giovedì 24 luglio 2014

Un Piano Marshall 'con caratteristiche cinesi'


Lo scorso anno, pochi giorni prima che il neo-Presidente Xi Jinping incontrasse Barack Obama nella tenuta californiana di Sunnylands, l'aereo presidenziale cinese sorvolò i cieli dell'America Latina mandando un chiaro messaggio di sfida alla prima potenza mondiale. A circa un anno di distanza il numero uno di Pechino ritorna negli storici poderi di Washington. L'agenda e i Paesi ospitanti sono diversi, ma il messaggio conserva i toni di una sfida.  Tanto più che tra i temi caldi della trasferta sudamericana svetta l'istituzione della Banca di sviluppo dei BRICS a Fortaleza (Brasile), nata come concorrente dei grandi enti internazionali dominati da Stati Uniti e Unione Europea con l'ottica di difendere gli interessi dei Paesi emergenti riuniti sotto l'acronimo (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica).

Il vertice ha fatto da sfondo al primo faccia a faccia tra Xi e il nuovo Premier indiano Narendra Modi, la cui politica estera è oggetto di accese speculazioni tra chi vi individua i segni di una distensione, chi i semi di un futuro inasprimento tra le due Nazioni più popolose al mondo. In attesa di ulteriori svolgimenti, Pechino e Delhi si spartiscono oneri ed onori nella gestione della nuova Banca, con Shanghai prescelta come sede dell'istituto e l'India incaricata di dirigere i lavori per i primi sei anni.

Se il summit di Fortaleza ha fornito a Xi un pretesto ufficiale per raggiungere nuovamente l'altra sponda del Pacifico, il coinvolgimento cinese nell'area non necessita giustificazioni, bastano i numeri. Gli scambi commerciali tra Cina e America Latina sono lievitati dai 12,6 miliardi di dollari del 2000 ai 261,1 miliardi dello scorso anno. Le tappe del tour presidenziale rispecchiano la natura caleidoscopica degli interessi cinesi nella regione. Tra il 18 e il 23 luglio, Xi Jinping ha fatto visita al terzo esportatore al mondo di soia (Argentina), ha rinnovato il proprio supporto a un importante fornitore energetico (Venezuela) e non ha mancato di omaggiare un alleato di vecchia data (Cuba). Secondo Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, il Sud America sta diventando un mercato strategico per i prodotti cinesi, mentre «le importazioni dalla Cina hanno generato un vento di coda favorevole alla crescita regionale. La presenza statunitense è declinata, quella cinese è aumentata più volte».

Pechino, che si sente la nuova vittima della strategia di 'selective engagement' americana, sta tentando di controbilanciare il 'pivot to Asia' firmato Obama, la politica con la quale Washington punta a spostare il proprio baricentro diplomatico dai teatri di guerra mediorientali al Pacifico. La reazione immediata è un riposizionamento cinese nei buchi lasciati scoperti dagli Stati Uniti attraverso mezzi diplomatici e commerciali. Il Sud America attira sempre più le mire cinesi, proprio mentre Washington sta perdendo terreno in quello che è sempre stato il suo cortile di casa. Come fa notare su 'Want China Times' Antonio C. Hsiang, Direttore del Center for Latin America Economy and Trade Studies, se la TPP (Trans-Pacific Partnership) è la pietra angolare dell'assertività americana nell'Asia-Pacifico, le resistenze avanzate al progetto dal Giappone potrebbero instillare qualche dubbio tra i partner sudamericani circa la solidità della leadership statunitense nella regione. Non a caso Messico e Perù, pur partecipando alle negoziazione per la TPP, non hanno rinunciato a prendere la parola in occasione della conferenza annuale del Boao Forum for Asia 2013, il Davos d'Oriente. (Segue su L'Indro)

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