lunedì 4 febbraio 2013

Non dimentichiamo Taiwan


(Aggiornato l'8 febbraio)

"Le Diaoyu sono parte della Cina, sia che per Cina si intenda Pechino che Taipei". E' la dichiarazione tutt'altro che scontata di Zhang Likun, uno dei membri della federazione cinese che si oppone alle rivendicazioni nipponiche sulle isole contese: Diaoyu per la Cina, Senkaku per il Giappone e Diaoyutai per Taiwan, un pugno di scogli ricchi di risorse energetiche.

Le acque del Mar Cinese Orientale sono tornate ad incresparsi all'inizio del nuovo anno, dopo l'invio di aerei cinesi nell'area, un nuovo tentativo di approdo da parte degli attivisti di Taipei e l'aumento della spesa militare del Sol Levante.
Alcuni giorni fa il governo giapponese ha approvato il bilancio per il 2013-2014, che prevede per la prima volta dopo 11 anni un aumento delle risorse finanziarie e del personale della difesa, portando il budget a 52 miliardi di dollari, lo 0,8% in più rispetto allo scorso anno. Un aumento delle truppe in servizio -ha reso noto il ministero della Difesa giapponese- servirà a migliorare "la sicurezza della regione sud occidentale", dove per l'appunto si trovano i famigerati isolotti.

Nel mese di gennaio i caccia nipponici hanno dovuto far fronte a nuovi pattugliamenti aerei, per Pechino "normale opera di controllo e addestramento" dell'aviazione civile e militare nazionale. Mentre il rituale via vai di motovedette cinesi ormai non fa quasi più notizia (in seguito alla nazionalizzazione giapponese delle isole avvenuta lo scorso settembre, il Dragone ha inviato le proprie navi nelle acque contese almeno 24 volte) la nuova intromissione di Taiwan mette in evidenza un elemento da non sottovalutare: seppur rimasta a lungo nell'ombra per lo scarso peso diplomatico, l'ex isola di Formosa difficilmente potrà continuare a essere ignorata.

La missione patriottica dei 10 attivisti taiwanesi, respinti a cannonate d'acqua dai guardacoste nipponici mentre tentavano di raggiungere le isole, ha guadagnato vasto sostegno nella Repubblica popolare. Parecchi attivisti cinesi hanno espresso il loro plauso ai cugini aldilà dello stretto. "Quando sono tornato indietro molte persone sono venute da me per dirmi che ritenevano il gesto del Giappone troppo estremo" ha raccontato Huang Hsi-lin, membro dell'equipaggio e presidente di un'alleanza taiwanese per la rivendicazione delle Diaoyu, "abbiamo in programma di fare un altro passo". Nella mainland la controversia del Mar Cinese Orientale viene vissuta con passione, molto meno a Taiwan, ha spiegato Zhang Likun.

Alcuni sospettano che la solidarietà dimostrata a livello popolare rifletta un disegno superiore. Un tempo acerrimi rivali, dal 2008 in migliori rapporti, Pechino e Taipei potrebbero avere in mente una cooperazione in chiave anti-nipponica, suggeriscono diversi analisti. Nonostante le smentite della Repubblica di Cina, una collaborazione col Dragone potrebbe aiutare a procrastinare il ritorno della "provincia ribelle" alla madrepatria. "Una tacita cooperazione con Pechino sulla controversia marittima delle isole è vista da alcuni taiwanesi come un modo per dire alla Cina continentale che stiamo dimostrando buona fede, quindi di non far pressione per andare avanti con la riunificazione in questo momento", ha spiegato Scott Harold politologo del think tank statunitense RAND Corporation.

Ma non tutti vedono di buon occhio un'alleanza sino-taiwanese contro il Sol Levante. In particolare la stampa cinese non ha risparmiato critiche contro le ultime affermazioni del presidente del Partito Democratico Progressista (DPP) di Taiwan, Su Tseng-chang, responsabile di aver invitato Taipei e Tokyo ad ignorare la questione della sovranità territoriale per concentrarsi sulla pesca nelle acque agitate. Un'idea, questa, ritenuta "irrealizzabile" anche da Want Daily, United Daily News e Central Daily News. Le tre testate taiwanesi, piuttosto, hanno preferito appoggiare la proposta avanzata da presidente Ma Ying-jeou di dividere con il Giappone le risorse energetiche dell'area, ma di non cedere sulla sovranità delle isole.

Su Su ricade la colpa di aver cercato di "adulare il Giappone e svendere Taiwan per guadagni personali", scriveva il 7 febbraio la Xinhua, mentre la stampa della Repubblica di Cina ha messo in evidenza come le dichiarazioni del leader dell'opposizione taiwanese riflettano una scarsa conoscenza "degli affari internazionali e delle relazioni tra le due sponde".

Il presidente del PDD giovedì ha portato a termine una visita controversa in Giappone, durante la quale ha avuto modo di incontrare diversi pesi massimi della politica nipponica. Tra questi Nobuo Kishi, fratello del Primo Ministro Shinzo Abe e membro della Camera dei Consiglieri, la camera alta della Dieta, al quale Su ha consigliato di trincerarsi dietro "un'alleanza democratica" con Stati Uniti, Corea del Sud e Taiwan per ostacolare "ogni potere che cerchi di rompere la pace della regione  e creare tensione". E per chi non avesse inteso, Su ha precisato che la manovra dovrebbe essere mirata a contenere il Dragone.

Proprio contro Pechino si è scagliato Antonio Chiang, editorialista dell'Apple Daily di Taiwan. Il governo cinese -scrive Chiang- invia rami d'ulivo al DPP pur continuando a portare avanti "denunce in stile da rivoluzione culturale" con "abusi verbali e intimidazioni".



(Consiglio un ottimo pezzo sulle Diaoyu apparso lo scorso agosto su Asia Sentinel )

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