(Aggiornato il 22 febbraio)
Era stato arrestato soltanto lo scorso luglio per un crimine commesso più di quarant'anni fa, poi lunedì il processo. Il signor Qiu, ottuagenario della provincia costiera del Zhejiang, ha dovuto rispondere dell'accusa di omicidio ai danni di un medico, ucciso nel 1967 mentre in Cina infuriava la Rivoluzione Culturale (1966-76). A renderlo noto è China News Service, la seconda principale agenzia di stampa governativa della Repubblica popolare dopo la Xinhua.
Come riportato da China News Service, Qiu avrebbe detto di aver agito su ordine dei membri un gruppo della "milizia civile". Strangolato Hong -questo il nome della vittima- con una corda, ne avrebbe poi tagliate via le gambe con una pala prima di seppellirlo, si legge nel rapporto. Il movente? A quanto pare, il medico era stato sospettato di spionaggio a favore di una fazione rivale.
Le manette per Qiu sono scattate soltanto la scorsa estate, dopo una fuga durata trent'anni. Al momento il verdetto del processo non è stato ancora reso noto.
Non è ben chiaro il motivo per il quale China News Service, battuta la notizia martedì, abbia deciso di rimuoverla dal suo sito web Chinanews.com.cn il giorno seguente. Troppo tardi, comunque: la storia di Qiu era ormai rimbalzata su diversi portali d'informazione, compresi Xinhuanet.com e Sina.com, finendo immancabilmente sul Twitter cinese Weibo.
La blogosfera insorge: "Cosa ne è stato degli altri grandi nomi che hanno scatenato la Rivoluzione Culturale?" -si chiede un utente- "Come mai non si sono mai assunti le loro responsabilità?" "Gli assassini e chi è stato ucciso sono tutti vittime della Rivoluzione Culturale", scrive un altro sul suo microblog.
La Rivoluzione Culturale, lanciata da Mao Zedong nel 1966, si è consumata in una violenza di massa nel nome della lotta anti-borghese, volta a debellare le antiche credenze e chiunque se ne facesse portavoce. "Braccio armato" del movimento furono le Guardie Rosse, gruppi di studenti fanatici autori di crimini efferati: si stima che il costo in vite umane degli anni del terrore ammonti a centinaia di migliaia di morti e milioni di perseguitati, tra i quali accademici, insegnanti, medici e generici "elementi controrivoluzione".
Nessun bilancio ufficiale delle vittime è stato mai reso pubblico, e la Rivoluzione Culturale rimane tutt'ora una pagina buia della storia nazionale avvolta nell'oblio, come la grande carestia che colpì le campagne alla fine degli anni '50; secondo la vulgata ufficiale, una tragedia causata da "disastri naturali". Molti ritengono che il silenzio, dietro il quale si trincera il governo, rifletta l'ostinazione a non mettere in discussione un passato dal quale il Partito, di fatto, trae la propria legittimità.
Negli ultimi tempi, d'altra parte, il fantasma della Rivoluzione Culturale è stato disseppellito in riferimento al caso Bo Xilai, l'ex capo di Chongqing al centro del più grande scandalo della politica cinese dai tempi del massacro di piazza Tian'anmen. Proprio lo scorso anno, a chiusura dell'Assemblea nazionale del popolo, il premier Wen Jiabao aveva sottolineato la necessità di riforme urgenti per evitare che il Paese si trovi ad affrontare una nuova "tragedia storica" come la Rivoluzione Culturale. Una chiara accusa al modello di governance firmato Bo Xilai, massimo esponente dell'estrema sinistra e comunemente definito il "nuovo Mao" per la sua "campagna rossa" a base di vecchi slogan e canzoni nostalgiche.
Ora la storia del signor Qiu sembra essere riuscita a riaccendere il dibattito su uno degli argomenti tabù per eccellenza, e non soltanto attraverso la rete. Il China Youth Daily, il giornale ufficiale della Lega della gioventù comunista cinese, ha pubblicato un editoriale molto schietto nei confronti degli eccessi commessi al tempo delle Guardie Rosse, paragonandoli alle atrocità delle quali si è macchiato il nazismo in Europa. "La cosa più scioccante della Rivoluzione Culturale è stata l'assalto alla dignità umana. Insulti, abusi, maltrattamenti e omicidi erano molto comuni. L'ordine sociale era nel caos".
Ma proprio per via di questa confusione di massa "non è giusto dare la colpa ai singoli, in un periodo in cui il sistema legale era pressocché inesistente" -ha commentato Wang Shun'an, direttore dell'Istituto di Criminologia dell'Università della Cina di Scienze Politiche e Giurisprudenza- "Colpevoli e vittime sono tutti stati sacrificati dalle fazioni politiche dell'epoca"
Fonti: Hindustan Time, Telegraph, South China Morning Post, BBC
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