martedì 19 febbraio 2013

Cervelli in fuga oltre la Muraglia


"Il mondo è vostro e nostro [di noi adulti], ma alla fine rimarrà a voi...il futuro è nelle vostre mani". Con queste parole Mao Zedong si rivolse agli studenti cinesi nel corso di un discorso tenuto nel 1957 presso l'Università di Mosca. Oggi, scampati gli anni foschi della Rivoluzione culturale e cavalcata l'onda delle riforme economiche, sembra che le nuove generazioni vedano quel futuro oltreoceano.

Secondo i dati rilasciati dal ministero dell'istruzione cinese, nel 2011 sono stati quasi 340mila gli studenti ad aver lasciato il proprio Paese per cominciare un corso di studi all'estero. Entro la fine dell'anno si contavano 1,4 milioni di giovani cinesi dislocati nei vari atenei del globo, evidenziando una tendenza in crescita del 23% per tre anni di fila. Alimentata -con grande risentimento dei cittadini- dagli alti papaveri del Partito, preoccupati di assicurare ai propri rampolli il non plus ultra dell'istruzione, che, a quanto pare, non è quella impartita dalle scuole nazionali.

Pensare che quando oltre centosessant'anni fa Yung Wing lasciò il suo villaggio su una piccola isola a sei chilometri da Macao per il Nuovo Mondo, si ritrovò ad essere l'unico asiatico di tutta l'Università di Yale. In Cina, mentre i suoi coetanei seguivano il tortuoso percorso verso gli esami imperiale, Yung studiava la lingua del "popolo dai capelli rossi" (come venivano definiti gli stranieri durante l'ultima dinastia cinese) in una scuola missionaria. Poi l'opportunità di lasciare gli ormeggi e sbarcare sull'altra sponda del Pacifico, quando studiare all'estero era ancora un privilegio per pochi. Dopo la laurea in arte, rimpatriò, cominciò a lavorare come interprete e consulente, ma il suo più grande successo è stato quello di essere riuscito ad avviare il primo programma di studio all'estero sponsorizzato dal governo cinese, grazie al quale oltre 100 studenti poterono raggiungere gli Stati Uniti.

Nel 1981 una nuova politica introdotta da Pechino permise ai giovani di finanziare autonomamente la propria formazione scolastica oltre Muraglia, dando la possibilità ad una cerchia sempre più ampia di studenti di lasciare la Cina. Secondo le statistiche del ministero dell'Istruzione, dall'avvio delle riforme e dell'apertura sino al 2011, 2,25 milioni di cinesi si sono recati all'estero per motivi di studio. All'inizio a fare presa sui ragazzi era senza dubbio la speranza di un futuro di successi e condizioni di vita migliori, in un periodo in cui la strada della ripresa economica per il Dragone era ancora tutta in salita. Ragione per la quale, negli anni '90, a rimpatriare una volta conseguita la laurea era solo il 26% dei giovani, contro il 31% dello scorso biennio.

Le abitudini di vita all'insegna della frugalità, il boom economico targato Deng Xiaoping, e le restrizioni sulle nascite imposte dalla politica di pianificazione familiare diedero modo alla classe medio-alta cinese di assicurare al proprio unico figlio un futuro migliore. Al tempo il meglio era oltre i confini nazionali, e per molti cinesi sembra esserlo ancora, tanto che oggi uno su sette studenti all'estero proviene proprio dall'ex Celeste Impero. E' quanto emerso da un recente rapporto del Center for China and Globalization (CCG) e dell'Accademia cinese delle Scienze Sociali, secondo il quale il Dragone sarebbe il principale "fornitore" di studenti internazionali.

Ma se il sogno dei giovani cinesi è quasi unanimemente americano -con gli Stati Uniti in cima alla lista delle mete agognate-  non tutti sono d'accordo sull'età più consona per effettuare il grande passo.
E' interessante notare come, secondo un sondaggio dello scorso anno riportato dall'emittente di Hong Kong Phoenix , per il 39,1% dei rispondenti il momento migliore per andare all'estero sarebbe quello dell'Università, mentre il 20,8% riterrebbe più appropriato anticipare la partenza agli anni delle scuole superiori. Parere, quest'ultimo, condiviso soprattutto dalle ultimissime generazioni, le quali spingono per espatriare il prima possibile, se si ha la possibilità di farlo. Due sono i trend riscontrabili, secondo Huang Ying, general manager del sito web Zinch China, che fornisce informazioni sui collage americani agli studenti cinesi: il numero crescente di giovani cinesi che ambiscono ad un'istruzione internazionale, e la loro sempre più giovane età.


E qui l'opinione pubblica si spacca in due tra chi teme che un soggiorno oltre la Muraglia possa minare l'integrità culturale dei giovanissimi, ancora in cerca di una propria identità, e chi crede che i piccoli cinesi abbiano meno difficoltà ad adeguarsi ad abitudini di vita tanto diverse da quelle del proprio Paese. "Le persone in America ti incoraggiano a sviluppare una propria opinione e a fare le cose a modo tuo", ha spiegato Shu Yibai, matricola presso la rinomata Università di Stanford, "è molto diverso da ciò che accade in Cina dove il clima culturale pone l'accento sulla modestia e invita a mantenere un profilo basso. Ci vuole tempo per abituarsi alle barriere linguistiche e alle differenze di usi e costumi."

Lo stesso sondaggio, citato sopra, mostra che tra i Paesi preferiti come meta di studio compaiono al primo posto gli Stati Uniti, scelti dal 63,9% degli intervistati. Seguono Regno Unito (37,2%), Canada (25,1%), Singapore (23,1%), Australia (20,1%), Germania (18,9%), Francia (12,8%), Giappone (12,2%), Corea del Sud (7,6%) e Nuova Zelanda (7,3%). Nella lista non c'è posto per l'Italia, anche se -secondo statistiche pubblicate dalla Farnesina nel febbraio 2012- 2489 cinesi avevano fatto domanda per l'anno accademico in corso, in aumento del 46% rispetto all'anno precedente.

I corsi di studi prediletti abbracciano una vasta gamma di specializzazioni. Il 35,8% degli studenti presi in esame avrebbe scelto ingegneria finanziaria, seguita da informatica (27%). Il 25,7% ha optato per un MBA e il 24,7% per economia. Tra le facoltà più gettonate compaiono anche gestione delle informazioni (24,3%), psicologia (24,3%), ingegneria elettronica (20,2%), ingegneria civile e per l'ambiente (16,2%), scienze dell'alimentazione (16%) e ingegneria biomedica (15,4%).

Cosa succede una volta conseguita la laurea? Si ritorna a casa. Pare infatti che il 42,6% dei rispondenti sia convinto che la cosa migliore da fare finiti gli studi sia proprio tornare in Cina, magari per avviare un'impresa. Secondo quanto riportato da un giornale gestito dal ministero dell'Istruzione, il 72% degli 820milioni di cinesi che hanno studiato all'estero tra il 1978 e il 2011, ottenuto il diploma, ha scelto di rimpatriare.

Non per questo il fenomeno dei cervelli in fuga (temporanea) sembra destinato a diminuire. La ragione è semplice: per l'International Labor Organization la fascia d'età tra i 15 e i 24 anni è quella che risente maggiormente del problema disoccupazione dovuto alla recessione globale, mentre uno studio dell'Università Qinghua ha evidenziato che il 69% dei laureati guadagna in media meno di 2000 yuan al mese, circa 250 euro. Uno stipendio inferiore rispetto a quello percepito dai loro colleghi tornati in Cina dall'estero, che si aggira attorno ai 2049 yuan mensili. Non solo. Al rientro, gli studenti possono sperare di venire selezionati nel "progetto dei mille talenti" promosso da Pechino. Non è un caso, infatti, che il 90% degli studiosi dell'Accademia cinese delle Scienze vanti una formazione all'estero, così come la maggior parte dei direttore delle scuole e delle varie istituzioni gestite dal ministero dell'Istruzione.

Per alcuni, d'altra parte, l'opzione viaggio finisce per tradursi in un trasferimento permanente. Come riportato dal New York Times lo scorso ottobre, si stima che entro il 2050 il numero totale dei migranti cinesi verso mete internazionali raggiungerà quota 405 milioni. Migliori condizioni ambientali, servizi sociali più efficienti, ma anche una maggiore libertà religiosa e di parola sembrano essere tra i principali fattori ad attrarre la popolazione del Regno di Mezzo all'estero. Vanno ad aggiungersi le preoccupazioni per un quadro politico instabile e i dubbi verso la nuova leadership al governo, condivisi anche dal ceto meno abbiente: secondo i dati rilasciati dal ministero del Commercio, sono circa 800mila i cittadini cinesi che lavorano all'estero, molti dei quali come tassisti, pescatori e contadini. Nel 1990 erano soltanto 60mila.

(Scritto per Uno sguardo al femminile)


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