非正常渠道转移到海外。房地产等货币游戏远超实体经济,成为最重要的财富之源。
尽管我们清醒的知道,房地产价格虚高,有可能导致中国经济整体进入鄂尔多斯悲剧;不建立股票市场的公平秩序,这一市场就是权势阶层定期割韭菜的场所,短期的上涨难敌大股东的圈钱意图——我们却不得不让房地产价格继续增长,不得不坐视某些上市公司在股票市场上继续套现。但是,任何改革都是多方力量博弈的结果,是各种环境条件制约下平衡的结果。
以下现实支撑了房地产、债务、货币继续上升。出口下行、消费难振,使得投资在未来五年的时间里都是拉动中国经济增长的主要动力,投资资金最重要的抵押品就是土地,所以,房地产不取决于房地产需求本身,取决于是否是投资、信贷抵押品的重要来源甚至惟一来源。加上城镇化成本、加上投[简介 最新动态]资热,未来十年几十万亿的投资量,除了将继续抬高地价外,还将进一步扩张债务,未来货币进一步扩张也将成为大概率事件。
了解危害,却无法化解危害,这是鄂尔多斯与温州的共同悲剧,中国整体情况如何?如果这两年货币、债务大扩张,房地产大涨,让我们北望鄂尔多斯,那是未来中国经济的缩影;如果债务增长得到控制,项目效率考核提升,中产收入阶层增加,房地产稳步小幅上升,让我们额手称庆——中国经济不仅理智地躲过了鄂尔多斯陷阱,还以极大的勇气抑制住了既得利益者的无度盘剥。
lunedì 4 febbraio 2013
Non dimentichiamo Taiwan
(Aggiornato l'8 febbraio)
"Le Diaoyu sono parte della Cina, sia che per Cina si intenda Pechino che Taipei". E' la dichiarazione tutt'altro che scontata di Zhang Likun, uno dei membri della federazione cinese che si oppone alle rivendicazioni nipponiche sulle isole contese: Diaoyu per la Cina, Senkaku per il Giappone e Diaoyutai per Taiwan, un pugno di scogli ricchi di risorse energetiche.
Le acque del Mar Cinese Orientale sono tornate ad incresparsi all'inizio del nuovo anno, dopo l'invio di aerei cinesi nell'area, un nuovo tentativo di approdo da parte degli attivisti di Taipei e l'aumento della spesa militare del Sol Levante.
Alcuni giorni fa il governo giapponese ha approvato il bilancio per il 2013-2014, che prevede per la prima volta dopo 11 anni un aumento delle risorse finanziarie e del personale della difesa, portando il budget a 52 miliardi di dollari, lo 0,8% in più rispetto allo scorso anno. Un aumento delle truppe in servizio -ha reso noto il ministero della Difesa giapponese- servirà a migliorare "la sicurezza della regione sud occidentale", dove per l'appunto si trovano i famigerati isolotti.
Nel mese di gennaio i caccia nipponici hanno dovuto far fronte a nuovi pattugliamenti aerei, per Pechino "normale opera di controllo e addestramento" dell'aviazione civile e militare nazionale. Mentre il rituale via vai di motovedette cinesi ormai non fa quasi più notizia (in seguito alla nazionalizzazione giapponese delle isole avvenuta lo scorso settembre, il Dragone ha inviato le proprie navi nelle acque contese almeno 24 volte) la nuova intromissione di Taiwan mette in evidenza un elemento da non sottovalutare: seppur rimasta a lungo nell'ombra per lo scarso peso diplomatico, l'ex isola di Formosa difficilmente potrà continuare a essere ignorata.
La missione patriottica dei 10 attivisti taiwanesi, respinti a cannonate d'acqua dai guardacoste nipponici mentre tentavano di raggiungere le isole, ha guadagnato vasto sostegno nella Repubblica popolare. Parecchi attivisti cinesi hanno espresso il loro plauso ai cugini aldilà dello stretto. "Quando sono tornato indietro molte persone sono venute da me per dirmi che ritenevano il gesto del Giappone troppo estremo" ha raccontato Huang Hsi-lin, membro dell'equipaggio e presidente di un'alleanza taiwanese per la rivendicazione delle Diaoyu, "abbiamo in programma di fare un altro passo". Nella mainland la controversia del Mar Cinese Orientale viene vissuta con passione, molto meno a Taiwan, ha spiegato Zhang Likun.
Alcuni sospettano che la solidarietà dimostrata a livello popolare rifletta un disegno superiore. Un tempo acerrimi rivali, dal 2008 in migliori rapporti, Pechino e Taipei potrebbero avere in mente una cooperazione in chiave anti-nipponica, suggeriscono diversi analisti. Nonostante le smentite della Repubblica di Cina, una collaborazione col Dragone potrebbe aiutare a procrastinare il ritorno della "provincia ribelle" alla madrepatria. "Una tacita cooperazione con Pechino sulla controversia marittima delle isole è vista da alcuni taiwanesi come un modo per dire alla Cina continentale che stiamo dimostrando buona fede, quindi di non far pressione per andare avanti con la riunificazione in questo momento", ha spiegato Scott Harold politologo del think tank statunitense RAND Corporation.
Ma non tutti vedono di buon occhio un'alleanza sino-taiwanese contro il Sol Levante. In particolare la stampa cinese non ha risparmiato critiche contro le ultime affermazioni del presidente del Partito Democratico Progressista (DPP) di Taiwan, Su Tseng-chang, responsabile di aver invitato Taipei e Tokyo ad ignorare la questione della sovranità territoriale per concentrarsi sulla pesca nelle acque agitate. Un'idea, questa, ritenuta "irrealizzabile" anche da Want Daily, United Daily News e Central Daily News. Le tre testate taiwanesi, piuttosto, hanno preferito appoggiare la proposta avanzata da presidente Ma Ying-jeou di dividere con il Giappone le risorse energetiche dell'area, ma di non cedere sulla sovranità delle isole.
Su Su ricade la colpa di aver cercato di "adulare il Giappone e svendere Taiwan per guadagni personali", scriveva il 7 febbraio la Xinhua, mentre la stampa della Repubblica di Cina ha messo in evidenza come le dichiarazioni del leader dell'opposizione taiwanese riflettano una scarsa conoscenza "degli affari internazionali e delle relazioni tra le due sponde".
Il presidente del PDD giovedì ha portato a termine una visita controversa in Giappone, durante la quale ha avuto modo di incontrare diversi pesi massimi della politica nipponica. Tra questi Nobuo Kishi, fratello del Primo Ministro Shinzo Abe e membro della Camera dei Consiglieri, la camera alta della Dieta, al quale Su ha consigliato di trincerarsi dietro "un'alleanza democratica" con Stati Uniti, Corea del Sud e Taiwan per ostacolare "ogni potere che cerchi di rompere la pace della regione e creare tensione". E per chi non avesse inteso, Su ha precisato che la manovra dovrebbe essere mirata a contenere il Dragone.
Proprio contro Pechino si è scagliato Antonio Chiang, editorialista dell'Apple Daily di Taiwan. Il governo cinese -scrive Chiang- invia rami d'ulivo al DPP pur continuando a portare avanti "denunce in stile da rivoluzione culturale" con "abusi verbali e intimidazioni".
(Consiglio un ottimo pezzo sulle Diaoyu apparso lo scorso agosto su Asia Sentinel )
venerdì 1 febbraio 2013
Li Yan, una condanna ingiusta
Li Yan non deve morire. E' questo l'appello lanciato da oltre 400 persone, tra comuni cittadini, avvocati e accademici, firmatari di una petizione per fermare la "macchina dell'ingiustizia" cinese.
Li, 41 anni, originaria della provincia occidentale del Sichuan, rischia la pena di morte per aver ucciso suo marito durante una delle tante dispute finite in violenza. Una di quelle volte in cui Tan Yong, questo il nome dell'uomo, l'aveva picchiata dopo aver ecceduto con l'alcol.
Presa a calci e minacciata con un fucile ad aria compressa, Li disarma il suo aggressore e lo colpisce ripetutamente alla testa. Quando lo vede gravemente ferito, in un primo momento tenta di soccorrerlo, poi capisce che non c'è più nulla da fare e in preda al panico pensa al modo migliore per disfarsi del cadavere. Lo smembra e ne getta parte in un bagno pubblico, il resto in una diga.
Era il novembre 2010; Li e Tan erano sposati da solo un anno. I mesi precedenti all'assassinio erano trascorsi tra percosse, mozziconi di sigaretta spenti in faccia e sevizie di vario genere. Tan le aveva tagliato a pezzi e dita, l'aveva chiusa di notte in balcone in pieno inverno, l'aveva trascinata giù per le scale tirandola per i capelli. La gioviale ed espansiva Li -racconta il fratello- si era progressivamente chiusa in sé stessa, non osando raccontare ai familiari l'incubo al quale veniva sottoposta quotidianamente.
Inutili le richieste d'aiuto inoltrate alla polizia, al comitato di quartiere e alla sezione locale di All China Women's Federation (ACWF), contattati già nell'agosto 2010. Per le forze dell'ordine le violenze domestiche rientrano nella fumosa categoria degli "affari di famiglia".
Le prove degli abusi, comprese le registrazioni della polizia, cartelle cliniche, foto delle ferite e le denunce inviate a ACWF sono state ritenute insufficienti dal Tribunale Intermedio del Popolo di Ziyang. A commettere gli abusi potrebbero essere stati amici e parenti, come pare abbiano dichiarato alcuni testimoni durante il processo, ragione per la quale il Tribunale ha condannato Li alla pena capitale con l'accusa di "omicidio volontario".
"L'omicidio è stato commesso in modo crudele e pertanto le conseguenze saranno gravi": il verdetto, approvato lo scorso agosto dalla Corte d'appello, è stato confermato recentemente dalla Corte Suprema del Popolo, la quale, tuttavia, non ha ancora emesso l'ordine d'esecuzione. Una volta che il massimo tribunale cinese avrà dato il via libera, la donna verrà giustiziata entro sette giorni.
La storia di Li Yan ha rinnovato lo sdegno popolare per una questione particolarmente sensibile in Cina: quella delle violenze tra le mura di casa, una piaga che continua affliggere il Dragone nonostante i numerosi appelli delle organizzazione per la difesa dei diritti umani. Come riporta Human Rights Watch, dal 7 novembre ad oggi oltre 8000 persone hanno sottoscritto una petizione per chiedere una legislazione specifica in materia. Secondo le statistiche rilasciate dal governo cinese nel mese di gennaio, una donna su quattro subisce soprusi in famiglia, dallo stupro coniugale alle percosse, ma, come emerso da studi indipendenti, nelle zone rurali la situazione sarebbe ben peggiore. A partire dal 2000, in tutto il Paese sono stati emessi regolamenti a livello locale; norme basate su principi generali e prive di disposizioni specifiche in grado di difendere effettivamente le vittime.
Le crescenti richieste di una legislazione anti-violenze ha spinto la Corte Suprema ad effettuare un'indagine, i cui risultati, rilasciati nel gennaio 2013, evidenziano l'insufficienza del corpo normativo attuale: non esiste uno standard che preveda chiaramente quali investigazioni e quali azioni penali debbano essere attuate, con il risultato che raramente episodi di abusi raggiungono il tribunale. E anche qualora riescano a varcare le aule di giustizia, la magistratura li considera "dispute coniugali", comminando quasi sempre pene troppo leggere.
Ormai da diversi anni All China Women's Federation spinge perché venga approvato un progetto di legge sulle violenze domestiche. In tutta risposta all'inizio del 2012 l'Assemblea Nazionale del Popolo, il "Parlamento" cinese, ha fatto sapere di avere in agenda una formulazione di tale tipo, senza, tuttavia, indicarne dettagli o tempi d'attuazione.
Poiché la Cina ha aderito a diversi trattati internazionali per la difesa dei diritti delle donne- sottolinea Human Rights Watch- il governo avrebbe l'obbligo di adottare misure efficaci per affrontare e risolvere il problema degli abusi familiari, emanando una legge organica conforme a quanto stabilito dall'Organizzazione delle Nazioni Unite.
E se la giustizia cinese continua a tentennare, l'opinione pubblica, invece, si schiera a spada tratta in difesa del gentil sesso. Lo dimostra, per esempio, l'ampia eco suscitata dal caso di Li Yang, il noto fondatore di Crazy English, che nel 2011 ammise pubblicamente di aver picchiato più volte la moglie, cittadina americana. Negli ultimi tempi la lotta per i diritti delle donne nell'ex Celeste Impero ha assunto nuove e più originali forme di espressione. Lo scorso San Valentino a Pechino diverse donne avevano manifestato indossando abiti da sposa macchiati di sangue finto, mentre negli scorsi mesi una campagna sul web ha spinto molte a pubblicare le proprie foto senza veli in atto di protesta.
La spietatezza della sentenza contro Li Yan ha finito per riaccendere il dibattito sulla pena di morte, un altro argomento ampiamente discusso in Cina, -secondo Amnesty International- il Paese con il maggior numero di esecuzioni capitali, seguito dall'Iran. La stessa Ong ha lanciato un appello urgente affinché la condanna di Li venga mitigata.
"Fin quando la pena di morte non verrà completamente abolita" ha scritto alcuni giorni fa sull'Oriental Morning Post di Shanghai l'avvocato Zhang Peihong, "è necessario avere uno stretto controllo su di essa. E questo vuol dire cercare ogni motivo e ragione per non imporre la sentenza capitale a nessuno". Sullo stesso spartito Sophie Richardson, direttrice della sezione cinese di Human Rights Watch, la quale ha affermato che "punire con la morte Li Yan non servirà a garantire la giustizia in questo orribile incidente. Anzi, peggio. Sarà un messaggio per chi patisce violenze domestiche che gli abusi continueranno a rimanere impuniti".
La scorsa primavera il polverone era stato sollevato dal caso di Wu Ying, condannata alla pena capitale con l'accusa di “raccolta fraudolenta di fondi” per 770 milioni di yuan. Sulla scia delle riforme del diritto penale attuate il primo maggio 2011, Pechino ha abrogato la pena di morte per tredici reati economici di natura “non violenta”, ma nel caso di finanziamenti illeciti la legge continua ad essere severissima. Dopo numerose proteste, lo scorso maggio la sanzione per Wu Ying è stata ridotta alla pena di morte con sospensione, presumibilmente, da commutare in ergastolo dopo due anni.
(Pubblicato su Ghigliottina)
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