"Per gli Stati Uniti il Ventunesimo secolo è il secolo del Pacifico": parola di Hillary Clinton. Con queste premesse il segretario di Stato Usa ha aperto il summit APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation) tenutosi la scorsa settimana ad Honolulu, vertice conclusosi con il raggiunto accordo tra i 21 paesi membri di dare vita al TPP (Trans Pacific Partnership), trattato che sancisce l'abbassamento delle tariffe doganali e la nascita della più vasta zona di libero scambio del mondo; un'area che con un bacino di 800 milioni di consumatori, raccoglie il 40 % dell'economia mondiale. Nato nel 2005 come partnership di natura esclusivamente economica tra Brunei, Cile, Nuova Zelanda e Singapore, il TPP è giunto ad una svolta fondamentale nel 2008 con l'ingresso degli Stati Uniti, seguiti a ruota da una serie di altre nazioni della regione. Grande esclusa, invece, la Cina, che sebbene per bocca del presidente Hu Jintao si sia dichiarata favorevole alla promozione degli obiettivi prefissati dal TPP, dall'East Asia Free Tread Area (zona di libero scambio nata dall'accordo tra i leader dell'ASEAN) e dall'East Asia Free Comprehensive Economic Partnership (accordo tra i 16 paesi membri dell'East Asia Summit), d'altra parte non può non sospettare-e come darle torto-che il nuovo accordo rappresenti una manovra a tenaglia volta ad accerchiarla.
Ma il summit APEC è stato solo il primo dei due incontri settimanali che hanno visto protagonisti i paesi asiatici. Proprio ieri, a Bali, si è svolto il sesto vertice dell'ASEAN (l'associazione che riunisce gli Stati del sudest asiatico) al margine del quale, venerdì scorso, si era tenuto un incontro fuori programma tra il presidente americano Barack Obama e il premier cinese Wen Jiabao. Ancora una volta i due leader politici si sono trovati a discutere del contenzioso che agita il Mar Cinese Meridionale, specchio d'acqua sul quale hanno messo gli occhi Brunei, Filippine, Malesia, Taiwan e Vietnam, suscitando così l'ira del Dragone che ne rivendica la totale sovranità. Oggetto della discordia le isole Paracel e Spratley, un pugno di scogli disabitati, ma Eldorado di risorse energetiche. E mentre Obama continuava la sua trasferta asiatica con una tappa australiana, Clinton, in visita nelle Filippine, ribadiva l'appoggio americano in favore di Manila condannando il comportamento intimidatorio adottato dalla Cina ai danni delle imbarcazioni filippine e vietnamite (Il Mar Cinese Meridionale come nuovo nodo geopolitico).
Ma non è tutto. Sempre durante questa settimana di fuoco, gli Stati Uniti hanno ribadito il loro attivismo nel'area Asia-Pacifico, annunciando il dislocamento di una task force marittima in Australia, che si prevede nel 2016 conterà ben 2500 soldati. (Aumento militare Usa nel Pacifico, il gelo di Pechino)
Insomma, gli interessi a stelle e strisce sono tutti proiettati ad est, mentre lo stesso Paese di Mezzo, data la precarietà dei mercati europei, insegue nuove vie del business puntando sempre di più sulla partnership con i vari vicini asiatici.
In altre parole il futuro è nel Pacifico. Ma che cosa ne è del Vecchio Continente ora che il "Secolo Atlantico" sembra essere giunto alla fine? Che ruolo gioca l'Italia in questa partita tutta asiatica?
Roberto Tofani, giornalista residente ad Hanoi, esperto di sudest asiatico e appassionato viaggiatore, ne parla in quello che, a mio parere, è un ottimo articolo.
"Se in Asia si decide il futuro globale, da noi si ritorna all'antico"
"Se 'la Cina sta guardando con interesse e preoccupazione a quanto accade in Italia', come scrive Capozzoli nel suo blog, in sud est Asia l'interesse non sembra essere della stessa portata. Del resto, il ruolo politico-economico dei dieci Paesi dell'Associazione delle Nazioni del sudest asiatico (ASEAN - Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar, Singapore, Thailandia, Vietnam) non è in alcun modo paragonabile a quello dell'ingombrante vicino. Di Italia, quindi, da queste parti se ne parla veramente poco. E in quelle rare occasioni, lo si fa attraverso agenzie di stampa europee e clique già noti.
Eppure in alcuni paesi come il Vietnam, ad esempio, ancora godiamo di una certa credibilità e fascino, che ci potrebbero garantire rapporti duraturi e privilegiati. Questo se solo avessimo mostrato un interesse istituzionale e non esclusivamente legato a quello di gradi gruppi privati. In sud est Asia il nostro Paese è stato assente per anni. Troppi. Il governo Berlusconi ha platealmente scelto l'asse Mosca-Tripoli, facendo anche le fortune di aziende con partecipazione statale come l'Eni, snobbando totalmente una parte di mondo che già da oltre un decennio è il centro di numerosi interessi, non solo economici. Nonostante tutto, però, il ministro Giulio Tremonti ha provato comunque a bussare alle porte dell'Impero, con il risultato che tutti conosciamo..."
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