mercoledì 9 luglio 2014

Cina e Corea del Sud come 'labbra e lingua'


Corteggiare un prezioso alleato americano, dare ulteriore smalto agli scambi bilaterali e sferrare uno schiaffo in pieno viso all'indisciplinato regime nordcoreano. In proporzioni variabili, sono questi i propositi che hanno dominato la visita di Xi Jinping a Seul, la prima da Presidente della Repubblica popolare cinese.

Incurante della tradizionale precedenza con la quale i passati leader cinesi hanno adulato Pyongyang, la scorsa settimana Xi è volato in Corea del Sud per incontrare il suo omologo Park Geun-hye, pur non essendo ancora mai stato a nord del 38° parallelo. Park e Xi sono già al loro secondo meeting, la 'lady di ferro' era stata in Cina l'estate passata, mentre l'uomo forte di Pyongyang Kim Jong-un, assunta la leadership alla morte del padre due anni or sono, non ha ancora ricevuto alcun invito ufficiale da parte di Pechino.

Il ritardo protratto può essere facilmente avvertito come uno sgarbo, date le relazioni di vecchia data che legano il Dragone al Regno eremita. Durante la Guerra di Corea (1950-1953), la Cina si schierò con il Nord, a cui confermò il suo sostegno nel 1961 siglando un trattato d'amicizia in cui prometteva di intervenire al suo fianco nell'eventualità di un attacco dall'esterno. Tutt'oggi Pyongyang è legato a Pechino per il 90% della propria economia, ma la ripresa del programma nucleare e le ultime provocazioni missilistiche nordcoreane alla vigilia della trasferta a Sud di Xi hanno inevitabilmente indisposto il vecchio alleato. Così sebbene le relazioni diplomatiche con Seul risalgano appena agli anni '90, la Repubblica di Corea e il Dragone si trovano sempre più vicini nel perseguimento di un obiettivo comune: quello di una penisola coreana denuclearizzata. Ma se l'obiettivo è chiaro le modalità per raggiungerlo non sembrano mettere tutti d'accordo, con la Cina impaziente di ripristinare i colloqui a sei interrotti nel 2009, mentre Corea del Sud e Stati Uniti pretendono prima i segni tangibili della rinuncia del Nord a qualsiasi velleità atomica.

Intorno alla metà di giugno, Liu Jianchao, assistente del Ministro degli Esteri cinese, si era affrettato a puntualizzare che tra Cina e Corea del Nord «non vi è alcuna alleanza militare». D'altra parte, l'ipotesi che un atteggiamento troppo duro nei confronti del regime dei Kim possa gettare il Paese nel caos, con conseguente ondata di sfollati nordcoreani oltre la Muraglia, spinge Pechino a mantenere un atteggiamento meno intransigente. E a non tralasciare le relazioni commerciali che permettono al Regno eremita di rimanere a galla: sanzioni a parte, il gigante asiatico si è impegnato nella realizzazione di tre linee ferroviarie ad alta velocità per collegare le città cinesi del nord-est all'ultima cortina di ferro, a cui si aggiungono i milioni di dollari stanziati per la costruzione di strade e ponti nelle zone di confine, nonché del primo cavo di alimentazione transfrontaliera.

Nei giorni scorsi, l'agenzia di stampa cinese 'Xinhua', organo semi-ufficiale del Partito, commentava gli eventi, astenendosi dal condannare Pyongyang e infilando un dito nell'occhio agli Stati Uniti: «Il punto cruciale della situazione difficile in cui verte la penisola coreana dipende dalla reciproca diffidenza e dall'astio che intercorre tra la Repubblica Democratica di Corea (DPRK) e gli Stati Uniti. La controproducente ossessione di Washington per le sanzioni e le intimidazioni, e il comprensibile senso di insicurezza di Pyongyang, nonché le inutili violazioni delle risoluzioni ONU, hanno soltanto esacerbato le ostilità».

Proprio Washington parrebbe essere stato il vero convitato di pietra della due-giorni di Xi a Seul. Attirando a sé la Corea del Sud, il Dragone starebbe cercando di scompigliare il sistema di alleanze che la prima economia del mondo ha messo in piedi nella regione in funzione del proprio 'Pivot to Asia'. Le circostanze sono ottime data la crescente intesa con la Corea del Sud -che ospita ancora circa 30mila soldati americani-, e la comune insofferenza per lo sfoggio muscolare del Giappone, alleato numero uno di Washington nel Pacifico. Due gli eventi che, sommati alle accuse di negazionismo riguardo le atrocità commesse durante il secondo conflitto mondiale, sono valsi a Tokyo nuove critiche da parte di Pechino e Seul: innanzitutto, la revisione della Costituzione pacifista in base alla quale le forze armate nipponiche possono ora difendere gli alleati sotto attacco nella forma di 'autodifesa collettiva'. In secondo luogo, il riavvicinamento del Sol Levante alla Corea del Nord -i due non hanno relazioni diplomatiche- nell'ambito dell'annosa faccenda dei cittadini nipponici rapiti al tempo della Guerra Fredda. Il Governo giapponese ha allentato parte delle sanzioni comminate personalmente a Pyongyang all'indomani del terzo test nucleare in cambio di un riesame del caso; un provvedimento che non dovrebbe portare sostanziali giovamenti all'economia nordcoreana, ma che non è ugualmente piaciuto né oltre la Muraglia, né a Sud della zona demilitarizzata. (Segue su L'Indro)

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