giovedì 24 maggio 2018

In Cina e Asia



Il RIMPAC chiude la porta a Pechino

Washington ha ritirato l’invito per una partecipazione cinese alle prossime esercitazioni navali del Pacific Rim (RIMPAC), in programma per quest’estate. Le operazioni, che si tengono ogni due anni e coinvolgono una ventina di paesi, hanno accolto regolarmente la Cina a partire dal 2014. Ma la rapida militarizzazione del Mar cinese meridionale — contestata dagli Usa con le sempre più frequenti “operazioni di libera navigazione” — costerà a Pechino la prima esclusione in quattro anni. Giustificando la decisione improvvisa, il Pentagono ha affermato che gli Stati Uniti hanno “prove evidenti che la Cina ha schierato missili anti-nave, sistemi missilistici terra-aria e disturbatori elettronici sulle isole contese dell’arcipelago Spratly (Nansha in mandarino), nel Mar Cinese Meridionale ”. La nota fa poi riferimento “all’atterraggio di bombardieri cinesi a Woody Island (Yongxing in mandarino)”, nelle Paracel. Secondo gli esperti, nell’ultimo anno l’escalation nella penisola coreana ha permesso a Pechino di estendere indisturbatamente la propria presenza nel tratto di mare dove passano ogni anno 5 trilioni di dollari di merci. Lo smacco arriva mentre il ministro degli Esteri cinese Wang Yi si trova a Washington per parlare di Corea del Nord con Mike Pompeo.

Dopo Cuba la Cina: funzionario americano riporta lesioni dopo misteriosi suoni

L’ambasciata americana in Cina ha emesso un avviso diretto a tutti i cittadini americani, dopo che un impiegato del consolato di Guangzhou ha subito lesioni celebrali leggere in un caso che ricorda molto l’episodio degli “attacchi sonori” contro i funzionari statunitensi a Cuba. “Non possiamo in questo momento stabilire un collegamento con ciò che è accaduto a L’Avana, ma stiamo indagando su tutte le possibilità”, ha spiegato a Reuters un funzionario dell’ambasciata. Nell’avviso si fa riferimento a “sensazioni sottili e vaghe, ma anormali, di suono e pressione”. L’uomo, richiamato negli Usa per accertamenti, aveva notato i primi sintomi alla fine dello scorso anno. Nel caso di Cuba, non ancora risolto, gli investigatori avevano avanzato tra le possibili cause un’arma elettromagnetica o un dispositivo di spionaggio imperfetto. Mentre proseguono le indagini, il consigliere di Stato cinese Wang Yi, in questi giorni negli Usa, ha affermato che “non vogliamo vedere questo caso individuale venire ingigantito, complicato o addirittura politicizzato. Speriamo che le persone non lo associno ad altre questioni non necessarie”.

Pyongyang si prepara a nascondere le armi nucleari?

Mentre i preparativi per la chiusura del sito nucleare di Punggye-ri proseguono di buona lena, il governo nordcoreano ha nominato la provincia di Chagang “zona rivoluzionaria speciale del Songun”. Durante una riunione del ministero della Sicurezza dello Stato è stato stabilito che “rendere la provincia di Chagang un punto d’appoggio strategico per l’esercito di fronte alla guerra moderna fa parte dell’eredità di Kim Il Sung e Kim Jong Il”. Collocata al confine con la Cina, Chagang è per il 98% montagnosa e ospita i famigerati tunnel attraverso cui gli alti funzionari nordcoreani hanno accesso hanno via di fuga oltreconfine. Tutte caratteristiche che — stando agli esperti — rendono l’area un nascondiglio perfetto per l’arsenale nucleare di Pyongyang. Secondo fonti di Daily NK, il governo si starebbe concentrando su un piano per rafforzare il background ideologico dei residenti nella regione così da impedire la fuga di notizie all’estero.

Intanto Trump ha ammorbidito la sua posizione sulle modalità in cui dovrà essere realizzata la denuclearizzazione della penisola. “Sarebbe meglio avvenisse tutto in una volta. Ma non credo di volermi impegnare completamente”, ha affermato il presidente americano aprendo la porta all’eventualità di uno “smantellamento graduale”, come proposto da Kim Jong-un.

Myanmar: i ribelli rohingya dietro il massacro hindu

C’è l’Arsa (Arakan Rohingya Salvation Army) dietro la carneficina dei 100 hindu trucidati e seppelliti in una fossa comune nello stato Rakhine lo scorso 26 agosto. Lo rivela un rapporto di Amnesty International che per primo fa luce sulle violenze da cui è scaturito l’esodo di massa dei rohingya in Bangladesh. Fino a oggi la paternità del massacro era rimasta sospesa tra le accuse incrociate dell’esercito regolare birmano e dei ribelli dell’Arsa. Secondo il rapporto, realizzato sulla base delle testimonianze dei superstiti, “uomini armati vestiti in nero e civili rohingya sono comparsi nel villaggio di Ah Nauk Kha Maung Seik verso le 8:00 ora locale e hanno radunato dozzine di persone tra donne, uomini e bambini hindu. A partire dagli uomini, le vittime sono state bendate e 53 persone giustiziate.In un villaggio vicino, a Ye Bauk Kyar, altri 46 hindu sono scomparsi, presumibilmente uccisi dai ribelli rohingya. Mentre il rapporto non assolve i militari birmani dalle accuse di pulizia etnica contro la minoranza musulmana tuttavia mette in evidenza la complessità della situazione nello stato Rakhine.

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