lunedì 7 novembre 2011
Qualcosa succede in Cina 2
Non importa che siano contadini, operai delle fabbriche, tassisti, insegnanti o commercianti: un po' in tutta la Cina, i lavoratori, senza distinzione di sorta, stanno incrociando le braccia in segno di protesta. Colpa del costo della vita in costante aumento, trainato dal rincaro dei prezzi degli alimenti e del settore immobiliare, dai salari troppo bassi e da condizioni di lavoro al limite della disumanità (Qualcosa succede in Cina...). Una mappa degli scioperi (bagong), messi in atto dall'inizio del 2011 ad oggi, evidenzia l'estensione a macchia d'olio ormai assunta dal fenomeno.
E' bene ricordare che, nella "fabbrica del mondo", il diritto all'astensione dal lavoro in segno di dissenso, pur non essendo riconosciuto dalla legge cinese, tuttavia, non viene nemmeno esplicitamente negato; la linea ufficiale del Partito in materia rimane ancora estremamente ambigua. Eppure, scavando a fondo, qualcosa di interessante e un minimo "compromettente" lo si riesce a rintracciare.
Un primo assaggio ci viene dato da un documento del 1957, adottato dal Comitato centrale del Pcc, in cui la leadership cinese riprende il celebre discorso di Mao "Sulla corretta risoluzione delle controversie in seno al popolo"; qui il Grande Timoniere afferma "l'inevitabilità" e, anzi, la "necessità" dei movimenti popolari qualora le masse, private dei loro diritti democratici, fossero spinte a mettere in atto misure estreme.
Nel corso degli anni la questione è stata trattata dalle autorità in maniera altalenante, attraverso un atteggiamento di apertura o di chiusura a seconda delle circostanze e degli interessi contingenti. Così, sebbene le Costituzioni del 1975 e 1978, frutto della Rivoluzione Culturale, ammettevano esplicitamente l'esistenza del diritto allo sciopero, quest'ultimo cadde progressivamente nel dimenticatoio, tanto che nella Costituzione del 1982, tuttora in vigore, non ne viene fatta menzione. Stesso copione nel 2008, quando, durante la riforma del diritto del lavoro, l'argomento bagong passò nuovamente in sordina.
Oggi, in Cina, il diritto di sciopero non è proibito né riconosciuto: è semplicemente rimpiazzato da un altro dei tanti vuoti normativi che contraddistinguono il sistema giuridico del Regno di Mezzo; l'ennesima falla di un sistema che, all'occorrenza, preferisce mantenere indefinite zone d'ombra.
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