lunedì 28 maggio 2018

La Cina abolirà il controllo delle nascite



Pechino ha intenzione di abolire il controllo delle nascite già a partire dalla fine di quest’anno. Lo rivela uno scoop di Bloomberg, secondo il quale il Consiglio di Stato avrebbe commissionato uno studio per determinare le ripercussioni della sospensione della controversa politica che negli ultimi quarant’anni ha permesso alla Cina di diventare la seconda economia mondiale, macchiandosi tuttavia di sistematiche violazioni dei diritti umani, dalle sterilizzazioni forzate agli aborti selettivi.

Fonti anonime pronosticano l’introduzione di una politica della “fertilità indipendente” mirata ad assicurare a chiunque il diritto di poter decidere liberamente quanti figli dare alla luce. Una decisione in proposito verrà probabilmente presa nella seconda metà dell’anno, anche se una sua ufficializzazione potrebbe essere rimandata a inizio 2019. Pare che già nel mese di aprile un primo studio di fattibilità abbia raggiunto la scrivania del premier Li Keqiang.

Mentre gli esperti sono ancora al lavoro, stando alla ricerca preliminare, un rilassamento della politica sarebbe in grado di apportare soltanto benefici “limitati”. “Anche se il controllo sulle nascite venisse completamente rimosso entro l’anno, sarebbe comunque troppo tardi per la Cina”, ha commentato Chen Jian, ex direttore della Commissione nazionale per la pianificazione famigliare, aggiungendo che la nuova misura non sarà in grado di incidere radicalmente sul numero dei nati. Un bel grattacapo per la leadership capitanata dal presidente Xi Jinping, intenta a guidare l’economia nazionale verso tassi di crescita più contenuti e sostenibili senza tuttavia incidere troppo pesantemente sul mercato del lavoro.

Stando alle proiezioni del governo, nel 2030 un quarto dei cinesi avrà compiuto almeno 60 anni, un 13% in più rispetto al 2010. Oltre a ridurre la forza lavoro a disposizione, il precoce invecchiamento della popolazione rischia di pesare su pensioni e sanità mettendo a rischio i piani di Xi, determinato a rendere la Repubblica popolare “un paese socialista moderno” entro il 2035. Addirittura, stando a un rapporto di Deloitte Insights, proprio il fattore demografico potrebbe portare a un sorpasso dell’economia indiana nel corso delle prossime due decadi.

Come spiega il Global Times, i tempi sono cambiati e oggi “una popolazione in crescita viene considerata più una risorsa che un peso. Secondo il vecchio modo di pensare, quando le risorse sono limitate, il controllo della popolazione contribuisce a ridurre la pressione sull’occupazione e lo sviluppo economico. Si stima che la politica di pianificazione familiare abbia impedito circa 400 milioni di nascite dagli anni ’70, riducendo la pressione sulle risorse e sull’ambiente. Dopo decenni di rapido sviluppo, la Cina è passata da un’economia pianificata chiusa a un’economia di mercato aperta, in cui lo sviluppo è sempre più guidato dall’innovazione”.

Per la prima volta dagli anni ’80, negli ultimi mesi il termine “pianificazione famigliare” si è eclissato dai rapporti ufficiali, mentre il rimpasto amministrativo consolidato durante la riunione parlamentare dello scorso marzo ha visto la nascita di una nuova Commissione sanitaria nazionale con il compito di “elaborare politiche e misure per far fronte all’invecchiamento della popolazione e combinare l’assistenza sanitaria statale con l’assistenza alla vecchiaia”. Il nuovo organo manda ufficialmente in pensione la Commissione nazionale per la salute e la pianificazione familiare, creata nel 2013 in concomitanza con un primo allentamento della politica del figlio unico introdotta all’epoca delle riforme denghiane. Quell’anno, una direttiva rivoluzionaria ha concesso a tutte le coppie in cui almeno uno dei due coniugi fosse figlio unico di avere fino a due bambini. Privilegio esteso nell’ottobre 2015 a tutte le famiglie senza precondizioni. I risultati non sono stati tuttavia quelli sperati e, malgrado l’introduzione della “politica dei due figli” — secondo l’Istituto nazionale di statistica — lo scorso anno il numero delle nascite è sceso del 3,5% a quota 17,2 milioni.

La tendenza generale rispecchia infatti una minore inclinazione dei giovani cinesi alla procreazione. Non solo si fanno meno figli e li si fanno tendenzialmente più tardi, sono anche sempre meno le donne in età fertile. Giustificando i numeri, le autorità hanno messo in risalto come “fattori socioeconomici abbiano influenzato più chiaramente la volontà delle persone di dare alla luce e crescere un bambino”. A remare contro sarebbe un mix di costi finanziari, mancanza di servizi per l’infanzia e ambizioni lavorative, in passato meno condivise dalla popolazione femminile. Senza contare che la predilezione per la progenie maschile — sfociata in aborti selettivi dei feti femminili — si è tradotta in un surplus di 30 milioni di uomini oggi in cerca di una compagna.

Auspicando l’eliminazione completa del controllo delle nascite, durante la scorsa Assemblea nazionale del popolo — il parlamento cinese — il delegato del Guangdong, Huang Xihua, ha messo in risalto la necessità di assistere le coppie con “baby bonus”, alleggerimenti fiscali ed educazione pubblica gratuita. “Eliminare le restrizioni sulle nascite senza implementare politiche di incentivazione non aiuterà molto considerate tutte le sfide incombenti”, conferma un demografo indipendente a Bloomberg.

[Pubblicato su Il Fatto quotidiano online]

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