martedì 12 febbraio 2013

Il test nordcoreano e le possibili reazioni di Pechino


La potenza esplosiva del terzo test nucleare nordcoreano è stata inferiore al previsto, ma sufficientemente minacciosa da allarme le cancellerie di mezzo mondo. L'obiettivo (più o meno velato) di Pyongyang è quello di mettere a punto un missile balistico intercontinentale in grado di colpire gli Stati Uniti. Proprio come mostra il video propaganda pubblicato alcuni giorni fa su Uriminzokkiri, sito gestito dall'agenzia di stampa governativa, nel quale una città americana, molto somigliante a  New York, viene colpita da un razzo lanciato da una Corea unificata. Le immagini sono solo la proiezione onirica di un giovane nordcoreano, ma dopo la provocazione di questa mattina non è escluso che possano rappresentare le reali intenzioni di Kim Jong-un, il giovane leader alla guida della Corea del Nord da circa un anno.

Questa mattina, poco dopo il rilevamento di alcune scosse sismiche presso il sito di Punggye-ri, nella punta nord-orientale del paese -avvertite anche in Cina e Giappone- Pyongyang ha reso noto di aver eseguito con successo un test sotterraneo utilizzando "un ordigno più piccolo e leggero, ma con una grande potenza esplosiva". Una potenza doppia rispetto alla detonazione del 2009, come ha spiegato la Ctbto. E ora il dubbio è che lo stato eremita abbia acquisito tutta la tecnologia necessaria a montare il nuovo dispositivo miniaturizzato su un missile a lunga gittata.

Il test è arrivato, per nulla inaspettatamente, dopo numerose minacce, a due mesi dal lancio del satellite che ha indotto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad inasprire le sanzioni contro la Nord Corea, con il placet di Pechino, unico alleato di Pyongyang. Quella di oggi rappresenta una "violazione delle risoluzioni 1718, 1874 e 2047", come ha rimarcato il ministro degli Esteri britannico William Hague, e nemmeno la Cina ha potuto astenersi dal mostrare il proprio disappunto.

Il Dragone, che negli ultimi tempi aveva mostrato i segni di un'esasperazione crescente nei confronti dei toni bellicosi del vicino asiatico, ha convocato l'ambasciatore della Nord Corea a Pechino per esprimere la propria condanna, mentre il ministro degli Esteri, Yang Jiechi, ha dichiarato che la Cina "è fortemente insoddisfatta e decisamente contraria" al test. Ha inoltre esortato Pyongyang a "porre fine a qualsiasi retorica o atti che potrebbero peggiorare la situazione e a tornare alla giusta linea di dialogo e di consultazione nel più breve tempo possibile".

Come evidenziato in un editoriale pubblicato dall'agenzia di stato Xinhua, e ripreso dal nazionalista Global Times, Pechino ritiene che la strada migliore da percorre sia quella della negoziazione, con la ripresa dei colloqui a sei. "Si è giunti ad un punto in cui le parti interessate dovrebbero pensare e agire razionalmente per creare le condizioni favorevoli a far rivivere i colloqui a sei, che da tempo vertono in una fase di stallo, e per evitare una ricaduta disastrosa", si legge in chiusura al pezzo.

Toni, comunque sia, molto differenti da quelli utilizzati nelle scorse settimane, quando proprio il quotidiano-bulldozer della politica estera cinese aveva minacciato la Corea del Nord, ipotizzando un taglio degli aiuti. La Cina sostiene da tempo l'indisciplinato alleato nel timore che l'instabilità nella penisola possa tradursi in una fuga di massa degli sfollati oltre il confine sino-coreano o, quasi peggio, in una riunificazione delle due Coree. Uno scenario che implicherebbe un'escalation militare nella regione, con gli Stati Uniti alle porte: oltre 28mila soldati a stelle e strisce stazionano nella Corea del Sud in protezione di Seul.

Secondo Stephanie Kleine-Ahlbrandt, direttrice per l'Asia nord-orientale del think tank International Crisis Group, la preoccupazione maggiore di Pechino al momento consiste proprio nello scongiurare un collasso del nord. Il commercio con il Dragone e i sussidi elargiti dal governo cinese sono l'unico salvagente che ha permesso a Pyongyang di rimanere a galla sino ad oggi. Ma anche di portare avanti il suo programma nucleare. Nel 2006 Pechino ha ridotto le forniture di petrolio, proprio due mesi dopo il lancio di un missile balistico (fallito) e un mese prima che il regime nordcoreano procedesse con il suo primo test nucleare. La sforbiciata è emersa soltanto più tardi dai dati sul commercio, che Pechino adesso evita di pubblicizzare, presumibilmente, per non umiliare l'alleato. Questa volta il Dragone probabilmente risponderà con provvedimenti molto limitati, presi di comune accordo con altre nazioni; niente misure unilaterali che possano compromettere eccessivamente i rapporti tra i due, pronosticano alcuni analisti.

La Corea del Nord costituisce un dilemma per la Cina, come i piccoli stati alleati lo furono per Washington al tempo della Guerra Fredda, ha commentato Wang Dong esperto di Asia nord-orientale presso l'Università di Pechino. "Avere alleati di piccole dimensioni, che si comportavano in modo molto provocatorio e aggressivo, metteva gli Stati Uniti nel pericolo di trovarsi ad entrare in un conflitto che in realtà non volevano" ha spiegato Wang "la Cina si trova in un dilemma molto simile".

In previsione della detonazione, tempo fa l'inviato speciale americano, Glyn Davies, aveva detto che "la Cina e gli Stati Uniti hanno raggiunto un grado di consenso molto forte", mentre il capo del Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha affermato che i suoi 15 membri sono "compatti" sulla questione coreana. Eppure, come ricorda il precedente del 2009, il Dragone ha sempre cercato di ammorbidire la risposta delle Nazioni Unite, tanto che al tempo il presidente Hu Jintao fu accusato dall'amministrazione Obama di "cecità volontaria" nei confronti dello stato eremita.

"Il rapporto (tra Pechino e Pyongyang ndr) rimarrà forte" ha affermato Sarah McDowall, analista di IHS Global Insight "la Cina continuerà ad adottare misure politiche ed economiche volte a sostenere e puntellare il regime nordcoreano". Ma non è un mistero che il gigante asiatico sia notevolmente infastidito dalla riluttanza dell'alleato ad avviare delle riforme economiche. Come testimoniano le isole Hwanggumphyong e Wihwa, lungo il fiume Yalu che separa i due paesi, destinate nel giugno 2011 a diventare un'area di libero scambio, e oggi ancora distese di neve limitate da una recinzione di recente costruzione. "Non si muove nulla qui" ha commentato un uomo d'affari di Dandong, città che sorge sulla sponda cinese "alla Corea del Nord va bene usufruire degli aiuti e portare avanti le attività commerciali con la Cina, ma non sembra che la sua economia stia cambiando veramente".

Il tempismo adottato dalla Corea del Nord non è casuale. L'ultima provocazione nucleare è stata messa in atto proprio oggi, nel giorno del discorso alla nazione di Barack Obama, e in un momento in cui il Regno di Mezzo è nel pieno della sua decennale ricambio politico. Proprio la situazione a nord del 38esimo parallelo rappresenterà un arduo banco di prova per il neo eletto Segretario generale del Pcc, Xi Jinping, che dal prossimo marzo -salvo colpi di scena- succederà ad Hu Jintao alla presidenza della Repubblica popolare cinese. Di posizioni più nazionaliste rispetto a Hu, come ha già mostrato nella contesa con il Giappone sulle Diaoyu, l'uomo forte di Pechino ha d'altra parte più volte espresso il desiderio che Cina e Stati Uniti stabiliscano "un nuovo tipo di relazione tra due grandi potenze". La sua volontà di stringere rapporti più amichevoli con Washington potrebbe esplicarsi in una linea intransigente nei confronti di Pyongyang.

Sebbene il dibattito sulla Corea del Nord infiammi sempre di più i circoli della politica estera d'oltre Muraglia, rimane ancora piuttosto incerto se a prevalere possa essere la fazione meno accomodante. Nonostante la crescente preoccupazione per l'indisciplinatezza del vicino di casa, il terrore di perdere un importante "stato cuscinetto" sembra prevalere, sopratutto tra le file dell'esercito, spiega Jia Qingguo, professore presso la Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Pechino. Proprio Jia, in visita a Washington il mese scorso, ha prospettato la possibilità che la Corea del Nord venga sfruttata da Xi Jinping per avviare una maggior cooperazione tra l'Aquila e il Dragone: "dobbiamo lavorare insieme per evitare che diventi una potenza nucleare".

La risposta del web cinese
Per l'Internet cinese è giunto il momento di stringere il guinzaglio al "cane rabbioso". La risposta ufficiale di Pechino al test nucleare di Pyongyang è stata troppo blanda: lo pensa il popolo del web. "Se persegui una politica diplomatica a lungo termine ingiusta, allora la gente avrà il coraggio di far esplodere una fialetta puzzolente davanti alla porta di casa tua mentre sei in vacanza" ha dichiarato Yu Jianrong, direttore dell'Accademia cinese delle Scienze Sociali. "State invitando la vostra umiliazione" ha proseguito Yu su Sina Weibo, sorta di Twitter in salsa di soia. "La Corea del Nord non si fida e non accetta di essere inibita dalla Cina" è il commento l'utente Zhuanshengben sul suo microblog, mentre un altro, senza mezzi termini, ha invitato Washington ad intervenire: "Se gli Stati Uniti attaccheranno la Corea del Nord, darò al governo americano tutto il mio stipendio di un anno". Per Wuyuesanren, la corsa all'atomica dell'alleato certo non aiuterà a mantenere la sicurezza nazionale, e la politica portata avanti da Pechino è paragonabile a "tenere a guardia della propria abitazione un cane pazzo". Sempre su Weibo, Hu Jia, uno dei dissidenti più noti dell'ex impero Celeste, ha definito Pyongyang "la più grande canaglia, una canaglia spregevole e senza scrupoli". Proprio Hu ha pubblicato la registrazione di una telefonata fatta all'ambasciata della Nord Corea in Cina. Soltanto poche parole: "Voglio solo dirvi che sono il cittadino cinese Hu Jia, e voglio esprimere la mia opposizione al test nucleare".



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